Premio Racconti nella Rete 2014 “L’Altra Bambina” di Francesca Santi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Cinzia non temeva il Babau, né l’Uomo Nero. Non aveva bisogno di guardare nell’armadio, né sotto il letto per aver paura: le bastava guardare la ragazza che condivideva il suo stesso cuscino… Quel giorno l’aveva trovata lì, sdraiata proprio accanto a lei, bianca come la polpa del cocco e con quegli occhi sempre sgranati, scuri e profondi.
Sparì di primo mattino, ma verso l’ora di pranzo tornò e passò più di metà pomeriggio a fissarla, come se volesse domandarle qualcosa e non avesse il coraggio di farlo.
Cinzia sentiva il peso del suo sguardo imperscrutabile e non lo sopportava: sospettava che l’altra bambina la stesse studiando… Forse cercava di capire se era abbastanza debole da riuscire a sbarazzarsi di lei, perciò cercò di dimostrarle che aveva fegato, facendo la voce grossa.
“Che ci fai in camera mia e cosa vuoi?”
L’altra bambina scappò via, ma la sua assenza non durò a lungo: Cinzia non fece in tempo a decidere se preferiva giocare o riposarsi che l’altra le si piantò di nuovo di fronte. La scrutò con quegli occhi profondi come un pozzo e Cinzia si sentì affogare: le sembrava che ogni minuto l’aspetto di quella spettrale ragazzina peggiorasse sempre di più…
Decise di lasciarle il letto per una volta e ne approfittò per gironzolare un po’. Le piaceva casa sua, anche se le sembrava che fosse troppo grande: quegli spazi aperti amplificavano la sua solitudine. La mamma non c’era quasi mai e il papà non c’era più… Cinzia ripensò a quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che lei e sua madre si erano incrociate: la mamma usciva prestissimo per andare a lavoro e provvedere a entrambe, tuttavia la bimba non si sentiva trascurata. Sua madre le lasciava sempre tutto pronto per la giornata: la colazione, le vaschette con il pranzo e la cena e le medicine… eh, sì! Le medicine erano la cosa più importante. Lei era molto malata, per questo non andava a scuola e sapeva che se voleva guarire era necessario sopportare il retrogusto amaro di tutte le pillole e gli sciroppi che era costretta a prendere quotidianamente.
Cinzia era una bimba diligente e sapeva che doveva anche dormire molto e mangiare tutto quello che la mamma le preparava per recuperare la salute.
Per essere sicura che l’altra bambina non le rubasse ciò che era suo, mangiò tutto in una volta, ingoiò le sue pillole con un solo bicchier d’acqua e bevve avidamente la sua razione di sciroppo: ci mise una tal foga da rischiare di strozzarsi!
Aveva sorpreso più volte l’intrusa a spiarla mentre compiva quest’operazione: le faceva una gran paura quello sguardo scuro incorniciato da quel viso cadaverico sempre più emaciato, ma doveva trovare la forza di prendersi ciò che era suo se voleva sopravvivere…
“Non c’è niente per te qui…” disse Cinzia con voce tremante.
L’altra bambina fece un passo avanti e protese le braccia: sembrava decisa a confutare quell’affermazione e Cinzia non sapeva cosa fare. Indietreggiò fino alla camera della madre e si appiattì al muro col respiro corto, mentre l’altra le andava incontro, a passo lento e respirando a fatica.
“Perché me le hai portate via?” domandò sgomenta.
Cinzia non rispose, in attesa della sua prossima mossa: era terrorizzata, ma si forzò a guardare l’intrusa nello specchio per verificare che non si trattasse di un vampiro… Si girò di scattò e la vide riflessa: era cadaverica, ma era lì, tale e quale a com’era nella realtà, quindi l’opzione vampiro era da escludere. Anche l’altra bambina si girò verso lo specchio: la fissò per un lungo istante, sgranando gli occhi in modo tale che a Cinzia sembrò che i suoi bulbi oculari fossero sprofondati in due crateri e fuggì lasciandola di nuovo sola.
Cinzia ne fu sollevata e si specchiò a sua volta: era così graziosa… ma – toccandosi i suoi lunghi boccoli biondi e scrutandoli con aria critica – si ripromise di chiedere alla mamma di acconciare i suoi capelli con una pettinatura più moderna. Spostò lo sguardo sul letto matrimoniale, dove era posato un grosso cuscino a forma di cuore: sapeva che la mamma le voleva bene, anche se non era quasi mai a casa. Di certo era orgogliosa di avere una figlia ubbidiente e anche coraggiosa… Doveva assolutamente raccontarle dell’altra bambina e di come le aveva tenuto testa! Di certo lei avrebbe premiato la sua impresa con un bell’abbraccio…
Cinzia continuò a gironzolare per casa in cerca di qualcosa da fare in attesa della mamma, quando vide l’altra bambina rannicchiata in un angolo, scossa dai singhiozzi. Fu tentata di girarsi e andare a chiudersi in camera sua, ma non ne ebbe il cuore: l’altra bambina le faceva impressione, però il fatto che fosse capace di piangere le suggeriva che non fosse poi così cattiva. Le si avvicinò titubante e la toccò sulla spalla con un gesto rapido. Lei alzò la testa di scattò e iniziò a fissarla alla sua solita maniera. Cinzia prese coraggio e si buttò.
“Ti va di giocare con me?” chiese.
L’altra bambina si guardò attorno, come se pensasse che Cinzia si stesse rivolgendo a qualcun altro, ma poi annuì debolmente e afferrò la mano che lei le porgeva.
Tornarono in camera tenendosi per mano e si misero a giocare. L’altra bambina fu una vera sorpresa! Quando sorrideva sembrava meno lugubre e, nonostante le sue stranezze, Cinzia si divertì un mondo. L’altra bambina le mostrò una serie di bambole che non ricordava di avere, snelle, bionde e dotate di un guardaroba pieno di abiti di lusso. Le due avevano una diversa attitudine al gioco: Cinzia cercava di inventarsi storie con un finale romantico, mentre l’altra preferiva immaginarsi un futuro diverso per tutte quelle Barbie – così le chiamava – come un lavoro da reporter e una vita ricca di avventure.
L’altra bambina le mostrò anche i videogiochi e la consolle nascosti sul ripiano più alto dell’armadio e Cinzia la aiutò a recuperarli arrampicandosi su una sedia traballante e – a detta sua – rischiando a più riprese l’osso del collo.
Cinzia si stancò presto di tutto quel rumore – una scusa per non ammettere di non essere capace di usare il joystick – e cercò di convincere l’altra bambina a passare al nascondino, sfidandola a trovarla: lei era bravissima a occultare la sua presenza!
L’altra bambina si mise con la faccia contro il muro e iniziò a contare.
“1… 2… 3…” diceva scandendo ogni parola.
Cinzia schizzò verso lo sgabuzzino e si arrampicò su un vecchio mobile a scaffali, determinata a nascondersi proprio in cima. Non appena poggiò il piede sul primo ripiano, il mobile traballò prima avanti e poi indietro, come se stesse annuendo alla domanda: “Stai per cadere?”.
Il mobile rovinò a terra, ma la piccola fu abbastanza rapida da gettarsi di lato e cadde lunga distesa vicino alla carcassa di legno, che perì assieme ai ninnoli che aveva ospitato tanto a lungo.
Il rumore aveva attirato l’altra bambina, che spalancò la porta e la indicò, ridendo di gusto.
“Ti ho trovata! Hai perso…” disse.
Cinzia era mortificata, ma non poté fare a meno di notare che l’altra bambina non era poi così inquietante come le era sembrata all’inizio. Stava per protestare quando sentì il rumore della porta che si apriva e l’inconfondibile voce della mamma che la chiamava.
“Tesoro? Dove sei?”
L’altra bambina schizzò via e Cinzia si alzò, spolverandosi il vestito rovinato con le mani.
Chinandosi per raccogliere la pantofola che aveva perso cadendo, notò che dietro il mobile abbattuto c’era una vecchia foto in bianco e nero: ritraeva lei e la mamma a passeggio nel parco, ma non capiva il significato dei quattro numeri che qualcuno aveva scritto sul retro. Indugiò sulla sua immagine per qualche istante e non poté fare a meno di notare che aveva davvero una brutta cera quel giorno, ma poi pensò che la mamma era a casa e che lei poteva finalmente abbracciarla.
Corse fino alla porta con il cuore in gola per l’emozione, ma giunta nell’ingresso si bloccò come se le sue pantofole fossero magnetiche e il pavimento fosse diventato all’improvviso di metallo… L’altra bambina stava abbracciando sua madre… come aveva osato e perché lei la ricambiava? Cinzia era furiosa, ma quando la guardò meglio si rese conto che quella non era sua madre, non le somigliava nemmeno… Indossava i pantaloni e portava i capelli corti, non aveva gli stivaletti e neppure il cappellino: quella sconosciuta si voltò verso di lei e cacciò un grido, Cinzia si guardò nello specchio sopra il telefono e vide ciò che l’altra bambina e sua madre avevano già visto: un volto su cui non era rimasta più carne e che era sfiorito molto tempo prima…
Cinzia si toccò una guancia prima di sparire, ricordandosi all’improvviso il significato di quei numeri… Il 1907 era l’anno in cui aveva chiuso gli occhi e non si era più risvegliata. Scomparve coprendosi le orecchie che non aveva per non sentire quella madre che urlava e bisbigliò un saluto rivolto all’altra bambina, che ricambiò con un cenno della mano, poco prima che Cinzia scomparisse… se avesse avuto ancora gli occhi, di sicuro avrebbe versato qualche lacrima.
Un racconto inquietante quanto avvincente.. Ho tenuto gli occhi appiccicati sullo schermo.. Complimenti!
Grazie mille, Angelo!
Mi ha ricordato “The Others”,
ben scritto, ben costruito.
Brava.
Grazie tante Maurizio, in effetti, “The Others” è un film che adoro e mi fa davvero piacere che il racconto ricordi proprio quel tipo di atmosfera.