Premio Racconti nella Rete 2014 “Rosarno” di Alessandro Berardelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014C’ero anch’io. Si, c’ero anch’io e li ho visti i miei compagni devastare Rosarno.
S’era sparsa la notizia che alcuni di noi fossero stati presi a fucilate. Così, per gioco.
Ma noi non stavamo giocando. Eravamo arrivati da pochi giorni per la raccolta dei mandarini. Tutti uomini, molti ancora ragazzi.
Finalmente, pensavamo, un lavoro un po’ meno massacrante: i mandarini non ci avrebbero costretto a stare piegati a terra per quattordici ore come per i pomodori e i peperoni. Certo, la paga sarebbe stata sempre da fame: venticinque euro meno cinque ai caporali e tre a quello che ci avrebbe trasportato con il suo camioncino sul posto di lavoro. “Fortunatamente” non avremmo dovuto pagare niente per l’alloggio: c’avevano sistemato in una porcilaia abbandonata.
Io sono nato in una delle ex colonie francesi dell’”Africa nera” ed e’ così che mi e’ stato facile imparare l’italiano. Però quando si è trattato di dar segno della mia speranza ho scritto “egalité” su quel muro della periferia di Rosarno. E’ ciò che vorremmo: essere trattati anche noi da esseri umani e non da bestie. Stavano meglio di noi i nostri antenati fatti schiavi. Almeno, quando erano comprati avevano vitto e alloggio assicurati.
Li ho visti, i miei compagni, radunarsi spontaneamente mentre si spargeva la notizia di un eccidio che non c’era stato. Quanti avevano le lacrime agli occhi!
La paura. Erano la paura e l’umiliazione i sentimenti dominanti. In ogni gruppo etnico le frasi, pur in lingue diverse, erano le stesse: non ne possiamo più, ci ammazziamo di lavoro per una miseria e questi ci sparano addosso, andiamocene abbiamo paura, no! basta subire, facciamogli vedere che non ne possiamo più.
Quando ho capito che il sentimento di ribellione alla disumanità stava prevalendo sulla paura delle ritorsioni, ho cercato di dissuadere i più agitati a farsi giustizia da sé. Per l’ennesima volta li ho pregati di fidarsi dell’Autorità, ma ormai nessuno più poteva credere al suo intervento e alle mie parole. E allora li ho visti allontanarsi per devastare Rosarno.
Ora siamo rimasti in pochi: sbandati e terrorizzati. Ci sono le ronde che ci braccano. Gli altri li hanno deportati tutti in attesa di rispedirli a casa. Ma quale casa? I più non ce l’hanno più neanche al loro paese una casa. Anche io sono nelle stesse condizioni ed è per questo che insieme a tre altri disperati ci siamo dati alla macchia.
Al mio paese non ho più nessun parente: tutti morti in un’irruzione dei ribelli mentre io ero a scuola. Hanno tentato anche lì di fare una strage, ma devo la vita al coraggio di quel manipolo di missionari che li hanno respinti. Da quel momento sono stati loro la mia famiglia.
Poi sono scappato verso nord e con un percorso attraverso l’Africa durato anni sono finalmente arrivato all’imbarco, ricco soltanto di quanto avrei dovuto pagare per essere traghettato verso il “futuro radioso” che mi aspettava in Italia, la mia nuova patria.
Ma che patria matrigna che si è rivelata!
Da subito sono stato considerato animale da fatica, anzi peggio, visti i turni di lavoro che non venivano assegnati neanche ai muli. Senza papier e senza uno straccio di assistenza, sempre con la paura di essere beccati e rispediti al di là del mare.
E ora neanche più il lavoro.
Si stanno avvicinando. Li sentiamo e ora li vediamo anche. Hanno i cani.
“Un po’ d’acqua, mademoiselle, s’il vous plait. Siamo in viaggio da tre giorni. Senza mangiare e con la sola acqua dell’unico fontanile che abbiamo trovato sulla nostra strada.”
“Che volete? Andate via, non sapete che vi stanno cercando in tutta la zona? Se vi prendono qui, a voi non so cosa può capitare e ci andiamo di mezzo pure noi. Via!”
“ Rosalba! Chi c’è?”
“Nessuno, nonna, nessuno.”
“Come nessuno! Ho sentito delle voci.”
“Sono quattro negri. Di quelli scappati da Rosarno.”
“E che vogliono?”
“Acqua.”
“e picchì nun ci la dai?”
“Ho paura, nonna. Di loro e di quelli che li odiano.”
“Veniti,veniti. Qui comando ancora io, per grazia di Dio. Rosalba falli accomodare e dagli da mangiare e da bere.”
“Nonna! ma e’ pericoloso!”
“Fa’ come ti dico! Che ne sai tu cosa significa essere emigranti, di cosa abbiamo passato noi, tuo nonno e io, quando la fame ci costrinse a emigrare in Belgio. Qui tutti si sono dimenticati quanti pianti, quante paure, quanti insulti abbiamo dovuto subire. Maccaroni ci chiamavano e, credi, per noi era più bruciante di quanto può essere ora negri”
“Veniti, picciriji, qui siete al sicuro picchì tutti i ggìenti nascianu libberi e ‘gguali all’àtri ppì ddignità e diritti. Ognunu tena cirbìeddru, raggiune e cuscìenza, e s’ha de cumbortà cull’atri cumu si li fòssaru frati. E’ il primo articolo della dichiarazione dei diritti dell’uomo in calabrese. Me la insegnò mio marito in Belgio. Stai tranquilla Idina, mi diceva, non aver paura che alla fine i nostri diritti verranno riconosciuti. Siamo uomini come loro! E alla fine tutto si è aggiustato. Ma, almeno, lì riconoscevano che senza di noi nenti potevano fare. Qui, ho sentito alla radio, vi vogliono ributtare a mare tutti quanti.”
“Si lo sappiamo, madame, il ministro ha detto che la legge va rispettata, ma dove era lui quando siamo stati stati reclutati in spregio alle più elementari regole e quando ci hanno offerto un salario molto inferiore alla normale sussistenza? Dove era lui quando ci hanno dato da dormire in un porcile? Siamo stanchi di subire, signora, stanchi e impauriti. E questa è una mistura molto pericolosa.”
“Abbiate fede, ragazzi, si dovranno pentire loro e la ‘ndrangheta e se non sarà la giustizia degli uomini, sarà la giustizia di Dio a prevalere. E questa di una cosa sola terrà conto: della solidarietà.”
“Grazie madame, che Dio vi benedica, ma noi non ci crediamo più. Quando abbiamo traversato il deserto, in Africa, ci spostavamo di oasi in oasi. Arrivavamo e, pur non potendo pagare niente, venivamo accolti con gentilezza: acqua e pane non ci sono mai stati lesinati. Ci sentivamo al sicuro tra gente povera quasi come noi, ma che sapeva quali fossero le difficoltà in cui eravamo e in cui ci saremmo dovuti reimmergere non appena ripreso il cammino. Ora noi ripartiamo: incontreremo ancora il deserto, non quello di sabbia, ma quello dell’indifferenza, se va bene. Ma siamo certi, dopo ciò che abbiamo visto in questi mesi, che sarà violenza fisica e morale quella che incontreremo sulla nostra strada.
Questo è diventato un Paese dove si è perso ogni senso civile, ogni cultura dell’accoglienza, della tolleranza e della solidarietà. L’articolo tre della vostra costituzione non è stato scritto anche per noi. E’ un paese dove quelli, negri come noi, devono avere paura. E noi ormai ne abbiamo tanta.”
“Rimanete per la notte, riposatevi un po’. Qui nessuno vi farà del male.”
“Grazie ancora madame, ma partiamo subito per il nord , il nord d’Europa naturalmente, che è diventato il nostro west. Chissà come faremo ad arrivarci, ma ce la faremo. Chi ha traversato il deserto, non si arrende facilmente! Allons mes amis!”
Il racconto dà voce ai migranti, il loro cammino, le loro aspettative e il pericolo di morte. Solo chi ha vissuto le medesime condizioni può capire e può dare la solidarietà. Il protagonista anonimo o meglio i protagonisti, delusi dell’accoglienza italiana, ci danno l’immagine del Nord Europa come la nuova frontiera per loro che hanno abbandonato l’Africa e fanno la denuncia della presenza dell ‘ndrangheta nel reclutamento della manodopera. Per questo messaggio il racconto può essere tra i venticinque che vanno pubblicati nell’Antologia del Premio.
Emanuele
Mi è piaciuto il taglio che gli dato, l’intensità e la non banalità. Complimenti
Per tutti quelli che dimenticano che chi chiede asilo è disperato, non ha certezze.
La memoria di ciò che eravamo ci viene incontro per risvegliarci dall’indifferenza.
Angela Lonardo
Emanuele, Samantha, Angela, grazie per il commento. Questo è il racconto a cui sono più affezionato e che ho scritto di getto dopo la rivolta di Rosarno del 7 gennaio del 2010.