Premio Racconti nella Rete 2014 “Troppe cicale” di Alessandro Berardelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Era da poco passato mezzogiorno.
Era luglio e Antonio ansimava risalendo la stradicciola che conduceva al casale. Ulivi tutt’intorno e cicale. L’incontro, aveva immaginato, sarebbe avvenuto all’ombra della grande quercia situata sul limitare dello spiazzo davanti al casale. Ormai non mancava molto.
Antonio avanzava a testa china ed ebbe un sussulto quando, non appena svoltata l’ultima curva, sentì:
“Finalmente! E’ tanto che l’aspetto, Papà.”
Sabrina gli era andata incontro.
“Ma sei sola?”
“Certo che sono sola, chi avrebbe dovuto esserci con me?”
“Meglio così. Ho tardato perché ormai fare questa salita mi pesa molto. E pensare che venivo quassù quasi tutti i giorni quanto comprai questo podere. Questi ulivi li ho piantati con le mie mani più di trent’anni fa. Guarda che bellezza che sono!”
“Bellissimi, Papà. Lei sa che sono stata io a voler venire a vivere in questo casale! Giuseppe preferiva stabilirsi in paese, ma io l’ho convinto anche perché avevo capito quanto lei ci tenesse.”
“Ci siete venuti, è vero, ma non siamo riusciti a trattenerlo, Giuseppe. Lo sapevo che gli stava stretto questo paese, ma mai avrei pensato che avrebbe fatto quello che ha fatto. Quando vi siete sposati ho creduto veramente che fossero finite le mille mattane a cui c’eravamo dovuti abituare. Sempre con quelle armi, poi, una vera ossessione… Una bella casa, una bella ragazza come moglie, dei figli, chissà. Che volere di più, noi che siamo contadini legati alla terra? A partire da me, è vero, abbiamo iniziato a studiare, e anche lui l’ha fatto. Ma a me è servito per radicarmi di più, se possibile. A lui invece l’effetto è stato contrario.”
Sabrina e Giuseppe si erano sposati due anni prima. Lei era stata accolta nella famiglia patriarcale, da subito, come parte integrante. Giuseppe era l’unico maschio di quattro figli e da lui ci si aspettava che proseguisse la stirpe. Sabrina, poi, era bellissima e intelligente e aveva fugato immediatamente i dubbi che le femmine di famiglia avevano sollevato, per il fatto che lei era una “cittadina” e per di più del profondo nord. Papà Antonio presto ne aveva fatto la sua beniamina e “guai a chi me la tocca!”
Tutto era filato liscio per un anno, i due neo sposi avevano completato l’arredamento del casale che Antonio aveva assegnato loro, e Giuseppe aveva finalmente affiancato il padre nella conduzione dell’azienda familiare.
Ma l’idillio era durato poco.
Giuseppe una sera era tornato a casa, dopo essersi assentato per due giorni, e aveva annunciato a Sabrina che si era arruolato come “contractor” in Iraq. Sarebbe partito nel giro di una settimana.
Sabrina era rimasta basita da quel fulmine che per lei era stato a ciel sereno. Conosceva Giuseppe abbastanza, però, per capire che non sarebbe tornato indietro dalla decisione presa. Né valsero a qualcosa le rimostranze di tutta la famiglia, che apprese da una Sabrina affranta ciò che Giuseppe stava per fare.
Era partito e da quel momento, otto mesi prima, si era messo in contatto con Sabrina non più di tre o quattro volte. Lei era sembrata essersene fatta una ragione ed ora viveva sola in quel grande casale circondato da cipressi e ulivi. Con la sola compagnia di una coppia di cani-lupo che il suocero le aveva regalato perché stesse tranquilla.
Quasi subito dopo la partenza di Giuseppe, Sabrina aveva accettato di buon grado la proposta di far parte di una cooperativa di giovani che avrebbe gestito il pub all’inizio del corso del paese. Lei aveva avuto, prima di sposarsi una esperienza simile dalle sue parti alle pendici delle Dolomiti e, poi, con qualche anno di più dei suoi soci, appena maggiorenni, era lei che gli altri mandavano avanti quando c’era da trattare con fornitori, vigili e uffici comunali.
“Bene, veniamo alle ragioni di questo incontro semi clandestino. Cosa c’è che non volevi dirmi di fronte a mamma o alle altre mie figlie?” riprese il vecchio.
“Sono in imbarazzo, Papà, non so come dirglielo, ma sono nei guai! In grossi guai. Ho bisogno di ventimila euro entro domani.”
“Me lo aspettavo, credevo te ne servissero di meno, ma me lo aspettavo.”
“Come “me lo aspettavo!” ? Che ne sa lei?”
“Cara Sabrina, credi che io non abbia persone che mi portino rispetto e che non vengano a raccontarmi tutto ciò che succede in paese, soprattutto le cose che riguardano i componenti della mia famiglia? So tutto Sabrina!
Non è stato difficile individuare i “magheggi” che quel Peppe ha iniziato a fare davanti al tuo locale non appena è iniziata la bella stagione e sono arrivati i primi turisti nei fine settimana. Ma dei turisti chissenefrega. E’ quando mi hanno riferito che avevi iniziato a vedere troppo spesso quel lurido individuo che ho voluto sapere di più. Tutte le sere, non appena arrivava in paese, la prima tappa, da quattro mesi, sei sempre tu. Entra, ordina una birra, e al momento di andarsene invece di pagarti il dovuto ti passa un piccolo sacchettino. Non è vero Sabrina? Tre giorni fa invece, mi hanno riferito, Peppe è entrato, ha bevuto e quando è stato il momento di avvicinarti, alla tua richiesta si è rifiutato di darti alcunché e ad alta voce, o per lo meno abbastanza alta da farsi sentire da chi me l’ha riferito, ha minacciato di fartela pagare cara se non avessi saldato tutto ciò che gli dovevi. Non ho approfondito cosa ci fosse in quelle bustine che la checca ti allungava, ma devo ritenere fosse cocaina. Ma quanta cocaina, o quello che era, ti sei fatta, Sabrina?”
“Papà, ora mi vergogno, giuro che mi vergogno. Ma mi sentivo disperata perché Giuseppe mi aveva abbandonata. Ho voluto provare, tutti mi dicevano che sarei stata meglio con quella. La prime volte quel Peppe me l’ha regalata. Non ne ho più potuto fare a meno.”
Imbecille! pensò Antonio, e imbecille io che avevo temuto che Sabrina si sarebbe portata dietro quello lì. Per questo ho appresso ‘sta pistola. Quel Peppe se la sarebbe fatta sotto, solo a vederla. Ma figuriamoci se avrebbe avuto il coraggio di affrontarmi.
“Mi hai veramente deluso Sabrina. Ti credevo più intelligente. Sei stata sempre per me una ragazza da portare ad esempio per le mie figlie. Ora anche loro sono venute a sapere qualcosa e mi sfottono. Sono proprio deluso e ferito.” Terminò Antonio, scuotendo la testa.
Sabrina resse lo sguardo di rimprovero di Antonio. Accennò a dire qualcosa, ma tacque, aspettando che Antonio le desse una speranza. Invece anche lui stava aspettando che Sabrina parlasse.
Poi finalmente lei ruppe l’insopportabile silenzio:“Ma me li dà i ventimila, però?”
“Non ci penso per niente. Andrò io a sistemare quella checca e tu puoi stare tranquilla. Anzi pensavo già di trovarla qui e buon per lui che non sia venuto.”
“No, no! Papà. Non sa quello che possono farci Peppe e i suoi capi. Perché lui è solo un miserabile pusher. Ieri è tornato e mi ha detto che se non gli portavo i soldi al più presto, avrei fatto la fine di quella Sonia. Se la ricorda? Quella ragazza che ritrovarono nel canale, senza più faccia per quello che le avevano fatto.”
I due si fronteggiavano a un paio di metri di distanza, tacendo ancora una volta.
Poi Sabrina si riscosse improvvisamente dalla fissità con cui aveva affrontato quegli ultimi istanti di faccia a faccia e riprese con tono totalmente diverso: “Antonio, devi darmeli quei soldi. Sono disposta a tutto.”
“Ma disposta a che? Che dici Sabrina!”
D’improvviso la ragazza riprese anche l’espressione dura con la quale aveva assistito, senza esser vista, alla fatica di Antonio sull’ultima rampa del viottolo. Ora era un’altra ed era sconvolta: “Non credere che io non sappia quanto ti piaccio. Una donna le sa certe cose anche da piccolissimi segni. Una apparente innocua carezza che sa di desiderio, uno sguardo insistito mentre accavallo le gambe. E poi tante altre occasioni nelle quali, lo ammetto, ti ho provocato. Tu hai resistito, ma prova a resistera adesso, se sei capace!”
E così dicendo si sfilò la maglietta, poi si tolse il reggiseno e iniziò a slacciarsi i jeans.
Antonio, esterrefatto, per alcuni istanti non riuscì a proferir parola. Poi:
“Imbecille puttanella! Rivestiti subito. Certo! Sei una ragazza che se io avessi avuto qualche anno di meno e soprattutto se non fossi mia nuora… sei una ragazza che mi sarei portato volentieri a letto. Ma sei la moglie di mio figlio! Rivestiti subito, perdio!”
Intanto Sabrina si era tolta anche i jeans. Era veramente uno schianto con quel caschetto di capelli biondi, con quegli occhi azzurri e con quei seni sodi come tutto il resto.
“Antonio, anche tu mi sei sempre piaciuto, altro che quel matto di tuo figlio Giuseppe. E‘ arrivato il momento e noi faremo l’amore”
Antonio la guardò con commiserazione e gridò: “Sei patetica. Non voglio nemmeno vederti. L’avresti fatto con Peppe se lui fosse stato in grado di apprezzarti! Rivestiti immediatamente e facciamola finita qui. Domani a lui ci penserò io e dimenticherò da subito ciò che è successo oggi.” Poi le girò le spalle e scuotendo la testa prese lentamente la via del ritorno.
Ferita, Sabrina iniziò a piangere. “Antonio, non puoi lasciarmi nella merda! Quelli mi ammazzano.”
Antonio si era ormai allontanato di una ventina di metri sordo alle suppliche della ragazza.
Sabrina sentì il disprezzo che si era tirata addosso e, cambiando di nuovo registro, urlò: “Papà, non può farmi questo! Sono terrorizzata. Torni indietro, parliamone. Mi rivesto subito, se è questo che vuole. Questa faccenda mi ha fatto perdere la testa!”
Ma Antonio continuò ad ignorarla.
Allora la ragazza, ormai fuori di testa, raccolse i jeans, infilò le mani nelle tasche e estrasse il coltello a serramanico che portava sempre con se da quando Giuseppe era partito. Raggiunse il vecchio. Fece un ultimo disperato tentativo di fermarlo aggrappandoglisi alle spalle, ma quando lui la scostò con una spinta lei capì che tutto era vano e lo colpì.
Due volte nella schiena prima che lui avesse il riflesso di girarsi.
Entrambi stravolti, si trovarono faccia a faccia a pochi centimetri di distanza.
A quel punto Sabrina gli infilò il coltello all’altezza del cuore e lui riuscì a sparare due colpi. Il primo al fianco. Il secondo, mentre ormai Antonio stava crollando, sotto il mento.
Sul poggio per un attimo fu silenzio irreale, poi le cicale ripresero a frinire in modo assordante.
Trovo la narrazione sempre ben sostenuta per questa tragedia famigliare, cruda e violenta in terra celebrata da Giovanni Verga. Due situazioni nuove, Giuseppe che parte volontario per la guerra in Iraq e una dona del Nord, Sabrina. La violenza è l’unica soluzione percorribile dove Sabrina giunge ad aggredire il suocero Antonio dopo aver perso ogni dignità. Antonio suo malgrado deve reagire e lo scontro è fatale per entrambi; l’uomo voleva uccidere lo spacciatore per fare “giustizia” e tutelare l’onore della famiglia, è comunque, a mio giudizio, un eroe.
Emanuele
Una storia sordida che si addice ai tempi che, purtroppo viviamo. Sembra uscita da un servizio di cronaca nera.
Finale imprevisto.
Angela Lonardo