Premio Racconti nella Rete 2014 “La Damigella e il Principino” di Ciro Vincenzo Crescentini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014A Cinzia, a Grazia, a Rossellina e a tutti coloro che, di quel principino, hanno custodito a lungo tra le mani il cuore e la poesia.
…e tu, come ti chiami? Non me l’hai ancora detto.
Mi chiamo Grazia, avevo risposto a quello strano ometto dai riccioli biondi.
…e anche tu sei malata, come la mia damigella?
Si, anch’io sono malata.
Potrei andare avanti mesi, mi aveva detto Cinzia solo alcuni giorni prima di morire.
Davvero, sai, potrei andare avanti mesi e sono certa che non mi stancherei mai di parlare di questo libro. L’ho amato così tanto, ritenendolo da sempre il libro di una vita. Quindi è comprensibile che sia finito per diventare un pensiero ricorrente, come un compagno segreto con il quale mi piace ritrovarmi ogni tanto per riprendere un cammino fatto di parole scritte e di silenzi.
Il piccolo principe. Era stato proprio quel libro il primo oggetto che Cinzia aveva posto sul comodino, appena messo piede nella camera che avremmo poi condiviso in quei giorni di malattia.
Era arrivata stando seduta su una sedia a rotelle, spinta da una giovane infermiera la quale, per poterla mettere a letto, era stata costretta a chiedere l’intervento della collega. In tal modo, mi era subito apparsa minuta e della consistenza di un fuscello.
Io e Cinzia avevamo subito legato, superando senza difficoltà l’invisibile muro che osiamo costruire ogni volta che ci troviamo a scorgere negli occhi di qualcuno la nostra stessa sofferenza e, soprattutto, il nostro stesso terrore. In quel luogo simile più a un carcere che ad un ospedale, dato che era vietato perfino stringersi la mano per dire piacere – ciò per evitare il pericolo di trasmettersi germi patogeni – non ci era neppure consentito di tenere la fede al dito o di succhiare una caramella. Una tenda divisoria c’impediva perfino di guardarci in faccia. Proprio per questo meditavamo entrambe, ogni sera, una fuga spettacolare, rammentando quella famosa di Clint Eastwood da Alcatraz, pensando addirittura di prendere un medico come ostaggio per meglio barattare la nostra desiderata libertà…
Nel corso di quei giorni trascorrevamo lunghi momenti in perfetta solitudine, che si alternavano ad altri durante i quali il desiderio di raccontarsi era talmente forte che alla sera ci sentivamo sfinite, tanto da diventare facili prede del sonno tiranno.
A Cinzia durante quelle discussioni, che su di lei agivano come antidolorifico, piaceva parlarmi della sua famiglia: un marito ferroviere, i due figli adorati poco più che adolescenti, la madre anziana e sempre attiva, un cane di razza indefinita ancora senza nome. Mi descriveva la casa paterna ristrutturata da poco, con il bel portico che vi aveva fatto costruire e sotto al quale aspettava di organizzare cene succulenti; ma, soprattutto, mi raccontava della sua professione che tanto amava: insegnante di scienze in un liceo cittadino. In verità ho una famiglia piuttosto allargata, mi diceva, perché devo contarci anche i miei quasi cinquanta alunni!
E le mancava tanto il suo lavoro. Le mancavano, in special modo, tutti quei suoi ragazzi. Se guarisco, vedrai, faccio una grande festa sotto a quel porticato, invito i colleghi e tutti i ragazzi, anche le infermiere e i medici di questo reparto. Voglio prendermi una sbornia colossale. E tu non puoi davvero mancare…
Mi aveva chiesto, quella prima notte, di disegnargli una pecora! L’ometto alto poco più di una spanna che mi stava dinanzi pretendeva che io gli disegnassi una pecora. Che diamine – avevo pensato – bel modo di presentarsi! Però, era stato sufficiente che mettesse su quel broncio delicato, perché il mio cuore si sciogliesse in un brodo di giuggiole. Allora, avevo preso la penna tracciando alcuni tratti su un foglio bianco. Sentivo che mi osservava.
Ecco una pecora, gli avevo detto alla fine, mostrandogli la mia opera. Il principino aveva osservato il disegno attentamente, seguendone con le dita i tratti molto ben marcati. Ti ringrazio, aveva infine esclamato, con quella sua vocina flebile; dopo di che si era seduto in fondo al letto di Cinzia, restandosene in silenzio.
Potrei parlarti del Piccolo Principe a lungo, sai, per mesi interi e non mi stancherei mai.
Da quel libro Cinzia era incantata. Suo padre glielo aveva regalato quando lei era piccola, ne rammentava il momento preciso: era stato nel giorno del suo decimo compleanno, quando, dopo averla presa per mano, le aveva offerto il pacchetto che lei aveva rapidamente scartato. E il loro era stato un vero e proprio colpo di fulmine: prima ancora di leggerlo, Cinzia si era innamorata del ragazzino dai capelli biondi disegnato sulla copertina.
Da allora non ci siamo più lasciati. L’ho letto ai miei figli, per anni. Tante volte ho raccontato loro la vita del Piccolo Principe. Lui non mi ha mai lasciata sola…
Il principino, ogni notte, se ne stava ai piedi di Cinzia, occupando solo una minuscola porzione di letto. Passava ore restando immobile con le gambe incrociate e ogni tanto le carezzava il viso scavato, ma senza svegliarla. In quei momenti, allora, mi guardava con quei suoi occhietti che al buio brillavano come frammenti di stelle. Mi guardava, senza dirmi niente.
Dopo una settimana dall’inizio della terapia, Cinzia aveva cominciato ad aggravarsi. Se nelle prime mattine le infermiere avevano provveduto ad accompagnarla in bagno con la sedia a rotelle, in seguito ogni funzione veniva svolta a letto. Anche lavarla rappresentava per lei un momento di atroce dolore. Sembrava che ogni punto del suo corpo fosse divenuto un centro preciso di sofferenza. Capitava che le infermiere rinunciassero a toccarla, per non farla star male. Soltanto la morfina riusciva ad alleviarne l’inevitabile supplizio, seppur la costringesse a restare a lungo in una sorta di torpore dal quale solo a tratti lei faceva ritorno. E i medici, che ogni giorno le si facevano intorno, le assicuravano che ogni cosa procedeva per il verso giusto, che sarebbe andata a casa presto. Le dicevano va tutto bene, la terapia funziona, lei non deve preoccuparsi affatto.
Durante una di quelle ultime notti passate insieme avevo udito Cinzia chiamarmi.
Stai dormendo, Grazia? Ho bisogno di dirti una cosa…
Quando mi ero precipitata al suo capezzale, lei mi aveva guardato con infinita dolcezza. Subito dopo mi aveva preso la mano, stringendola tra le sue magre e ossute; poi, una sottile sofferenza aveva accompagnato le sue parole. Dopo, lo sai, sarai tu a custodire il libro. E anche il Piccolo Principe. Mi raccomando, devi promettermelo…
Te lo prometto, le avevo risposto. Temo, comunque, che non mi avesse sentito, dato che si era immediatamente assopita.
…lei è la mia damigella. Devo prendermi cura di lei, soprattutto adesso che si è ammalata. Non capisco bene perché debba soffrire così tanto. Il vostro mondo io continuo a non capirlo. E non solo perché sono piccolo. Io vorrei capire perché c’è tutto questo dolore. Vorrei capire…
Lei è la mia damigella…
Una notte era stato il suono ininterrotto del monitor a destarmi. Al di là della tenda, precauzionalmente tirata, avevo udito prima il mormorio prolungato delle due infermiere, poi solo poche parole appena accennate, dalle quali mi ero resa ben conto di cosa fosse accaduto. Rammento che iniziai a piangere, in modo sommesso, senza disturbare, senza farmi neppure sentire. E poi, mi ricordo bene del dolore presente nel mio petto in quel preciso momento. Un dolore sordo, violento, che da allora è sempre presente dentro di me come una traccia: un solco impossibile da rimarginare.
Di là a poco era arrivato anche il medico di guardia.. In quel turbinio di rumori sottili, di sussurri e di gesti appena accennati, nessuno tra loro aveva fatto caso al Piccolo Principe, il quale se ne stava fermo in un angolo della camera, quello più vicino al letto di Cinzia. Immobile e silenzioso, seguiva il trafficare di quelle persone intorno al corpo inanimato della sua damigella.
Quando tutto si era concluso, e una volta che medico e infermiere si erano allontanati dalla stanza, il principino si era avvicinato ai vetri della finestra, così che sul suo volto rischiarato dai riflessi della luna io potessi scorgere una minuscola lacrima d’opale. Poco dopo era scomparso. E in quell’istante avevo temuto di non rivederlo più.
Il libro, adesso, è sul mio comodino.
Sono sicura che Cinzia ne sarebbe felice. Anzi: lei adesso è serena. Sento che è così.
La bestiaccia di nome Leucemia mi sta sempre troppo attaccata, mi si è affezionata davvero.
Il principino ha deciso di prendersi cura di me. Compare quando meno me l’aspetto. Soprattutto di notte: arriva, si guarda intorno e si mette a sedere in fondo al mio letto, senza svegliarmi; ma io lo so che se ne sta lì, immobile, con le gambe incrociate. Spesso capita che egli sussurri parole per me incomprensibili; altre volte, invece, si avvicina e mi accarezza il viso, in silenzio. Io lo sento sempre quando arriva, ma faccio finta di dormire.
Ho una nuova compagna di stanza. E’ molto giovane, glielo leggo nello sguardo ancora infantile. Si chiama Rossella. Quando ride sembra che venga giù il soffitto. Sulla testa ha una bandana gialla che mi ricorda il ciclista Pantani. Avevo capelli bellissimi, mi ha detto stamattina, ora la mia testa è ridotta una palla da biliardo.
Oggi Rossella mi ha chiesto del libro che sto leggendo. Potrei andare avanti mesi, le ho risposto, non mi stancherei mai di parlare di questo libro. L’ho amato così tanto, sai, che è finito per diventare un pensiero ricorrente…
Il principino, ogni notte, si mette ai piedi del mio letto. Se ne resta là ore, immobile, ad osservarmi. Posso restare? Mi chiede, tutte le volte che arriva.
Certamente. Gli rispondo. Puoi restare.
…perché sei tu, adesso, la mia damigella. E io devo badare a te.
Si, è vero: sono io, ora, la tua damigella.
E capisco. In uno scampolo di tempo capisco ogni cosa. Tutto mi appare chiaro: la malattia, l’incontro con Cinzia, il Piccolo Principe, Rossella. Più di ogni altra cosa, capisco il valore della strana eredità di cui il principino si è fatto carico. Nuovamente, attraverso me. E capisco, finalmente, il senso della mia vita.
Spengo la luce. Sono molto stanca. Da alcuni giorni faccio perfino fatica ad alzarmi dal letto. I medici dicono che va tutto bene, che la terapia funziona, che non devo preoccuparmi affatto.
Io, in realtà, ho smesso da un pezzo di avere paura: essi non sanno, infatti, che da tempo le notti non mi portano più incubi, che adesso sul mio sonno veglia qualcuno.
Stasera ho tirato via la tenda per guardare Rossella. E’ girata di spalle, si è già addormentata e russa un poco. E’ così giovane, mi dico. Sento di volerle un bene infinito.
Il principino lo sa e, per questo, lo vedo sorridere.
Caro Ciro Vincenzo, è Grande questo piccolo principe, un Angelo o un Essere Speciale che accompagna le persone sofferenti. Grazie per averci dato questo racconto, delicato e commovente, pregno di speranza.
Emanuele