Premio Racconti nella Rete 2014 “Lo specchio nero” di Marco Daini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014“Tutto bene?” Lo sguardo attonito di Ottavio Lamarca non riusciva a staccarsi dal libro che stringeva tra le mani. Nell’arco di pochi secondi il suo volto era impallidito al punto che il giovane libraio aveva temuto che quell’anziano e distinto signore che da diversi minuti curiosava tra i libri usati del suo banco, fosse vittima di un malore.
“Si”, riuscì a biascicare, credo di si. “Vuole sedersi un momento?” Chiese ancora il ragazzo. L’uomo lo fissò con occhi persi su un altro quando. Quasi subito però recuperò concretezza. “No, davvero, è tutto a posto”. Con gesti d’automa mise il piccolo volume nella tasca del cappotto e pagato il dovuto, si allontanò. Non riusciva ad organizzare nessun pensiero compiuto e qualsivoglia teoria il suo cervello cercasse di imbastire si sfaldava immatura sotto il peso del paradosso. Raggiunse un piccolo caffè in riva al fiume, si sedette ad un tavolino assolato e cercò di distendere i nervi scossi. Ordinò un caffè e un’acqua minerale. Portò di nuovo la mano alla tasca. Ne saggiò il contenuto e solo quando lo sparuto cameriere gli ebbe posato davanti la sua ordinazione trovò il coraggio di estrarre il libro. Lo fissò a lungo o almeno fintanto che il passato lo travolse come una locomotiva.
Si rivide all’alba di una notte assurda, che nei suoi balbettanti ricordi di vecchio definiva La Notte della Grandine. Si rivide lasciare la casa in cui era cresciuto. Lo sguardo a terra. Una valigia a traino. E sulla testa un cielo terso e limpido, perfetta antitesi al suo stato d’animo. Rivide la faccia livida di suo padre, con le vene del collo gonfie per la collera. “Tu sarai medico a costo di ammazzarti con queste mani!” E la voce musicale e per questo ancora più assassina con cui sua madre lo aveva inchiodato a quel destino, “questa cosa dello scrivere va bene. E’ divertente. Ma è come con la puttanella del paese. Divertirsi con lei è giusto ma sposarla è da sciocchi”. Bevve il caffè in un sorso unico. Chiuse gli occhi al sole e gustò l’arancione luminoso che filtrava attraverso le palpebre. Eppure c’era stato un periodo in cui tutto era sembrato possibile.
Già da molto piccolo era stato chiaro a tutti che per lui scrivere era facile e necessario quanto respirare. La signora Di Fraia, la maestra delle elementari, aveva parlato di Dono. E lui non aveva disatteso il termine. Aveva vinto due prestigiosi concorsi letterari e tre suoi racconti erano stati pubblicati su quotidiani regionali di rilievo. E tutto questo quando ancora le scuole medie erano un pensiero lontano. Numerose volte la maestra aveva cercato di inorgoglire i suoi genitori con quei risultati, ma Mauro Lamarca, suo padre, un uomo tozzo e monolitico abituato a perdere ogni giorno pezzi d’anima nella fabbrica di frigoriferi dove lavorava, a quelle parole si chiudeva in un mutismo cupo che faceva intuire un ribollire di pensieri perniciosi. Mentre Loretta Lamarca, sua madre, una donnetta minuta e incolore che sembrava incapace di staccare gli occhi dalla punta delle scarpe, cinguettava risatine di imbarazzo e superficialità. Intanto lui, Ottavio, faceva quello che i bambini fanno a quell’età. Giocava, fantasticava, si feriva con gli spigoli dei primi amori, ma in più scriveva, e facendolo crebbe coltivando il sogno del romanzo. Ci mise quattro anni a scriverlo. E mentre i suoi genitori attraversavano la vita come muli rancorosi spinti in avanti solo dal miraggio del riscatto che l’aver un figlio medico avrebbe dato loro, Ottavio scriveva, cancellava, correggeva, strappava, ricomponeva, il suo grande romanzo. “Lo specchio nero”. Con quel manoscritto tra le mani, all’età di quindici anni, si era presentato al cospetto dei suoi genitori per rivendicare la sua idea di futuro. “Studierò lettere”, disse determinato, “e sarò un grande scrittore”.
La reazione di Mauro Lamarca fu quella che sappiamo, collerica e scomposta, ma furono le parole di sua madre, che sapeva capace di apprezzare, anche se di nascosto dal marito, le sue doti di racconta storie, a piegargli la volontà. “Adesso basta Ottavio”, le disse e la sua voce era cinguettante come quando gli augurava la buona notte, “questa cosa dello scrivere va bene. E’ divertente. Ma è come con la puttanella del paese. Divertirsi con lei è giusto ma sposarla è da sciocchi”. Li invitò a leggere Lo specchio nero prima di parlare così. Ma venne ignorato e nel più crudele degli impeti di rabbia del padre il manoscritto gli venne scaraventato in faccia.
La notte di Ottavio non fu solo insonne. Fu un lento e spiraliforme scivolare nella disperazione. Se la vita doveva diventare qualcosa che non prevedeva il suo sogno tanto valeva non viverla. Si mosse senza il ricordo di averlo fatto. Come in trance. E si ritrovò con un rasoio affilato al polso. Si sorprese della dolcezza del dolore quando vide una goccia scarlatta di sangue scivolare sulla pelle. La goccia, forma perfetta, tracciò un percorso straordinariamente lineare, oscillò un attimo al bordo del polso e poi vittima del proprio peso precipitò. Il tempo si fermò di un battito quando la goccia esplose sul pavimento. E poi fu clangore e tumulto. Un baccano di nocche contro ai vetri e percussioni sui tetti. Una grandine prodigiosa, mai vista prima, stava riforgiando il mondo. Non si vedevano le case oltre la strada. Ottavio, appiccicato al vetro della finestra la osservò rapito. Durò solo pochi secondi. Ma fu quanto bastò per smontare le cupe decisioni del ragazzo. E andò come andò. Inghiottì il suo sogno che finì chissà dove. Ottavio Lamarca divenne il Dr. Ottavio Lamarca, stimato cardiologo, marito di moglie fedifraga, genitore amato a fasi alterne, primario tardivo, luminare misconosciuto, precocemente canuto. E poi pensionato. Divenne nonno distratto e distante. Divenne padrone di Labrador dai nomi buffi. Divenne l’uomo che adesso se ne sta seduto al tavolino di un bar in riva al fiume. Con gli occhi bagnati di lacrime davanti ad un libro logoro dalla copertina blu il cui titolo recita: “Lo specchio nero”. E nella cui quarta di copertina, se mai vi capitasse di sfogliarlo leggereste: Ottavio Lamarca, scrittore di immenso talento scrisse numerosi racconti e questo unico romanzo, pubblicato postumo, prima di togliersi la vita nella primavera del 1955.
Il racconto conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che la vita priva di motivazioni e improntata alle decisione degli altri (leggasi genitori) non dà soddisfazioni e svilisce. La scrittura scorre bene e non cade a terra come la goccia di sangue del tentato suicidio. Rimane il mistero della scritta riportata sull’unica copia, finita sulla bancarella dei libri usati; poco importa risolverlo perché la copia finisce nelle mani dell’autore. Intrigante e bravo Marco.
Emanuele