Premio Racconti nella Rete 2014 “Ite, missa est” di Daniela Di Francesco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 201401/07/07
La luna rossa e tonda che sta appesa fuori dalla finestra a guardare i fuochi di luglio, lasciò vagare il pastore errante senza mai dargli una risposta.
Stasera capisco il canto. Stasera la mia camera da letto è la steppa dell’Asia ed il silenzio della luna è più assordante dei botti che fanno sobbalzare la gente assiepata sul lungomare.
Rapallo è in festa. Molti luoghi sono in festa. Ad Agrigento, nella terra dei miei nonni, i fedeli in questo stesso giorno rendono onore al santo nero, quel San Calogero a cui si butta il pane e si dedicano i figli.
Una folla di Lillo, Gero e Calò abita le tombe, le case, le culle e gli uteri della città dei templi. Perché il santo africano non abbandoni Girgenti. Perché così sia, nei secoli dei secoli.
Qui non è molto diverso. Lo stemma della Madonna di Montallegro è persino sulla bandiera del Comune. Chi non è di Rapallo non può capire. Anche i miscredenti, qui, vanno a fare la novena ascendendo a piedi al santuario, prima che il sole sorga. Anche chi ancora s’ostina a cantare Bandiera Rossa è devoto alla Signora di Montallegro, ed io non ho alcun titolo per capire. Non l’ho invocata prima, la Madonna, e non posso certo incolparla in questa notte di festeggiamenti.
Ma il silenzio della luna stasera è così assordante che mio marito – stremato dall’ennesima piena della mia sofferenza, oltre che dall’autostrada lungo la quale mi ha appena riportato a casa dalla Toscana – non sente esplodere i fuochi che da sempre ama.
Sprofondato nel letto della nostra steppa dolente, Massimiliano dorme alle mie spalle. Nonostante il frastuono, lo sottrae alla veglia un sortilegio nel quale la sua stanchezza è intrisa di paziente malinconia e d’insondabili timori.
Ogni fontana di luce che illumina il riquadro della mia finestra fa aprire migliaia di bocche, spalanca occhi di grandi e di bimbi, squarcia il buio con rumorosa magnificenza. Le bocche si aprono stupite, il sipario si apre ormai sulla festa.
Esclusa ma presente, io immagino che si aprano anche i cuori, a preghiere, a speranze, a promesse…
Grazie, nostra (anzi, loro) Signora di Montallegro. Proteggi la tua Rapallo, Maria, benedici quest’infetta Rea Palus, dove a te si fanno voti da quattrocentocinquant’anni e ad altri i voti si chiedono, si promettono, si vendono…
Proteggi il cemento che ha strozzato la bellezza ed il mare dove sono annegati per sempre i fasti della perla del Tigullio, che i pirla della Padania assediarono e rosicchiarono compiaciuti, con il benestare degli affaristi della Riviera.
Non distogliere il tuo sguardo da queste bocche e da questi occhi aperti sul mistero e neppure, se puoi, da quelli chiusi e stanchi di mio marito. Lui, che venne a te, in gennaio, chiedendo salute e protezione per il nostro bambino, continua a volerti bene, quietamente, con la stessa consolante fiducia di quando era piccolo.
(Decidesti di non ascoltarlo o nessuno decise mai nulla?)
Aiutalo tu, Signora di Montallegro. Fallo, te ne prego, che tu ci sia davvero o che tu sia solo un sogno nato per lenire la nostra paura davanti alla sofferenza.
Qualunque sia la verità, le bocche e le menti – in questa notte d’estate – si aprono per te.
Ma io apro le mie braccia e sono vuote, stringo le mani e stringo vuoto, mi rifletto nel vetro e s’apre nei miei occhi un inutile abisso. Qualcuno mi ha strappato il cuore e lo ha gettato nello stesso abisso dove ora si perdono le carezze che stanotte avrei fatto a mio figlio per calmarne il pianto innescato dai tuoi fuochi, Maria.
Il dolore mi apre.
Angioma cavernoso cerebellare espanso alle meningi con emorragie recenti e pregresse retrocerebellari, meningee e nel tessuto nervoso con aree di malacia conseguenti agli spandimenti emorragici stessi.
Hanno aperto Francesco, ma ancora non chiudono la pratica. Quest’attesa mi squassa.
Forse impazzirò. O è già successo?
Cos’altro può voler dire, altrimenti, che ogni fontana di luce rossa, quando illumina il cielo, mi esplode in testa?
I miei occhi non vedono un fuoco d’artificio. I miei occhi si sgranano su uno stupefacente, sontuoso angioma di luglio, il quale dopo l’ennesimo botto si lascerà dietro nient’altro che un’emorragia di solitudine.
Non sono i botti a svegliare Massimiliano. Mi abbraccia, molto tempo dopo, ridestato dal mio pianto sommesso. Dice “ti amo” e io gli chiedo di non lasciarmi.
“Resti con me anche se impazzisco?”, domando.
Intanto gli occhi, finalmente, mi si chiudono, si spengono gli applausi della gente ed il mare torna calmo, mentre i fuochisti abbandonano le chiatte.
Le mie braccia vuote non tremano più.
La festa è finita. Andate a nanna.
E così sia.
Un racconto che ti colpisce nel profondo, nel ventre, nel tuo essere madre e apprezzare il dono, immenso, che ci viene concesso, chissà se sono solo fuochi d’artificio o sono mille angioletti che ci rallegrano l’animo, anche solo per pochi istanti.
Un crescendo sontuoso ed emozionante. Complimenti.
Daniela ha un’anima grande e palpitante. Ed è nata scrittrice. Questo racconto lo conferma. Non le servono premi ma forse incoraggiamenti: voglio un romanzo! Davvero brava.
Così il dolore diventa arte.
Commosso
L’amore di una mamma è luce e calore che si mantiene dopo l’esplosione e si alimenta anche quando c’è la sofferenza. Hai rappresentato bene il dramma di una mamma che si trova davanti alla malattia del figlio che ama e con al suo fianco un uomo che l’ama.
Un fuoco d’artificio nell’anima. Grazie, Daniela