Premio Racconti nella Rete 2014 “Arianna nel paese che non c’è” di Elisa Bellino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Arianna è una bambina stupida.
Arianna è talmente stupida da credersi la più bella di tutte. La più bella della classe. La più bella del mondo.
La cosa ancora più stupida è che Arianna si crede invincibile. Crede di poter sconfiggere il più cattivo dei cattivi, dal cattivo delle favole, al bullo più pericoloso e spaventoso della scuola, al ragazzo bellissimo, che da lei vuole e vorrà sempre una cosa sola.
Lei sa di poter rivoltare in un nanosecondo le carte in tavola, sa di avere il potere di fingere di essere quella che non è, sa di potersi trasformare in wonder woman ad ogni occorrenza, facendo credere al mondo intero di essere invincibile, più forte di tutti.
Lei è lei, Arianna, la migliore, audace, furba, micidiale, pericolosa. Può far male, è tagliente, come un coltello da cucina.
E poi c’è lei.
Timida, impacciata, insicura, paurosa.
Convive con mille paure, il terrore dei ragni, degli insetti viscidi e schifosi, seppur minuscoli.
La paura del buio, dei ladri, degli assassini, che chissà poi per quale strano motivo, vogliono ammazzare sempre e solo lei.
Ha tanti sogni, molti dei quali non arriva a comprendere nemmeno lei. Vorrebbe fare tantissime cose, ma è piccola, insignificante, sola.
E da sola non può fare nulla.
Da sola non ha nessun futuro.
Alle elementari avrebbe preferito trascorrere la maggior parte delle ore dietro la lavagna. Come quando stai in punizione. Avrebbe preferito stare lì dietro per non vedere nessuno. Nessuna faccia da culo insopportabile, nessun individuo da picchiare a sangue.
Solo lei, arianna.
E un gessetto bianco, capace di far rizzare i peli a chiunque, se raschiato nel giusto modo contro la superficie ruvida della lavagna.
E poi, lei appunto. Lei, con la lettera maiuscola. La lavagna. Una superficie nera, enorme, grandissima. A sua completa disposizione. Può farci quello che vuole. Può decidere di scrivere semplicemente il suo nome, più e più volte, per sviluppare un particolare, e del tutto individuale senso di identità. Può fare semplicemente la sua firma, più e più volte, per migliorarla, renderla meno leggibile, arricchirla di elementi, scriverla più personale, più manuale, in corsivo o in stampatello, imitando quella del babbo, perfetta ed irraggiungibile.
Ma Arianna non avrebbe fatto nulla di tutto ciò.
Non ha bisogno di personalizzarsi. Non ha bisogno di crearsi un’identità. Né tanto meno di accentuarla, caratterizzarla, arricchirla. Lei ha un modo tutto suo per arricchirsi. Lei sa come crescere, personalmente, intellettualmente, fisicamente. E’ convinta che nutrendo la sua mente, il suo cervello, i suoi neuroni, e permettendo ai suoi polmoni di respirare un’aria pulita, incontaminata, un’aria sempre nuova, ricca e gioiosa, potrà crescere sempre di più, ottenere tutto ciò che desidera, potrà volare in alto, sopra le nuvole, sfiorare le stelle, e realizzare tutti i suoi sogni.
A lei basta avere un gessetto in mano. Quel gessetto. E la lavagna.
E poi lo sapeva, la mano avrebbe iniziato a muoversi da sola, illustrando chissà cosa su quella superfice del colore della pece.
Ha sempre amato il bianco e nero. Specialmente il bianco sul nero. Quel segno polverizzato del gessetto, carico di energia e mistero, l’ha sempre affascinata.
La mano inizia a muoversi, sinuosamente, danzando sulla lavagna, creando delle piccole increspature, come le onde di un mare, prima veloce, poi lento. E’ entrata in quello stato di trance. L’unico modo che ad oggi conosce. L’unico modo per evadere da ciò che succede nella sua classe caotica. Piena zeppa di bambini senza cervello. E senza cuore. L’unico modo per evadere dal mondo che continua a scorrere troppo velocemente al di fuori.
Arianna ora ha bisogno di un po’ di calma. Un po’ di pace interiore.
Ed ecco Arianna. Una bambina stupida, che si ritrova in mutande in una spiaggia deserta. Dico deserta proprio perché non si vede anima viva. Soltanto lei. Lei e le sue mutandine con un elefante che saluta agitando la proboscide. Porca miseria, a saperlo si sarebbe almeno potuta mettere un intimo più sexy. L’elefantino proprio non si può vedere! E per una bambina stupida come lei l’apparenza è tutto. Non ci si può presentare in un luogo del tutto sconosciuto, per ragioni assolutamente ignote, con delle mutande da poppante.
Arianna non ha paura di niente. Ritrovarsi dal nulla in un’isola deserta, completamente da sola e per giunta in mutande, non è assolutamente un motivo valido per allarmarsi. Ci sarà sicuramente una spiegazione. Oppure un bel principe starà di certo correndo da lei con un cavallo nero. O forse era bianco. Oppure un pirata bellissimo e pericoloso starà per approdare sull’isola per rapirla, ed innamorarsi perdutamente di lei. E delle sue mutandine da poppante.
Poi c’è da dire che quest’isola è disegnata. E’ disegnata con un pastello bianco a gessetto, su una superficie nera. E sicuramente l’illustratore non era uno sprovveduto. Ha pensato proprio a tutto. E ha fatto un lavoro fantastico. E Arianna si sa, di arte se ne intende. Come di tutto d’altronde. E’ la più intelligente e colta della classe. Oltre che la più furba, sveglia, bella, interessante. Insomma lei è tutto. La regina del mondo. La regina dell’isola.
Incomincia a camminare sulla spiaggia, affondando per bene i suoi piedi nudi nella sabbia fredda. E con l’alluce disegna una corona, ma una di quelle belle brillanti, piena di diamanti, da vera principessa. Si, la principessa sul pisello.
E intanto assiste al tramonto più spettacolare che possa esistere al mondo. Un calar del sole in bianco e nero non si vede tutti i giorni! E’ carico di sfumature. E di magia. Chissà se l’autore di questo mondo si è sporcato tanto per realizzare questo capolavoro. Lei tutte le volte che disegna con il gessetto si colora tutta di bianco!
Avesse fatto una cosa del genere come minimo si sarebbe ritrovata polverizzata, sotterrata da una montagna di cenere di gessetto.
Incomincia a fare freddo. Il vento comincia a soffiare forte. Soffia forte e le scompiglia i capelli. Ma non in quel modo sensuale, come si vede solo nei film, dove la ragazza dal corpo perfetto scuote la sua folta chioma, salutando il suo amato.
Questo è un vento gelido, cattivo, micidiale.
E’ un vento che ti sradica dal terreno spingendoti a terra. E’ un vento che ti prende per mano e ti trascina via con lui. Senza chiederti il permesso. Senza dirti il perché. E’ un vento che non risparmia nessuno. E’ un vento che ha sete di sangue. Del suo sangue.
E’ un vento che non sussurra (ai cavalli), ma che urla a gran voce il suo nome, prima di soffiarle dentro con una potenza disumana tutto il freddo e il gelo della notte. Quest’aria polare le sfiora le dita dei piedi, per poi attraversarla tutta, entrandole dentro. Fino a penetrare nelle ossa, in profondità, a riempirle i polmoni di ghiaccio, ad annebbiarle la mente.
Arianna non oppone resistenza, si lascia trasportare da questa forza maggiore. Ormai in preda al panico si chiude a pallina, per proteggersi da questa violenza fuori da ogni controllo, e per non guardare. Restare nel limbo, all’interno di quella piccola protezione, seppur immaginaria, offerta dal suo corpicino, chiuso a guscio, la rassicura. Poi ammettiamolo, chi avrebbe il coraggio di fare del male ad una bambina che si presenta con delle mutandine così ridicole? Articolando quest’ultimo malato pensiero Arianna perde conoscenza, e si lascia cullare da questa tempesta di vento. Che chissà dove la porterà.
In fondo si sa, all’interno di ogni essere cattivo c’è sempre qualche cosa di positivo. E una bontà nascosta.
E’ così che un barlume di speranza piano piano si accende, e illumina la buia e fredda notte.
Una serie di immagini in bianco e nero scorrono leste nell’infinità del cielo, alla velocità dei fotogrammi di una pellicola cinematografica. Si allontanano all’occhio umano sfumando nello sfondo. Nello sfondo di un quadro realizzato a gessetto. In tutta quella magia carica di mistero tipica del bianco e nero. Realizzato da non si sa chi, non si sa quando, e non si sa il perché.
E Arianna si ritrova catapultata magicamente in un’altra dimensione. In una realtà dove il tempo non esiste. Si risveglia raggomitolata in se stessa. Attorno a lei una stanza bianca, infinita, eterna, soave, calda. Accogliente quasi.
Di fronte a lei una superficie riflettente. Non uno specchio, ma semplicemente una superficie riflettente. Apre gli occhietti piano piano, stropicciati dal sonno, quasi avesse dormito un anno intero. La stanza è avvolta da una luce potente, naturale, che proviene dall’alto, accecante ma non fastidiosa. Bella, come solo una luce divina sa essere.
E improvvisamente tutto intorno a lei diventa bello, lei stessa si sente carina e aggraziata, come una ballerina di danza classica, avvolta nel suo tutù e scarpette, che le calzano alla perfezione. Tutto è talmente perfetto che avrebbe quasi voglia di ballare.
Così inizia a muoversi, stiracchiando pian piano i muscoli addormentati delle gambe, con cautela, abbozzando dei piccoli passi silenziosi, quasi avesse paura di svegliare qualcuno. Si dirige di fronte a lei, rivolta verso la superficie riflettente, che la scruta da sempre.
Si osserva, timorosa, scostandosi appena i capelli dal viso. Si passa lentamente la lingua sulle labbra secche, e con un lento, lentissimo movimento, distende il braccio in avanti, staccandolo dal corpo, allungandolo fino a sfiorare appena la superficie che le si trova di fronte. La tocca, ci appoggia il palmo della mano, la accarezza.
Ed ecco che si sente improvvisamente leggera, come un filo d’erba mosso appena dalla brezza estiva. Come un aquilone che vola leggero nel cielo, guidato solamente dalla felicità di un bambino, che lo segue speranzoso con il naso all’insù. Questa è la gioia immensa che prova Arianna, nel momento in cui il suo corpo inizia ad interagire con questo muro. E basta poco per capire che questo muro è fatto di carta, sottile, ruvida, piacevole al tatto, che profuma di nuovo, di rose, di mattino. Emana quel tipico odore del libro appena scartato dalla sua pellicola protettiva.
Arianna non è affatto una bambina normale. Non è una di quelle classiche femminucce che si lasciano guidare alla scoperta del mondo dalla mamma, dal papà, o peggio ancora dagli amichetti. Lei ama camminare da sola, con le sue gambe, annusando tutto ciò che la circonda, e vivendo la continua scoperta del mondo, giorno dopo giorno, con i suoi vispi occhietti.
Fu così che, mossa da quella curiosità, che caratterizza soltanto le persone che sono portate da un qualche istinto avventuriero, a guardare al di là della semplice apparenza, ad andare a fondo, sviscerando ciò che appare a primo impatto all’occhio umano, Arianna si lascia cadere a peso morto sulla pagina, per scoprire cosa sta dietro.
Tante domande le affollano la mente: di che libro si tratta? Sarà un romanzo, un insieme di racconti, un libro per bambini, un libro di poesie, un saggio… Può avere un’infinità di identità diverse.
E c’è solo un modo per scoprirlo. Buttarsi dentro, immergersi in quella lettura sconosciuta.
La pagina si chiude su di lei, avvolgendola interamente, quasi a creare un bozzolo protettivo, per difenderla e tutelarla lungo questo viaggio fantastico.
“Verba volant, scripta manent”.
Queste parole sono incise sulla carta. Attorno a lei.
Sicuramente vogliono dire qualcosa. Di certo c’è qualcosa da capire, da decifrare.
Ma Arianna si sente stanca, affamata, sola. Avvolta nel suo bozzolo di carta ha voglia solo della sua mamma. Vuole tornare a casa. Vuole svegliarsi l’indomani con il rassicurante bacio del buongiorno e il profumo della colazione proveniente dalla cucina. Queste avventure sono belle se vissute in compagnia. E’ stanca di cavarsela da sola. Ha voglia di essere rassicurata, vuole sentirsi dire che tutto andrà bene, che domani è un altro giorno.
A volte basta questo. A volte basta davvero poco.
Si addormenta con questi tristi pensieri in testa, e lascia sfuggire una calda lacrima, trattenuta da troppo tempo. Questa attraversa testarda il viso liscio e pulito di una bambina triste, e, rigandole il volto, termina la sua folle corsa, bagnando la superficie immacolata della carta.
Ed ecco arianna, una bambina piccola, sola, spaurita, persa.
Una bambina che deve ancora crescere. Una bambina che ha bisogno di essere rassicurata. Una bambina che ha bisogno della sua mamma.
Dormì per un tempo infinito, che le parve un’eternità. Difficile quantificarlo in un luogo indistinto, nebuloso, senza tempo, dove non esistono orologi, né differenze fra giorno e notte, né tramonti, né albe.
E’ un po’ come ritrovarsi improvvisamente nell’assurdo.
E’ un po’ come abitare nel paese che non c’è, o risvegliarsi nel mondo incantato di “Alice nel paese delle meraviglie”.
Solo che lei si chiama arianna, non Alice, non indossa un bel vestitino anni ottanta, con una gonna lunga, ampia, ingombrante. Non ha una folta chioma bionda fermata da un bel cerchietto. E’ semplicemente arianna, una bambina insignificante, con dei semplicissimi e banali capelli color castano, e un paio di mutande abbastanza vergognose. Con un elefante disegnato sopra. Che saluta con la proboscide. E si trova avvolta in una pagina di un libro. Completamente sola. E spaventata. E nei dintorni non vede nessun Bianconiglio.
Però non sarebbe male festeggiare un “Non compleanno”.
Si srotola svogliatamente dal suo bozzolo, stiracchiandosi pigramente, quasi come se la sveglia le urlasse a gran voce che è ora di andare a scuola, che è in un ritardo tremendo, e la volontà la incitasse al contrario a girarsi dall’altra parte, e continuare il bellissimo sogno interrotto bruscamente.
In realtà arianna ora si sente solo tanto piccola, all’interno di un libro enorme, bianco, immacolato, candido, che profuma di nuovo. Non ha l’aria di essere uno di quei noiosi volumi, tutti ingrigiti dal tempo, come quelli sui quali è obbligata a studiare a scuola, e non è certamente neanche un vecchio saggio ammuffito negli scaffali della biblioteca. E’ qualcosa che va al di là della sua immaginazione. Ma non importa. Non ha voglia di indagare. Non vuole scoprire. Scorre lentamente le pagine giganti, facendole slittare velocemente sotto i suoi piedi nudi, e la carta inizia a tingersi di lettere nere, via via sempre più fitte. Qualcosa viene raccontato in quelle pagine. Qualcosa muore dalla voglia di essere letto.
E la storia inizia a prendere corpo.
Ed ecco arianna. Piccola, timida, paurosa, una di quelle bambine che preferirebbe passare la sua giornata da sola, dietro la lavagna della sua classe, piuttosto che sedersi al proprio posto in mezzo ai compagni.
Ed ecco arianna che si accuccia ai piedi del grande libro, esattamente come fanno tutti i bambini della sua età, la sera, stanchi, sulle ginocchia materne.
Ed ecco che arianna inizia a leggere, inizia a dare un senso a tutte quelle lettere disperse sulla superficie cartacea ai suoi piedi.
Inizia a leggere, ad immaginare, a creare.
E la storia inizia a prendere corpo, vita, identità. Le lettere nere si uniscono formando delle parole, che a loro volta insieme danno vita a delle frasi di senso compiuto. E il libro assume la personalità dei personaggi descritti tra le pagine. Diventa prima un soldatino di piombo, che ha paura della guerra, e si rifiuta di andare in battaglia. Diventa una principessa bruttissima, che non ha il coraggio di uscire dal suo castello per andare in cerca del suo principe azzurro. Diventa un dinosauro enorme, grandissimo, spaventoso, che non è accettato dalla sua famiglia perché vegetariano. Il libro si trasforma in svariate entità, si tinge dei colori dell’arcobaleno. E racconta tante storie diverse, parla di viaggi lontani, di draghi, di streghe.
Arianna, persa in quei racconti incantati, lavora di fantasia, ricreando nella sua mente le ambientazioni, impersonificandosi nei protagonisti, vivendo in prima persona le stesse avventure che divora con gli occhi, ormai stregata dalla magia della lettura.
E’ un lavoro duro quello del lettore. Il più faticoso del mondo.
E intanto non si rende conto, immersa in quel magico mondo, che non è più tanto piccola ed insignificante. E’ tornata ad avere delle dimensioni normali. Reali, come quelle di una principessa.
Ed ecco Arianna, una normale bambina di nove anni. Un po’ bassina, è vero, ma pur sempre una bambina di nove anni.
E’ per terra, dietro ad una lavagna, coricata in mezzo a tonnellate di polvere di gessetto.
E’ immersa nella lettura di un libro.
Un libro bello, grande, importante.
Un libro dalle pagine bianche, pulite e profumate.
Ma con delle illustrazioni bellissime e colorate.
In copertina l’immagine di un’isola deserta, lontana, in bianco e nero. Talmente reale da sentire quasi il rumore delle onde infrangersi sul bagnasciuga di una spiaggia incantata.
Dall’alto dei suoi centoquaranta centimetri o poco più, un ragazzo bellissimo la invita a sollevare un poco il capo, e le sorride teneramente.
E improvvisamente Arianna non si sente più tanto minuscola.
Arianna è una bambina speciale. Speciale per qualcuno. Speciale per il suo sorriso.
E un disegno fatto a gessetto, di un’isola deserta, un mare e una spiaggia lontana, rimane lì, dietro ad una lavagna.
Nel retro di una lavagna speciale.
Fatto da una bambina speciale.
Il tuo racconto è la prova della creatività umana, di come su un soggetto delicato “una bambina” si possano sviluppare tantissime espressioni. Non è però istrionismo puro. E’ tutta l’attenzione che merita l’infanzia, per non relegarla dietro la lavagna, una pratica abbandonata da tempo, spero, e per suggerire comportamenti e percorsi per la crescita.
Testo Interessante, Elisa.
Emanuele.