Premio Racconti nella Rete 2014 “Hai cantato a sufficienza nella tua vita?” di Rodolfo Marchesi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014“Hai cantato a sufficienza nella tua vita?” chiese il bambino a quell’uomo, guardandolo fisso nelle pupille, nascosto nella penombra.
La luce della finestra gli illuminava il volto famigliare.
“Penso di sì” rispose l’uomo, sorpreso.
“Ho dovuto urlare quando la rabbia e il dolore dovevano trovare una via di fuga, per non corrodermi da dentro. Ho sussurrato flebili melodie quando chi avevo accanto doveva addormentarsi. Ho intonato versi per ore ed ore, per confondere il mal di mare aggrappati su di un ponte, la tempesta intorno.”
“Ed è servito sempre a salvare te e chi amavi?”
“Si, penso di sì.”
“E ti ha aiutato a tenere quelle persone vicino ancora oggi?”
“No.”
“Avresti dovuto cantare di più allora.”
“O di meno”.
Ma il bambino non rise. Impossibile. Non rise.
Le sue labbra non sembravano quasi muoversi, ma dopo qualche secondo di silenzio altre richieste arrivarono alle orecchie di quell’uomo:
“Hai sognato a sufficienza nella tua vita?”
Risvegliato da quelle parole l’uomo riprese: “Direi di sì. Ho sognato ad occhi aperti; ho sognato cercando di scalare pareti fredde, consumando le ginocchia fino a vederle sanguinare. Mi son lasciato trasportare in voli senza peso sudando su di uno strumento, percorrendo in lungo e in largo un palco e su di esso mettendomi completamente a nudo. Son rimasto sospeso sopra la realtà, guidando nella notte fino allo stremo delle forze per arrivare nel posto in cui volevo essere, con chi mi aspettava. Ho bramato di liberarmi delle catene spigolose che mi ero lasciato mettere. Ho maledetto tutto e tutti cercando di essere ancora più felice, quando già lo ero”.
“E sognare ti ha aiutato a farlo?”
“Non lo so. Direi di sì, immagino”
“Hai superato tutti gli ostacoli che ti volevano divorare?”
“No, in verità. Alcune volte sono stato costretto a abbandonare la mia corsa. Li ho aggirati. Non avevo alcuna via di fuga alternativa, mi hanno costretto a farlo”.
“Avresti dovuto spingere e lottare più forte.”
Poi continuò, quasi a non voler lasciare spazio o tempo per riflettere, non ancora.
“Hai mai riso fino alle lacrime?” Il volto del bambino si mascherò di una saccente sfumatura di sfida.
“Direi di sì. Ho riso tutte le volte che la compagnia degli amici o degli amori mi hanno fatto toccare il cielo con un dito. Mi hanno reso immortale. Ho riso fino a farmela nei pantaloni, non potendo più resistere, al tempo in cui allacciarmi le scarpe era ancora una cosa da imparare. Ho riso quando motivi non ce n’erano. Ho riso sostituendo il pianto. Ma ho anche pianto quando non riuscivo a ridere.”
“Ridere ti ha salvato?”
“Direi di sì.”
“Se tutto ciò che mi hai confessato è vero, perché stai piangendo, oggi?”
“Perché mi sembra di averti deluso.”
“Avresti dovuto ridere più forte, allora”.
“Forse. Ma mi accorgo che per ogni risposta che ti ho dato, un’ammonizione per me era già pronta. Probabilmente piango anche per questo. Mi hai detto che avrei dovuto curare di più ogni cosa che ho provato a fare, nella mia vita.”
“Vedi: hai ragione, non posso negarlo. Sì, l’ho detto, è vero. E lo ripeto, persino. Comunque non pensi che non ci sia mai abbastanza ardimento nel senno di poi? So che hai impegnato ogni tua capacità in ciascuna impresa, hai stremato e superato i limiti che immaginavamo ti limitassero. In ogni scelta. Questo fa di te l’uomo che sei oggi.
“Tu avresti voluto esser diverso.” Una piccola pausa, per lasciare gli occhi scivolare verso il basso, quasi comandati da un’irreale forza di gravità.
“ Penso a come e quando io abbia sbagliato”. Proseguì ancora l’uomo.
“Potresti morire continuando a porti delle domande che forse risposta non avranno mai. Per fortuna, aggiungerei.”
“Non riesco a sopportare l’idea di aver fallito. Sono cosciente di aver ponderato male in alcuni casi, mi son fidato troppo, o troppo poco. Ho peccato di perseveranza o di codardia. Ed anche quando ho cercato di avere cura di ciò che stavo costruendo, creando basi solide, qualche terremoto ha portato acqua alle fondamenta.”
“E cosa hai fatto?”
“Ho vegliato sulla voragine di fango, fino a che gli occhi hanno resistito.”
“E poi ti sei addormentato”.
“Si”.
“ Hai lasciato un’impronta, per ogni passo mosso. A differenza di te, da qui posso vedere il cammino nella sua totalità, libero dalla contingenza”.
“Avresti voluto vedere orme diverse nel mio pellegrinare. Forse diverse direzioni, su altri terreni. Magari altre orme, non solo le mie…”
“Io sono solo un bambino, non lo vedi? Come pretendi che sappia com’è crescere, quali siano le sofferenze, gli sbagli, i torti inflitti e quelli subìti, le porte sbattute in faccia e quelle mai aperte, gli abbandoni, le vittorie, i rimpianti o i rimorsi. Immaginavo una strada diversa? Forse. Ma quello che vedo non mi dispiace. Una parte dei miei sogni rimarrà sempre. Ma questo è vero proprio perché ne rimane sempre una parte ancora viva, in te. Ogni successo pur raggiunto ha scaturito sogni nuovi, magari uguali.
Magari diversi.
Magari migliori o magari peggiori.
Questo è il nostro mondo e dobbiamo farne i conti. Non ti crucciare, io sono orgoglioso di te.”
“Grazie. Questo per me è vitale.”
“Lo so bene. Lo è anche per me.” Disse il bambino. “Ora accendi la luce”.
Senza distogliere lo sguardo reciproco l’uomo fece scattare l’interruttore.
La luce restituì i suoi occhi, ancora nudo e bagnato, a fissarsi nello specchio.
Racconto impostato su un dialogo serrato tra un bambino che lo conduce con determinazione e un uomo. Tutto lascia intendere che siano figlio e padre ma il figlio non può essere bambino tenuto conto del contenuto delle domande e delle risposte. Tutti i padri escono schiantati da questo confronto. Forse il bambino che incalza è il bambino che c’è in ogni adulto e che vuole recriminare molto per ciò che ha avuto e sofferto. Rodolfo, mi puoi aiutare a capire?
Grazie.
Emanuele.
Come ogni scritto l’interpretazione sta in chi la legge, ma il gioco dei ruoli è come dici nella seconda ipotesi.
Diciamo che potrebbe esser vago fino all’ultima frase: allo scatto della luce la stanza rivela un solo personaggio, il protagonista.
Penso sia un estratto di tutte quelle riflessioni che ogni uomo (inteso come esser umano, donna o uomo) si pone quando pensa alla realtà che vive e a quanto lontano essa sia rispetto ai diversi sogni avuti nel passato. E il gusto che ciò lascia in bocca, qualunque esso sia, non deve esser amaro, in fondo.
Spero di aver risposto Emanuele, e grazie per il commento