Premio Racconti nella Rete 2014 “Lacrimosa” di Cinzia Della Ciana
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Era un giorno di lacrime e Iacopo non riusciva a piangere.
La bocca arsa, le pupille dilatate, le membra rigide, ogni ritmo rarefatto.
Stava in piedi, dietro ad un pilastro, in fondo alla navata della cattedrale, fuori dal tempo, intossicato a morte dal dolore della morte.
Un dolore che non riusciva a spurgare nemmeno stillando una lacrima.
Il pianto, invece, viveva tutto in quella musica che inondava il duomo e crudele lo affettava nelle carni e nell’anima.
“LACRIMOSA DIES ILLA…giorno di lacrime, quel giorno, quando risorgerà dal fuoco l’uomo reo per esser giudicato. Ma tu risparmialo, o Dio! Pietoso signore Gesù, dona loro riposo! Amen!”
Così esplodeva il “Requiem” di Mozart, come disperata preghiera nel suono struggente dei violini e nell’eco possente del coro.
Di sguincio Iacopo fissava il catafalco sul quale era appoggiata la bara di Ilaria sommersa da grandi lilium bianchi.
Allucinato dalle dense esalazioni dell’ incenso e dal penetrante profumo dei fiori, si lasciava ipnotizzare dalla sagoma dell’arca dove riposava il suo cigno. Davanti ai suoi occhi sfilavano scomposti i fotogrammi della sua donna, il suo lungo collo di swan, la fiera dolcezza e l’ impercettibile virilità di una linea che racchiudeva in sé tutta l’ essenza del desiderio.
Una donna che Iacopo aveva rubato, la donna di un altro, un altro che non l’aveva ceduta, un altro che si era vendicato. Un altro che ora, tonante, eretto, sovrano della navata centrale, sfidava Iacopo con lucida freddezza dalla postazione di onore che il rito gli conferiva, a latere della bara.
Nell’aria gli acuti dei soprani vibravano le note delle prime battute del “Lacrimosa” e Iacopo non solo le sentiva, ma le vedeva, vedeva quei puntolini nel pentagramma e mentalmente li univa con una linea nera da cui usciva la testa di un cigno.
Paradossale, pensava, Amadeus aveva scritto quel pezzo proprio il giorno della sua morte, aveva composto il suo canto del cigno disegnando il profilo di un cigno.
***
Paradossale che in quella stessa cattedrale, oltre seicento anni prima, si fosse consumato un dolore speculare al suo.
E d’istinto si voltò a cercare il sarcofago di un’ altra Ilaria, un’ Ilaria resa eterna nel marmo. Un altro collo di cigno scolpito nell’alto bavero di una candida veste. Un’ altro Iacopo aveva levigato la pietra di quel corpo e lo aveva reso liscio e trasparente, quasi alabastro.
La bellezza del sonno racchiusa in un sogno infranto. Il fascino magnetico di una statua che racchiudeva un segreto rimasto celato nelle pieghe dei secoli.
Iacopo entrò nella adiacente sacrestia. Al centro, il simulacro della nobildonna, sublime, modellato dalla passione senza confini di un artista, giaceva disteso su di un basamento decorato da putti e festoni.
L’uomo si avvicinò a quella salma che sembrava desiderasse esser risvegliata e restò a contemplarla per un tempo indefinito. La testa appoggiata sul doppio cuscino, i capelli raccolti nella fascia imbottita, gli occhi delicatamente chiusi, l’ abito morbido con le ampie maniche e i polsini alti, la cintura stretta sotto il seno. In fondo, ai piedi, un piccolo cane che sgomento la interrogava. Cosa era successo? Quando sarebbe finito quel sonno?
Iacopo le accarezzò il viso come fosse un’ immagine sacra di cui si invoca la protezione, come per secoli altri avevano fatto. E fu in quel momento che sentì il marmo diventare umido e avvertì una scossa. Rabbrividì.
Non ebbe dubbi in quella sala c’era un’entità che non si dava pace e cercava la vita.
Le prese le mani. Diafane, pareva pulsassero.
Chiuse gli occhi come Ilaria e aspettò un segno.
. ***
Una voce gli si fece vicino, catapultata da un mondo lontano.
“La morte è estasi. L’anima può finalmente abbandonare il corpo e viaggiare in luoghi remoti fino al risveglio nel proprio corpo nel giorno del giudizio.”
Iacopo si girò e cercò di decifrare il significato di quelle arcane parole scoprendo il volto di chi le aveva pronunciate.
Rimase stupito. Accanto a lui, inquietante, lo fissava una vecchia magrissima, avvolta in una tunica di seta grigia, i lineamenti stirati dal vento, le rughe aperte da uno sguardo trasparente, i capelli color piombo appuntati dietro la nuca.
“Io parlo con le anime dormienti, quelle che vagano irrequiete perché non sono morte secondo natura. Un torto le ha offese e non riescono a riposare. Non potranno risvegliarsi se non placano il loro desiderio di vita. “
Iacopo tacque, sentiva solo il sapore metallico di quel timbro vocale.
Poi disse: “Perché ci parla? Glielo chiedono loro? O i vivi?”
“Sono gli spiriti erranti che vengono da me. Sono loro che mi chiamano perché c’è qualcuno che deve uscire dal labirinto. “
Ancora silenzio. Il mistero del silenzio che tentava di esprimersi con la musica che, ancora, suonava dentro la cattedrale.
“Perché?”
“Perché solo liberando altre anime possono sperare di liberare loro stessi”.
“E ora, perché è qui?”
“La donna di cui tieni le mani, ha fatto vibrare la mia mano, mi ha indicato questa chiesa. Mi ha detto che un’altra Ilaria, un altro Iacopo attendono. La storia ripete i suoi passi e la spirale del labirinto non può avvitarsi all’infinito.
Si deve uscire dal centro una volta che lo si è raggiunto.”
“Ma di cosa parla? “
“Il confine tra vita e morte non esiste. Ciò che osserviamo non è altro che una piccola realtà nel divenire dello spazio infinito. Come esistono in vita le anime gemelle, esistono nella storia le vite gemelle. Non c’è iato di secoli fra voi”.
E cambiando tono di voce, divenendo l’altra, facendosi Ilaria, quell’Ilaria, prese a parlare, fissa nel vuoto.
***
“Mi hanno fatto dormire un sonno che non volevo. Mi hanno sposato come fattrice vestendomi d’ oro e da fattrice mi hanno fatto morire. Avevo appena ventiquattro anni quando giunsi qui, a Lucca. Non volevo lasciare il mio castello, non volevo sposare un uomo che non conoscevo, chiusa tra le mura di una città senza mare. Ostaggio di un palazzo e della sua torre incombente. Mi assillava il pensiero di andare in moglie ad un uomo che, prima di me, aveva sposato una bambina per assicurarsene la cospicua dote. Una bambina di appena dodici anni che non aveva nemmeno guardato e che aveva preso solo per consolidare economicamente la sua signoria. Un uomo che, dopo la morte della poverina, aveva subito pensato a risolvere un altro problema, assicurare la sua discendenza. E così mi aveva scelta e combinato l’affare.
Gli detti subito il maschio che voleva, come voleva. Ma io non fu mai sua. Ladislao era ancora piccolo, quando mio marito scoprì di me e di Iacopo. Iacopo era già un affermato scultore ed era venuto a Lucca per farsi commissionare delle opere. Durante un banchetto mi vide. I nostri sguardi si intrecciarono e i nostri destini si legarono per sempre.
Ma il sogno che ci unì fu grave e mio marito lo stroncò senza nulla far trapelare, tessendo un crudele canovaccio. Mise subito dentro me un altro seme. Al parto mi avrebbe atteso la morte. Quale momento migliore per morire se non quello della nascita di nostra figlia? Una femmina che volle chiamare, con sfrontata ipocrisia, con il mio stesso nome. La levatrice mi portò il brodo caldo non appena mi strapparono dal seno la piccola Ilaria. Lo sentii subito che era fiele. Un sorso e persi la vista. Quella vista che aveva amato Iacopo. Iacopo al quale mio marito commissionò, quale ultima tessera dell’orrido mosaico, la scultura del mio simulacro. Così egli avrebbe celebrato il fasto del suo potere e della sua falsa devozione ponendo l’opera al centro di questa cattedrale, ma in questa tomba non mi ha mai sepolto. Pensò a questo sarcofago come alla più perfida delle vendette. Costrinse il mio amato a fare i conti con il mio corpo morto per quasi due anni. Lo chiamò e gli consegnò per modella la mia maschera mortuaria e Iacopo, che tante volte mi aveva presa, lasciò la presa e cadde in terra. Ogni giorno lavorava a quel marmo, lo sagomava, lo levigava, lo lisciava, come se mi carezzasse. Ai miei piedi scolpì il mio cagnolino perché il suo sguardo facesse sorgere dubbi sul terribile segreto. Ed invece nessuno ha mai capito, anzi tutti hanno pensato che l’animale fosse il simbolo della fedeltà coniugale. Grottesco! Iacopo aveva appena terminato la sua scultura che lui già prendeva la terza moglie.
Ora conosci il mistero che si cela in me e che si è voluto segretare. Sì perché mistero è ciò si vuole occultare e non ciò che non si riesce a vedere perché non si è in grado di vedere. “La luce non è mistero per il cieco” si è detto.
E così il mio spirito erra per vegliare su chi deve uscire dal labirinto. Vai al centro della spirale, sprofonda e poi elevati in volo, solo volando potrai uscire dal labirinto. Un angelo ti verrà incontro se non avrai paura.”
***
Poi la medium si fermò di colpo, chinando il capo. Passarono lunghi secondi fino a quando senza parola proferire, uscì dalla sacrestia.
La sua sagoma non proiettava ombra.
Iacopo, che aveva ancora le mani su quelle di marmo di Ilaria, come scosso da un crampo se le portò allo stomaco.
Si lasciò andare accasciandosi su una panca.
Lasciò che la sua anima attraversasse il labirinto e ripercorresse tutto il suo dolore fino al nocciolo duro. Si ritrovò in sala operatoria. Ne avvertì l’odore, perfino il bagliore della luce. Era lì con il suo camice verde da chirurgo, sudato, gli occhiali appannati, il respiro mozzato. Sotto il suo acciaio, macchiato di scarlatto, il suo candido cigno aveva appena declinato il suo ultimo canto. Il monitor aveva smesso di pulsare, il puntolino rigava piatto lo schermo e lo sguardo di Iacopo si appiattiva in quella riga che ritmica si impennava con il suo bip cadenzato. Il destino li aveva fatti conoscere per una malattia e quella stessa malattia li aveva separati. Ma l’esecutore crudele del destino era stato il marito di Ilaria. Scoperta la loro relazione, aveva insistito perché ad operare Ilaria fosse proprio Iacopo. Ilaria non si era opposta e si era consegnata agli uomini della sua vita, rassicurando Iacopo che nessuno meglio di lui poteva salvarla. Sì, aveva precisato la donna, sarebbe stato, comunque, un salvataggio. O viva in qualità o morta libera. E libera era partita offrendogli come pegno il suo collo offeso dalla malattia. Iacopo ebbe come ultimo flash lo squarcio in quella gola e sentì lo squarcio nella sua.
Al termine, i suoi gli occhi divennero vetro bagnato di condensa.
***
“Una lacrima è una cosa intelligente” aveva scritto un grande poeta.
Dopo la prima lacrima, quasi strizzata, le altre seguirono tonde e copiose.
Doveva imparare, come alcuni dicono, a “pensare con il cuore”, doveva uscire da quella chiesa, lasciarsi alle spalle tutti quei morti e vivere la magia della vita. Non limitarsi ad esistere, non fermarsi all’ intervallo, ma vivere cercando un’altra emozione,
ancora più forte, e poi altre ancora.
Il mistero doveva restare all’inizio e alla fine, ma nel mezzo c’erano le emozioni, essenza dell’uomo, strumento e nutrimento della sua ricchezza interiore.
Percorse la navata laterale fino alla porta d’ ingresso dalla quale filtrava prepotente un fascio di luce.
Una bambina stava sul varco, lo fissava, come se lo aspettasse.
Iacopo la raggiunse e le chiese il nome.
Arianna non rispose, si limitò a sorridere e a mostrargli con l’indice il simbolo del labirinto che stava impresso sulla formella fuori nel portale del Duomo.
E mentre Iacopo decifrava quell’immagine Arianna scomparve.
E tutto fu chiaro.
Quella porta ormai non era un’entrata, ma era l’uscita, l’uscita dal labirinto.
Arianna gli aveva offerto il suo filo e Iacopo lo aveva raccolto.
Iacopo aveva colto il segno.
Aveva capito l’importanza di cogliere le coincidenze, come le emozioni che si presentano in un istante e che ineluttabili passano se non le vivi.
Nota: il racconto, anche nella ricostruzione storica dei personaggi, è completamente frutto della fantasia dell’autore.
Intenso, onirico, una musica che ti trascina, quasi un film!
EMOZIONI, questo quel che resta, brava Cinzia
Un incastro perfetto di arte e musica, di amore e morte, di presente e passato….con uno stile deciso e vivido!
Un racconto da non perdere!!
Racconto originale, denso nei contenuti e ricco nella forma, ma soprattutto vivo: lo leggi ed è come se sentissi passarti accanto alitando misteriose presenze, quelle evocate da Cinzia per lanciarci un messaggio importante: saper cogliere e vivere la magia della vita in ogni suo attimo.
Un ripetersi musicale di emozioni in uno scenario privo di età. Un invito suggestivo: dalle vite passate degli altri trarre la forza ed il coraggio per vivere appieno la propria.
Racconto profondo, che trascende le epoche e che ruota attorno all’Amore, con le mille difficoltà’ del viverlo in mezzo agli ostacoli del conformismo e della banale normalità!!!
Cinzia, le belle pagine di questa vicenda possono costituire un “romanzo storico” con tutti i sentimenti e i valori umani. In alcuni punti il racconto è poetico e offre emozioni. Di grande effetto.
Emanuele
Molto bello. Rivivere nel presente il destino assegnato nel passato ed esorcizzare, attraverso un rinnovato dolore, la possibilità di perpetrare l’esperienza per l’eternità. La figura della medium fondamentale per ritrovare la strada della salvezza.
Angela Lonardo
Rivivere nel presente il destino assegnato nel passato ed esorcizzare, attraverso un rinnovato dolore, la possibilità di perpetrare l’esperienza per l’eternità. La figura della medium fondamentale per ritrovare la strada della salvezza.
Angela Lonardo
Ho letto il racconto ascoltando la musica del requiem di Mozart e l’effetto è grandioso. La musica è già nelle parole, ma sentirla mentre quelle parole suonano, fa lacrimare!
Racconto psichedelico molto evocativo, se volessimo fare i moderni, a Mozart sono seguiti i Pink Floid.
Bravissima, Cinzia. Anch’io ho letto le prime parti ascoltando il brano di Mozart: l’effetto è notevole, sembra di essere davvero in quella cattedrale. Ci vediamo a Lucca. Liliana
Un racconto pieno di cura e di inventiva. Cura del lessico, della sintassi, e grande inventiva nella rielaborazione della storia di Ilaria. Mentre leggevo ero accanto a Iacopo in ogni istante del suo viaggio interiore, e in ogni epoca del viaggio temporale che lo stava risucchiando. Il finale con Arianna il labirinto e il filo mi ha dato le vertigini, una specie di disorientamento proprio quando il protagonista stava ritrovando la strada. Metodo mitico!! Bello, l’ho letto con piacere coinvolgente! Complimenti
[…] spicca il volo nella narrativa: dalla forma breve (si ricorda il suo battesimo con il racconto “Lacrimosa”, vincitore a Racconti nella Rete, pubblicato nell’omonima antologia 2014 edita da […]