Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “I neuro-reklaam sono l’anima del commercio” di Alberto Vertighel

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Camminavo tranquillamente per Rua do Campo, al mio solito con la mente piena di pensieri multiformi. Era l’ora profumata del tramonto terrestre, in un perfetto giorno di fine estate. Uno di quei tardi pomeriggi brillanti, così carichi di voglia di vita.

Dal basso profilo della strada, vidi la sua figura illuminarsi e prendere forma, pochi passi davanti a me. Il suo passo volteggiava con rhythmo incalzante, alzando la polvere gridza dall’asfalto umido della calle, e facendola danzare con grazia.

Era una giovane donna, indossava un lungo vestito dakoir nero dai motivi floreali. Era un’essenza leggera e crystallina: un’apparizione mistica, variopinta laggiù fra i tetri grattacieli verticali, tanto da sembrare un’elemento sovrannaturale, e decisamente fuori posto in uno scenario così volgarmente industriale. Riuscì a trasmettermi un vollna di agitazione adrenalinica, spezzando del tutto la stasi di un pomeriggio altrimenti insignificante. Lo avevo capito da subito: doveva trattarsi di uno di quei rari e portentosi personaggi che hanno il potere sovrano, con la loro semplice presenza, di trasformare una pessima giornata in una piacevole giornata; o una piacevole giornata in una giornata davvero phantastica.

Devo però ammettere di non essere solitamente il tipo da fermare sconosciuti per strada, per fare conversazione. Nossingnore. Da queste parti non è consuetudine, e spesso può esser giudicato fuori luogo dalle convenzioni sociali. Ma io esitavo-esitavo, e lei era ormai a pochi passi, talmente vicina. Accidenti – pensai in piena paranoia – se soltasso fossi un giovane un tantino più intraprendente, a quest’ora saremmo già totalmente assorbiti in un’amabile conversazione.

Così mi misi riflettere morbosamente: beh, forse potrei davvero parlarle. O forse potrei non farlo, ma chissà, magari un giorno finirei con il rimpiangerlo. Chissà cosa potrebbe accadere, dopotutto. Tutti quei forse e chissà avevano un peso irresistibile, e dovevo disfarmene; perché avevo il sospetto che quella ragazza potesse davvero essere una porta sull’universo. E un semplice saluto sarebbe potuto essere la passfraze giusta. Potevo far scattare la sua serratura?

Quando la ragazza con il vestito a fiori si trovò a pochi passi da me, non potei controllare più alcun pensiero. A quel punto ogni esitazione sembrò svanire in uno swull liberatorio d’irrazionalità.

Così le passai accanto, e la salutai:

-Salve.

Le sorrisi con calma, per darle tempo di effettuare uno scannig, e capire che tutto sommato non avevo cattive intenzioni. In quel lungo attimo, la mia mente rimase sospesa, in trenta infiniti secondi. Dopotutto mi trovavo proprio nel pieno di Coloane Fercalx, nei pressi della Rua Comercial, in un cluster straripante di centri commerciali di ogni genere. Tristemente, una zona ad altissima interruzione pubblicitaria.

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Era normale ricevere un’interruzione neuropubblicitaria da quelle parti. Mi ci volle comunque un po’ per rimettere a fuoco la situazione.

La ragazza era lì, camminava ormai al mio fianco. Mi aveva guardato da subito con un firaga di sospetto negli occhi. Allo stesso tempo non aveva accellerato il passo, né era fuggita, e sembrava curiosa di attendere lo svilupparsi della situazione. Continuò a camminare in silenzio e con decisione, con quel suo passo disinvolto, imperturbabile come se fosse diretta verso l’agnorak, senza alcun timore.

A quel punto fui io ad esitare – ora non avevo scampo, dovevo rompere il blizzag, e dovevo essere intelligente, preparando un’uscita con una frase gentile, ma anche d’effetto. Qualcosa di generico, probabilmente un commento sul meteo, o una qualche domanda sciocca, ma non troppo sciocca; ad esempio un’osservazione sul cluster di Coloane Fercalx. O una qualche affermazione geniale. Ma non riuscii a pensare chiaramente – tutto quello che intravidi nella nebula delle mie insicurezze fu il suo sguardo da cerbiatta, i suoi occhi neri di eclysse, pronti ad intercettare ogni mia esitazione ed assorbire ogni mio sbalzo nervoso. Erano occhi che avrebbero potuto tranquillamente scatenare una rivoluzione.

Io tentati di restare impassibile, mentre lei continuava con la sua analysi sentimentale, sfidandomi a catturare la sua attenzione. Il viso era ora ruotato interamente verso di me, e solo ora la potevo vedere chiaramente in volto. Era bellissima.

– Sei bellissima… – mi lasciai sfuggire. Troppo tardi: diamine, che apertura da idiota!

Le syllabe rimasero immobili a mezzaria, galleggiando nell’etere intorno a noi. Le avevo lanciate ed adesso non potevano più trattenersi, facendosi pesanti, fino a posarsi nello spazio teso che ci divideva, cullate da quel mio viberz di voce trasognante, hypnotico, proveniente da una area tanto remota quanto sincera dei miei sentimenti.

Mi vergognai; non ero un tipo impulsiv, da parlare così alla svelta: stavo facendo la figura del pervertsuka. Eppure allo stesso tempo, la ragazza sembrò sorridere con grazia, per nulla infastidita, ma piuttosto ammirata dal mio complimento disinteressato.

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  Le interruzioni neuropubblicitarie si facevano davvero invadenti, ma non era da escludere che il mio nervosismo mentale, assecondando il rhytmo del mio battito cardiaco ormai lanciato in corsa, stesse aumentando la naturale propensione a ricevere gli stymoli dalla vasta moltitudine di neuro-reklaam circostanti.

– Grazie, sei gentile – bisbigliò lei, con educazione.

Intravidi la possibilità di poter continuare la conversazione. Sarebbe stato strano a quel punto lasciar perdere.      Trassi un lungo respiro, alla ricerca della nota più gentile su cui poter impostare la mia voce. Le chiesi se abitasse nei dintorni, cercando di prendere tempo per pensare ad uno spunto decisamente più amichevole.

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  Le tormentose psychopubblicità continuavano, e mi stavano dando alla testa. Troppe interruzioni commerciali, troppe… non riuscivo neppure a restare concentrato sul nostro tentativo di dare vita ad una micro conversazione.     Mi chiesi allora se anche lei ricevesse così tanti glyph mentali ed immagini con spunti pubblicitari, giacché anche il suo sguardo sembrò farsi vacuo, e per pochi secondi la nostra interazione parve bloccarsi del tutto.

-Si sente bene? – mi sentii in dovere di domandarle – ma era mai possibile poter condurre una conversazione normale? Mi parve proprio di no.

La ragazza riprese il controll, i suoi begli occhi spenti ripresero calore dal nulla del vojdol, come se tornassero da un altrove sperduto nei suoi pensieri, portando con loro una luce dal chroma arcano. Cercò di scusarsi per quel momento di breve stordimento.

Insistetti se per caso non si fosse persa, o chiedendo se magari necessitasse di aiuto. Un po’ patetico, ma era ormai inutile tentare di pensare compiutamente. D’altra parte non sembrava una creatura normale, terrena: era una piacevole anomalia, dolce e velvethata. Ed era proprio il mio tipo, dannazione. In una piacevole, completa antithesi con la malia di ogni ragazza ordinaria. E in contrasto con la sua leggerezza, io mi sentii pesante, goffo, con il mio volto duro e muto di ogni espressione, un ritratto scolpito nel cemento. Ma lei doveva aver capito che non avevo cattive intenzioni.

Così, con la sua costante delicatezza che avevo già imparato ad apprezzare come se la conoscessi da una vita, la ragazza continuò a camminare, scendendo per Rua do Campo. Con un ultimo slancio, le chiesi se per caso le andasse di bere un caffè, o di fare una camminata, ma mi rispose prontamente che anche se ero molto cordiale, lei aveva già da fare. Secca e malinconica.

Avevo capito. Avevo perduto il momento chiave, la mia occasione d’oro per dimostrarle che forse io potevo avere la passfraze del suo universo; ma avevo finito per restare un’ordinario ai suoi occhi, ed avevo fallito. Il tutto aveva finito per bruciarsi nel giro di pochi attimi: la guardai allontanarsi, uscendo dalla mia vita proprio con la stessa rapidità vertiginosa con cui ne era entrata, un’epifania momentanea ed intensa che arrivava al suo termine. Già non potevo esser certo che il nostro breve contacto fosse stato pura realtà.

E dire che la mia mente stolidamente si era lanciata in viaggi ultra immaginari, pieni di vizual di una vita insieme. Mah, forse ascolto troppo pubblicità, pensai con amarezza. Eppure non ero deluso, anzi, in un certo qual modo mi sentivo fiero di me stesso. Ero riuscito a parlarle, e senza risultarle necessariamente viscido e nauseabondo. Anche se soltanto un flebel momento passeggero, era stato grandioso poter connectere le nostre due esistenze straniere, per quell’unico istante. Poter essere parte della sua vita, in quel micro frangente. Non era dopotutto facile sfondare il leggendario muro della non-comunicazione che contaminava i quaritieri cluster commerciali di Coloane.

Con rammarico, allontanai lo sguardo dal suo profilo evanescente, ormai irraggiungibile, e lo sollevai verso lo sfondo dei grandi magazzini della Rua Comercial. Il quartiere aveva una forma irrimediabilmente verticale; i grattacieli, le kommerchalplatz e le micro unità di appartamenti ruotavano e si intessevano come tanti telai ruotanti, lenti ed intercambiabili. Architetture modulari che si spostavano ogni giorno per creare combinazioni nuove, variando la propria configurazione secondo il respiro frenetico della metropolis.

Dove avrei dormito quella sera? Non lo potevo dire con certezza. E chissà la ragazza misteriosa, quali scenari si nascondevano dietro la sua vita privata. Dove viveva – cosa faceva – con chi usciva. Se si sentisse mai sola, o se non fosse vulnerabile a questo genere di sentimenti ordinari. Tutto quello che mi restava di lei era soltanto il ricordo, attimo dopo attimo più fugace, del murmur sommesso della sua voce.

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  Camminai in direzione della periferia, dove ero covinto di trovare la strada verso casa, ma senza prendermi troppo sul serio. Dopotutto mi piaceva girovagare senza meta.

Potevo, in tutta tranquillità, lasciare che la mente sprofondasse nella visione della ragazza misteriosa dal vestito dakoir nero, tentando di non distogliere il pensiero, ed immaginare la sua storia. Quanto mi sarebbe piaciuto restare ad ascoltarla, pendere dalle sue labbra; chissà quante storie potevano essere narrate dalla sua bocca finemente ricamata. Ed io sarei stato contento di restare in ascolto per il resto della mia vita incolore, in silenzio, ma pur sempre distratto dal ridicolo loop delle interruzioni pubblicitarie.

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6 commenti »

  1. Io sono un’appassionata amante della fantascienza. È stato il mio primo grande amore letterario e dall’adolescenza in poi ho letto praticamente tutto il leggibile (fermandomi però al Cyberpunk perché è un sottogenere che non amo e non tocca le mie corde).
    Cimentarsi in un racconto fantascientifico è impresa ardua e coraggiosa, poiché gli illustri esempi passati sono di una tale genialità e perfezione che si rischia di ruzzolare nel già detto o nel ridicolmente inverosimile.
    Tu però ci sei riuscito molto bene. Mi è davvero piaciuto questo tuo racconto. C’e del nuovo, c’è ispirazione, c’è uno stile personale e impeccabile. C’è un’idea. C’è tutto, insomma, per risvegliare la passione degli amanti di questa meravigliosa letteratura – a mio avviso – troppo sottovalutata.

  2. Ciao, sono l’autore. Fatemi sapere che ne pensate del mio racconto! A dopo

  3. Belli gli spunti descrittivi del mondo neuro-commerciale. Nemmeno un posto fisso dove andare a dormire! Una cotta momentanea trasportata nel futuro rimane sempre una cotta e anche quella ha la sua giusta collocazione. Approfondibile (anche se non è proprio proprio italiano credo renda bene l’idea…)

  4. @Roberto grazie mille per la lettura. Scrivi anche tu? Teniamoci in contatto 🙂

  5. @Mara Grazie per i commenti, e devo dire che sono d’accordo per quanto riguarda la fantascienza, un genere che in Italia e’ stato un poco sottovalutato. Di recente sono emersi molti sottogeneri abbastanza estremi, ma forse quella di stampo classico resta la migliore! E da parte mia mi piacerebbe continuare a sperimentare con gli scenari sci-fi, con cautela, magari coinvolgendo anche coloro che non sono appassionati del genere.

    Teniamoci in contatto, anche attraverso il mio blog, “Vertigine”! Spero di leggervi presto.

  6. Si, per diletto. Qui ho postato il racconto “Forse mi sono distratto, forse solo il destino”. Hai voglia di dirmi che ne pensi? Grazie

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