Premio Racconti nella Rete 2014 “Una preghiera per Ivan” di Giacomo Colossi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Lo specchio non riflette perfettamente la mia immagine. Si tratta di una lieve ondulazione del vetro, o di una increspatura del metallo che sta sotto, o di una distorsione dell’aria afosa di questa stanza, o del mio viso affilato.
Tocco il mento con l’indice della mano destra, palpo la guancia, la stropiccio con due dita, come a voler sistemare qualcosa. Ma nulla. Tutto resta come prima.
Una specie di rigonfiamento mi è nato sotto l’occhio sinistro e scivola giù verso il naso, una pustola piena di qualcosa che sembra gel, molliccio e plasmabile.
Non ho male, ma non sono più io. E’ da un po’ che c’è qualcosa che non va in questo specchio.
Al lavoro mi dicono che sono preciso come un orologio svizzero. Non arrivo mai in ritardo e gli obiettivi delle schede mensili li raggiungo sempre con tre o quattro giorni di anticipo. Quelli del mio ufficio mi invidiano, mi chiedono consigli, copiano le mie procedure.
Io non ho problemi, aiuto tutti.
Però un giorno le cose hanno girato male. Qualcuno ha spostato tutti gli oggetti sulla mia scrivania, matite, biro, carta della stampante, bianchetto, gomma, le lettere dei fornitori, le fatture intestate ai corrieri. E sullo schermo del mio pc è comparsa una scritta:
Ciao … sono Ivan.
Mi sono informato sui due nuovi assunti in reparto, ma nessuno si chiama Ivan. Ho chiesto in giro se hanno visto qualcuno attorno alla mia scrivania, ma nessuno ha visto niente.
Si tratta dunque di uno scherzo, di uno scherzo di qualcuno che lavora con me.
Per farmi la barba devo stare molto attento. Lo specchio ormai riflette un viso che mi fa anche un po’ paura. Gli occhi sono diventati visibilmente più grandi e la pustola dall’occhio sinistro si è spostata giù lungo lo zigomo e si è ulteriormente gonfiata.
Il sapone da barba lo spalmo con lentezza esasperante, evitando di coprire quel promontorio surreale che mi si espande sul volto. Ora sembra una penisola affondata nella panna.
Con il rasoio comincio a radermi e sto attento a quel coso che mi sta crescendo in faccia come un fungo su un tronco d’albero, sto attento e ci giro attorno e osservo lo specchio che deforma tutto me stesso. Devo chiedere che me lo cambino, questo specchio.
Ciao … sono Ivan.
L’ho ritrovata scritta sulla camicia bianca che porto al lavoro il lunedì e il martedì. Una bella scritta fatta con il rossetto fucsia, posizionata sul colletto. Camicia appena tolta dall’armadio. Merda!
La cosa mi preoccupa, perché vuol dire che qualcuno è entrato in casa mia.
Ma chi? Dovrò stare molto attento. Magari qualche vicino. No. Loro no.
Risciacquo la faccia con acqua fredda e poi la spalmo di crema tonificante, evitando la zona che ormai sta assumendo sembianze animali, un piccolo topo rosso con la coda che mi si insinua nella narice sinistra e con il corpicino arrampicato sullo zigomo, la testa sotto l’occhio sinistro. Quel topo si muove ma non mi fa male. Non sento niente. Solo strani odori, a volte.
E vedo qualche bagliore puntiforme emergere dalla sua bocca. Ma nulla di più.
Ivan non mi lascia in pace. Lascia le sue impronte ovunque. E la sua firma. In ufficio ho litigato con tutti. La mia scrivania è sempre in disordine. Non faccio in tempo a sistemarla che dopo mezz’ora è già tutta sottosopra. Lui è una persona ignobile. Credo che in qualche modo mi disprezzi, ma non so il perché. Si nasconde. E’ un codardo e dovrebbe vergognarsi di ciò che fa.
Esco dal piccolo bagno e vado alla finestra. C’è pioggia oggi. E la città è grigia.
Ho voglia di un caffè ma devo aspettare. Non vado al lavoro oggi. Non mi va.
Appesa al muro la solita stampa colorata. Un arcobaleno che nasce in mare e precipita in mare. E dentro l’arco dell’arcobaleno la scritta: Una preghiera per Ivan: ritorna, tutti ti aspettano.
Anche qui Ivan mi martella il cervello. E non so perché.
Poi aprono la porta.
– Il solito calmante Ivan – dice una infermiera.
E’ nuova, in reparto. E poi vedo le sbarre alla finestra.
Le vedo per la prima volta.
E’ il racconto della sofferenza di chi è colpito dai disturbi della personalità; è una malattia subdola che resiste a tutte le cure. Sei bravo perché ci coinvolgi narrando in prima persona e ognuno di noi partecipa alla vita del protagonista/Ivan sentendo anche la voglia di caffè, il distacco dall’impegno quotidiano e gli oggetti intorno.