Premio Racconti nella Rete 2014 “I vestiti del mercato” di Elena Barelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Martedì sera Franco è venuto a casa nostra. Stavamo finendo di cenare. Si è seduto con noi. Carlo gli ha dato un bicchiere di vino. Le mani ossute gli tremavano, sembravano alucce. “La Rita è andata via.” Carlo se lo è portato giù in dispensa. Si va là nelle situazioni critiche. Hanno fumato. Tanto poi io apro la finestra e il fumo esce e così mi sembra che escano anche i problemi. Sono rimasti insieme tanto. Quando Franco se ne è andato,Carlo ha solo fatto un sospiro pesante. Ma io lo sapevo da tempo che la Rita c’aveva qualcosa per le mani. Non che me ne fossi accorta da me. Non mi accorgo mai di niente. Me lo aveva spifferato la Betty, un giorno fuori da scuola. La Rita era venuta a prendere Edo, tirata a malta fina. Pantaloni stretti stretti, quelli che ti schiacciano così la patata che sembra ti faccia una smorfia, zeppe, un traffico di unghie lunghe, anelli, bracciali. “Caspita che siluett” avevo detto. “Ho fatto la dieta Dukan, dovresti provarla anche tu”. Conversazione finita, perchè il cellulare aveva preso a vibrarle nella borsa come una mosca prigioniera e la Rita era svolazzata via con il suo carico di unghie e bigiotteria. E qui è entrata la Betty: “ma quale dieta. È in fibrillazione uterina.” L’ho delusa perchè come sempre non ho capito. La Betty detesta chi non è veloce nel pettegolezzo. “Dai lo sanno tutti che va con il Lampadino. Tutti tranne quel becco di Franco”. Ci son rimasta male. Il Lampadino è l’elettricista. È grosso. Se Franco sparisce nella camicia, lui è trattenuto a stento dai jeans. Ha mani enormi, che secondo me strizzano tengono impastano. Quelle di Franco ora tremano. Son due tipi diversi, insomma. Franco sembra tiri il fiato col culo; il Lampadino ingombra.
Mi son detta che è solo un’altra storia di corna. E mi è venuta in mente la nonna Dina, seduta a gambe larghe nel portico, i gambaletti che spuntavano dalla gonna nera: “Nani, nani, li meravigli li taca”. Le meraviglie attaccano. Meglio non fare tanto i moralisti sui fatti altrui, che poi ti capita una cosa simile e fai uguale, se non peggio.
Proprio pensando alla Rita, alle corna, all’occasione onnipotente, alle meraviglie appiccicose, giovedì in coda alle poste mi sono accorta di un tizio che mi fissava con certi occhi. Il cuore ha preso a farsi sentire, pumpumpum. Mi sono messa a posto i capelli. Ancora certi occhi su di me. Ho cominciato a sentirmi strana: desiderabile! Forse ero bella, qui in fila nel caldo. Ma certo, non me ne ero mai accorta, ma sicuro ho un’aria un po’ così che acchiappa. Sentendomi nuova ho deciso di puntare i miei occhi sui certi occhi del tizio. E in quel momento son tornata me, la solita sfigata di sempre, perchè certi occhi guardavano certe cosce in shorts, dietro di me. Cosce noiose. Lisce, non una macchia un buco un rotolo una smagliatura. Ho guardato in basso vergognandomi di me; la luce accarezzava i miei alluci strizzati nei sandali e ombreggiati di peluria. Sudavo nella blusa nuova del mercato, quella che sull’etichetta ha scritto: non candeggiare, non stirare, non sudarci dentro cazzo.
Così ho realizzato per l’ennesima volta che le uniche meraviglie che mi si son attaccate finora sono i peli sul mento come la Pierina, che mi han sempre schifato e mi son spuntati dopo i 40. Domenica in chiesa mi son meravigliata che la Lidia, seduta davanti a me, avesse così pochi capelli. Una ragnatela di fili gialli che facevan intravedere una cute rosa rosa. “Che purselota” mi ha sussurrato Carlo. E io ho scacciato la meraviglia per paura di diventare pure mezza pelata. L’ho deviata sulla Gabriella, che l’osteoporosi sta facendo ingobbire. Se una meraviglia mi si deve attaccare, sia una gobba che almeno porta buono.
Tornando dalla messa ho continuato a rimuginare. Mentre io meditavo, cic ciac facevano i miei chiapponi nel vestito di nylon a fiori. Ho deciso di sincronizzare i miei pensieri sul movimento lento del mio sederone. Prima i pensieri son tornati alla nonna Dina, alla sua allegria nonostante tutto, all’odore felice di vino e zanzare che abitava sotto il suo portico. Poi son andati alla Rita, alle corna, alle umane vicende. E infine son tornati a me, che non ne faccio una giusta nemmeno per sbaglio, eppure avrei la tentazione di giudicare e condannare gli altri. Per sentirmi meno peggio.
Così ho concluso che i fatti della vita son come certi vestiti del mercato; finchè li vedi sulle bancarelle pensi che ti staranno bene. Poi li indossi. E tirano strizzano ingrumano dove hai i punti deboli, ma scivolano via senza traccia nell’unico punto forte che hai. E guardati bene dal sudarci dentro.
Bella scrittura corposa e divertente!
Grazie! Ho sempre sognato di poter scrivere, coltivando una rigogliosa invidia per chi “aveva le storie”. Poi mi son rassegnata, le storie non le avevo, no; avevo solo istantanee amatoriali di un viaggio mal organizzato. Però le mie istantanee mi danno lo stesso piacere del cibo spazzatura: non sai cosa c’è dentro, sai solo che è fatto e ti farà male, ma non riesci a smettere.
Divertente, scorrevole e pieno di saggezza popolare! Mi e’piaciuto molto!
Che simpatica carrellata di personaggi, Elena. Come fai a dire che non avevi le storie? Complimenti anche a te, ci vediamo a Lucca, Liliana.
Davvero carino e ben scritto.
Proprio brava =)
Uno alla volta,
proverò a leggerli tutti
i 25.
A presto.
M