Premio Racconti nella Rete 2014 “Ferragosto” di Federica Politi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014E’ notte. L’aria calda di questa lunga giornata si è rarefatta nel corso della sera. Le camere d’albergo sono tutte uguali. Ti lasciano addosso un vago sentore di non appartenenza. Il servizio fotografico di questa mattina si è concluso nell’ora del tramonto. Lavorare con le modelle è estenuante: bisbetiche e capricciose. Ho dovuto accettare, però. I soldi non bastano mai, e le proposte di lavoro sono talmente poche che non si può essere snob su questo o su quello . Ho finito di sistemare la macchina fotografica e le varie ottiche. Le ho pulite. Le ho stese una ad una sul tavolo, prima di riporle nella borsa. Domani riparto. Torno a Milano per finire il servizio in postproduzione.
Sono stanco. Ho appena fatto la doccia e sono sdraiato sul letto. Una lieve brezza mi rinfresca la pelle, attenua la spossatezza di questa lunga giornata. Potrei uscire. La Versilia è lì, appena oltre la finestra. Una lunga distesa di spiaggia e locali. Non ne ho voglia. Ferragosto ha un retrogusto che non riesco a digerire. Un sapore di aspettative fallite. Avverti la fine dell’estate e ti rendi conto che ti è scivolata tra le dita.
Guardo l’ora sul cellulare. Mezzanotte è passata da pochi minuti. Nessun messaggio. Nessuna chiamata. Decido di scendere a bere qualcosa al piano bar dell’hotel. Non intendo fare tardi, solo qualche bicchiere per scivolare più facilmente nel sonno.
Mi vesto. Sono in piedi davanti allo specchio. Nonostante le ombre della notte non posso fare a meno di vedere la mia pancia spingere sotto i bottoni della camicia. Non posso fare a meno di scorgere gli innumerevoli segni sul mio volto. Non posso fare a meno di passare una mano tra i capelli ormai, del tutto, ingrigiti. Non posso fare a meno di fermare il mio sguardo nell’azzurro dei miei occhi fingendo di non vedere il velo opaco che li ricopre.
Scendo. La musica del piano mi raggiunge infondo alle scale e una voce bassa, calda, avvolgente le fa eco. Avanzo nella penombra della hall. Con un cenno saluto il portiere di notte e m’affaccio sulla sala. Semideserta. Una coppia è seduta ad un tavolo. Stanno vicini. Si toccano in ogni modo possibile sfiorando l’indecenza. Bevono da luccicanti calici, si sussurrano nelle orecchie. Ridacchiano, quasi disturbando la pianista che, nonostante tutto, sembra fare finta di niente.
Mi volto verso il bancone e vedo una donna seduta di spalle alla sala. Indossa un vestito leggero di satin nero con spalline fini che stanno su a stento e finiscono per scivolare lungo la pelle abbronzata delle sue braccia. Ha i capelli biondi sciolti, ancora umidi, che nascondono la scollatura sulla schiena. E’ appoggiata con i gomiti al bancone. Tiene il capo chino davanti a se. Con una mano stringe un bicchiere che ogni tanto, evidentemente persa dietro chissà quali pensieri, ricorda di portare alla bocca. Indugia con le labbra sfiorando il vetro. Un sorso lungo, che quasi le impedisce di respirare. Un colpo di tosse e torna a vagare con lo sguardo in un posto lontano da qui.
Poggia il bicchiere e riconosco il braccialetto che indossa. Stamani l’ho visto sfilare dal polso alla modella prima di cominciare il servizio. Avere a che fare con quella è l’ultima cosa che desidero: una ventina d’ anni e la spocchia della donna vissuta. Ho perso la pazienza con queste ragazzine che pretendono di insegnarmi il mio lavoro.
Anche se, vista da questo angolo buio, al di fuori del set, sembra una persona diversa. Sembra una ragazza qualunque. Una ragazza sola. Una ragazza triste.
La pianista smette di cantare. La coppia applaude rumorosamente e mentre le dita sfiorano i tasti bianchi e neri del piano liberando una nuova melodia, m’avvicino . Mi siedo all’angolo opposto così da poterle vedere il viso. Ordino un Whisky, che invece di anestetizzare il mio senso di smarrimento , ne acuisce la fitta di malinconica desolazione.
Mi sorprendo a fissarla. A scoprirla. I suoi lineamenti sono più dolci, più morbidi, anche se è veramente magra. Ha un viso lungo. Guance scavate. Labbra carnose, un nasino all’insù. Due grandi occhi che tiene rivolti sempre verso il basso.
Non riesco a smettere di fissarla mentre ordino il mio secondo whisky. La sua presenza ha catalizzato ogni mio pensiero. Siamo simili. Sempre in giro per il mondo. Nessuno a casa da cui tornare. O forse lei una famiglia ce l’ha, un fidanzato che non vede l’ora di riabbracciare.
Ad un tratto alza il capo e affonda il suo sguardo dentro il mio. Sto per voltarmi ma non ci riesco. I suoi grandi occhi verdi mi risucchiano nel profondo. Ha un’espressione indecifrabile. Sembra che tutto le scivoli addosso senza sfiorarla eppure mi tiene legato a sé con uno sguardo indagatore, uno sguardo che sonda i crepacci dei miei sentimenti.
E’ in questo sguardo che sento attrarmi verso l’abisso. Ed è in questo sguardo che la vertigine non fa più paura. È in questo sguardo che vorrei lasciarmi andare in caduta libera senza paracadute. E’ in questo sguardo che mi sento rinascere, che sento che non è ancora finita, che ci sono ancora parecchie cose da scoprire. E’ in questo sguardo che rivivo il mio passato, anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, emozione dopo emozione. E’ in questo sguardo che ritrovo il senso di libertà che mi aveva abbandonato da troppo tempo. Ed è una sensazione bellissima, che ti stordisce e che ti lascia tramortito sulla spiaggia finissima di una Versilia che non hai saputo apprezzare in un torrido giorno di un amaro ferragosto.
Poi lei si alza. Resta un attimo appoggiata al bancone con entrambe le mani e si avvia verso la hall.
Io resto così, seduto su uno sgabello che solo adesso scopro essere scomodo, mentre la guardo ondeggiare verso le scale. Scompare al piano di sopra lasciando i miei occhi a vagare in un vuoto che, adesso, spaventa pure me.
E brava Federica, mi piace quest’uomo descritto da una donna. Mi piace davvero.
Grazie Massimo. Se devo essere sincera, non è facile, per me, scrivere al maschile. È raro che sia una voce di uomo a parlare nei miei racconti…ma questa volta. ..ho provato. ..
Indugi nei particolari, perché sono i dettagli che permettono di cogliere i sentimenti e i pensieri delle persone. Lo sguardo del fotografo è indagatore perché è abituato a mettere a fuoco le immagini e andare oltre l’aspetto esteriore. E in questa vicenda, l’uomo è vittima della sua stessa attenzione non sapendo decidere l’azione. Forse.
Bel modo di scrivere.
Emanuele.
Grazie Emanuele
Il ferragosto dal sapore amaro che sa di solitudine, di tempo ormai passato e irrecuperabile.
Un uomo con una vita trascorsa attraverso giorni simili a questo ferragosto: lontano dagli affetti che, probabilmente, non ci sono o sono troppo lontani.
Un racconto sul tempo che passa invano.
Molto ben descritta la psicologia del protagonista.
Complimenti Federica.
marco
Grazie Marco
Hi!La prima parte specialmente ha proprio, come dire, il respiro di quando dici “…oioi però eh…” e secondo me ci porti anche noi nello stato d’animo del protagonista. Ecco, mi sento di sottolineare questa cosa e anche il momento dello specchio. Grazie, ciao!!!
Scorcio di vite bruciate. Solitudini che avrebbero potuto colmarsi e non l’hanno fatto. Tutto resta ancora da rifare. È la vita.
Angela
Ti faccio i complimenti per la meritata vittoria.
Ci vediamo a Lucca.
marco
Complimenti Federica. E hai fatto bene a provare a calarti in questo personaggio, il tuo ritratto è struggente. C vediamo a Lucca, Liliana
Grazie Marco e Liliana. Vi aspetto nella mia bellissima città. A presto.
Breve ed intenso, brava Federica.
Descrivi bene le sensazioni
di qualcosa che nasce, ma che rischia
di morire quasi subito.
Piacere di conoscerti,
a Lucca sarai la padrona di casa 🙂
A presto.
M
Bel racconto,che indaga bene l’interiorità del protagonista.Splendida l’ambientazione che crea il contrasto.Complimenti!!Ci vediamo a Lucca!!????
Bel racconto,che indaga bene l’interiorità del protagonista.Splendida l’ambientazione che crea il contrasto.Complimenti!!Ci vediamo a Lucca!!????