Premio Racconti nella Rete 2014 “Un uomo in bici” di Lorenzo Cioni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Vedi la strada costeggiata dai pini e fiancheggiata dalle case a uno, due o più piani ma non molti di più che non è ancora il tempo dei palazzoni. Vedi i negozi, i laboratori artigiani e le fabbrichette. Vedi gli incroci, anche, e le poche macchine, i pochi motorini, le molte biciclette e la molta gente a piedi. Vedi un uomo non più giovane anzi decisamente anziano per non dire vecchio che percorre quella strada in bicicletta. Viene da una villa poco lontano, in fondo a quella strada, e sta andando a casa dove lo aspettano per la cena ma non è buio perché è giugno e il sole non è ancora tramontato del tutto.
L’uomo sta andando ad una casa ad un piano con giardino e una donna in piedi al cancello che aspetta quell’uomo come quasi ogni giorno.
L’uomo percorre quella strada due volte ogni giorno lavorativo e spesso anche il sabato e a volte anche la domenica. La mattina da casa alla villa e la sera dalla villa a casa. L’uomo è in pensione da poco ma continua ad andare alla villa per qualche lavoretto da falegname o da giardiniere e perché il vecchio padrone ormai in fin di vita richiede la sua presenza. Fin dalla gioventù sono stati amici nonostante la differenza di classe, un’amicizia che ha resistito agli anni, alle guerre, alle lotte operaie, alla dittatura, a questo inizio di boom economico e alla vecchiaia. A questo punto delle loro vecchiaie il più vecchio dei due, il suo ex padrone, sta morendo e l’uomo non sa resistere alle sue richieste di aiuto. E’ in debito con lui. Va alla villa e si aspetta che ogni momento sia l’ultimo. Capita a volte che lo chiamino che vada in camera dal vecchio perché sembra che ci siamo e lui corre interrompendo i mestieri ma per ora il vecchio ha sempre superato le crisi. L’appuntamento finale è sempre stato rimandato. Ogni volta lui si trattiene un po’ nella grande camera buia per poi tornare alle sue faccende con un semplice cenno del capo al vecchio e alla cameriera che lo assiste fedele da anni.
Vedi l’uomo che torna a casa. Le distanze sono brevi che il paese è piccolo e poi lui non ha fretta. E’ nel suo carattere. Si muove sempre piano con una lentezza fluida che esprime la sua calma interiore. Anche la pedalata è fluida e morbida. L’uomo pedala di solito senza le mani sul manubrio e incontrando conoscenti li saluta o agitando la mano sinistra o addirittura portandola alla tesa della sua inseparabile coppola, dono di un amico camionista siciliano. A tracolla porta una borsa e dentro la borsa la gamella di alluminio ormai vuota del pranzo consumato a mezzogiorno, un fiaschetto con un residuo di vino rosso e un avanzo di pane scuro.
Come ogni sera o quasi in bocca ha un mozzicone di sigaro toscano spento. Non fuma più, l’età (e il dottore per non parlare della moglie) glielo impedisce ma gli piace avere un mozzicone da ciucciare mentre pedala oppure mentre chiacchiera seduto al barre davanti a un gottino di vino rosso e poi se è spento non può certo fargli male. In casa non può che la moglie soffre di asma allergica e il solo odore del sigaro spento la fa stare male.
Sulla sua bicicletta nera da uomo con la canna e i freni a bacchetta come usava a quel tempo l’uomo è un vero funambolo che è riuscito a portarsi a casa, pedalando con tutta calma, una scala in legno di un paio di metri che si è fatto da solo, portandola semplicemente infilandoci il braccio e appoggiandosela alla spalla destra. La bicicletta è un regalo degli altri operai quando è andato in pensione anche se non ha mai smesso di lavorare. Il vecchio gli ha regalato una cipolla, un orologio da tasca, di quelli con il coperchio a molla tutto intarsiato, un vero gioiellino.
Questa sera niente scala ma per il resto tutto è come le altre sere. L’uomo è abitudinario e non ama i grossi cambiamenti o le sorprese. Ne ha viste troppe nei suoi troppi anni e ora vuole solo passare i suoi ultimi anni il più tranquillo possibile.
Sa che a casa c’è sua moglie sul cancello che lo aspetta come ogni sera oramai da un tempo immemorabile. Sa cosa lo aspetta per cena che i soldi sono quelli che sono e non si possono fare i salti mortali con la sua pensione e con quei quattro soldi che gli passano ora alla villa. Nemmeno gli danno da mangiare e gli tocca portarselo da casa, se il vecchio sapesse… ma non sa dire di no, non può. Dopo tutti quegli anni non può voltargli le spalle proprio ora.
Per cena sa che lo aspetta un po’ di pasta condita con l’olio di cottura di una braciolina e una mezza braciolina fatta in umido con dei fagioli. Da bere un po’ di rosso di Terricciola. A volte ci sono varianti come la minestra di verdura oppure la pastasciutta magari all’olio e formaggio oppure la polenta in umido, ma non è stagione, e di rado del baccalà oppure del bollito, soprattutto quando la moglie decide che non è più il caso di aspettare che una sua gallina ovaiola ripigli a fare il dovere suo ovvero a fare il suo uovo quotidiano e le tiri semplicemente il collo. Ma stasera sa che gli tocca la braciola che la moglie glielo ha anticipato quella mattina nel chiedergli i soldi per andare dal macellaio. Pensandoci bene non disdegnerebbe magari anche un uovo bello fresco a frittata con gli zucchini dell’orto che i primi sono appena nati.
Dopo tutto potrebbe andare peggio di così. Si ricorda ancora del tempo dell’ultima guerra e della fame che hanno patito, dei rischi che hanno corso, la paura di perdere la casa comprata con tanti sacrifici. E ora che tutto è passato sente di non potersi lamentare.
Di guerre grosse ne ha viste due, una l’ha anche fatta e ha avuto la fortuna di tornare mentre altri, troppi, sono rimasti su quei monti aspri, maciullati dalla mitraglia o dalle schegge o ammazzati dal freddo. E per cosa poi, per un po’ di terra abitata da gente che avrebbe preferito rimanere sotto chi li comandava prima. Dall’altra l’ha salvato l’età che non l’ha però salvato dalle angherie dei buffoni in camicia nera che erano venuti prima, dopo che la prima guerra era finita, che lui aveva fama di anarchico e non se l’è passata proprio benissimo. Un po’ di olio di ricino è toccato anche a lui e qualche manganellata pure. Per fortuna c’era il vecchio che l’ha protetto il più possibile evitandogli guai maggiori.
Del periodo dopo l’ultima guerra si ricorda i viaggi di là dall’Appennino, a Modena, a portare i mobili col barroccio prima (e quanta di quella strada ha fatto a piedi) e con il camioncino poi fino a che non l’hanno messo da parte per passarlo prima falegname nella segheria del vecchio e poi giardiniere tuttofare alla villa, mestiere che mantiene anche ora che sarebbe ufficialmente in pensione.
Questi sono i pensieri dell’uomo quando torna a casa la sera. Pensa alla giornata trascorsa, pensa alla moglie, pensa al suo passato recente e remoto ma, in genere, non pensa al futuro se non per il futuro prossimo quale può essere la cena che lo aspetta oppure il dopocena oppure le cose da fare l’indomani o il giorno stesso. Cose del genere la scepre da potare, il prato davanti alla villa da rasare con la falce che a lui piace fare così, le aiole dei fiori da annaffiare, le foglie da rastrellare, il mangime ai piccioni, la vasca dei pesci rossi da tenere pulita, i cani da caccia del vecchio da accudire. Vecchi anche loro e ormai inadatti alla caccia ma che nessuno ha il coraggio di sopprimere. E poi il vecchio e una nuova giornata di passione che potrebbe essere l’ultima. Un po’ ci spera perché se il vecchio morisse non avrebbe più obblighi e potrebbe starsene un po’ a casa sua finalmente a curare come si deve l’orto che non ha mai tempo per zappare, annaffiare, togliere l’erbaccia e le piante soffrono e non rendono come dovrebbero. Ci pensa lei, per quello che può che anche lei non è più una ragazzina e poi ha quell’asma che la tormenta, ma lui vorrebbe fare di più per cui se il vecchio morisse. Gli capita spesso di pensarci e un po’ se ne vergogna. Non è che lo voglia morto solo non ne può più di vederlo soffrire bloccato a letto, secco rifinito e sempre immobile che pare morto.
Anche questi pensieri passano per la testa dell’uomo la sera mentre torna a casa dalla villa oppure la mattina mentre va alla villa e cerca di rammentarsi delle cose da fare e pensa al vecchio che lo aspetta nel buio della camera da letto e che a volte nemmeno lo riconosce e lo scambia per il figlio rimasto sotto le bombe dell’ultima guerra nell’unico bombardamento del paese.
Ma stasera mentre pedala tranquillo verso casa l’uomo pensa solo alla cena che lo aspetta e alla successiva passata al barre per una briscoletta per poi andare a letto presto che la giornata di domani si presenta faticosa che c’è il pollaio dietro la villa da risistemare.
Pedalando pedalando l’uomo è quasi arrivato al suo incrocio dove lascia la strada alberata per infilarsi in una viuzza laterale dove all’inizio c’è casa sua e c’è anche sua moglie che lo aspetta sul cancello. Già se la immagina con le mani conserte e il grembiule nero che usa per i mestieri di casa e la pezzola in capo che non se la leva mai. Ci andrebbe anche a letto se lui non insistesse per fargliela togliere.
E’ contento l’uomo che è quasi arrivato e vede l’incrocio, il suo incrocio, e senza accorgersene si sposta un po’ verso il centro della carreggiata e continua a pedalare forse con un po’ più di lena. Poco dopo l’uomo sposta il peso del corpo sulla sua sinistra e attacca la curva ma non la finisce perché da dietro di lui, dal nulla, sbuca un vespino portato da un ragazzino, un giovane apprendista, ironia del destino. L’impatto è violento e feroce. Il ragazzino riesce per un miracolo a tenere in piedi il vespino che si ferma con uno stridio di freni poco più in là, nel mezzo della strada. Per fortuna non passa nessuno. L’uomo ha meno fortuna, è sbalzato a terra e pattina rapido di schiena verso uno spigolo di cemento di un marciapiede in costruzione. L’urto gli sarà fatale. Non so cosa abbia pensato l’uomo durante la scivolata né se sia riuscito a pensare a qualcosa. Né cosa abbia pensato la donna che era effettivamente sul cancello e che ha sentito la botta, la frenata e altri rumori confusi e indistinti.
Mia nonna mi ha sempre raccontato che era riuscita a muoversi dal cancello solo dopo un tempo che le sembrò infinito per mettersi a correre verso dove vedeva quell’uomo, suo marito, mio nonno, steso sull’asfalto con una aureola rossa attorno alla testa che si allargava sempre più.
Mio nonno ancora si muoveva debolmente quando lei fu lì da lui e cercava di alzarsi scuotendo lentamente la testa e muovendo piano le gambe e le braccia. Lei però capì subito che non c’era più nulla da fare, che nonno aveva gli occhi dei morti per cui non poté far altro che stringerlo a sé e sentirlo mormorare piano “alla fine è toccata prima a me e ora chi glielo dice al vecchio”. Poi un ultimo spasmo e quindi più nulla.