Premio Racconti nella Rete 2014 “Fiore” di Alessandra Vannicola
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Un colpo di mortaio.
Un altro ancora.
Qui, in terra slava, l’aria ha un odore di morte mista a polvere da sparo. Il cielo sopra Spalato è offuscato da nubi. I miei occhi riflettono il grigio di quel cielo disperdendo il blu tra le ciglia. I bombardamenti vanno avanti da ore.
Chiudo gli occhi e ritorno alla terra, all’altra terra che mi ha visto nascere, allo sguardo di mia madre che non c’è più, alle mani di mio padre di cui ho perso il ricordo.
Il 5 maggio 1821 Napoleone moriva a Sant’Elena con la Francia sulle labbra. Il 5 maggio 1917, mentre in giardino fiorivano le rose, venni al mondo io. Mio padre mi sollevò tra le braccia e desiderò per me un futuro migliore del suo. La primavera baciava Macerata con boccioli di seta e mi chiamarono Fiore.
Non fece in tempo a insegnarmi a camminare nel mondo, che quattro anni dopo lo seppellimmo tra le lacrime di mia madre e di mia sorella Assunta. Non ricordo molto di quel periodo, ma ricordo il cimitero dieci anni dopo, quando la mamma lo raggiunse per non lasciarlo più.
Quando resti solo cresci più in fretta. Quando le radici si spezzano, diventi leggero al vento. E un giorno ti risvegli uomo, senza la carezza di tua madre sul viso, il cuore che brucia ad ogni colpo. Un altro colpo. Non riesci ad abituarti. Le bombe esplodono anche dentro di te. La guerra sfregia la bellezza e seppellisce il silenzio sotto cumuli di macerie d’odio.
Riapro gli occhi. La polvere aleggia tutt’intorno. Un marconista di fanteria scrive la storia sulle onde radio, impasta il sangue dei vinti a quello dei vincitori. Anche se qui sembriamo tutti perdenti. Osservo questo mondo sgretolarsi e mi chiedo il senso.
Un tocco leggero sulla spalla innesca un sussulto inquieto. Jagoda con la sua treccia bionda bisbiglia parole in una lingua che inizio a decifrare. “Sì – le rispondo – sembra che per oggi abbiano smesso”.
Vorrei chiederle che senso ha smettere, se poi si ricomincia. Vorrei chiederle il perché di tutto questo orrore. Vorrei chiederle quando finirà. Ma Jagoda non può saperlo, non può saperlo nessuno.
“Tornerai?” mi chiede il giorno del rimpatrio in Italia.
“Non lo so. Forse un giorno, con un altro cuore” prometto a me stesso con un sorriso.
Il cielo grigio di Spalato piange i suoi morti. Gli occhi grigi di Jagoda piangono per me. La nave è un ammasso di ferraglia arrugginita e di feriti che non guariranno. Ci imbarchiamo in fretta. Il cielo promette altre bombe. Il porto ha l’aria triste di chi sa che non ci sarà un ritorno.
Salutiamo delle piccole isole sparpagliate lungo la costa croata, quando il fuoco nemico viene a darci il suo addio. Le urla si mescolano al sangue. La morte fa il suo giro di danza, ma io non le presto il braccio. Così la nave affonda con la speranza di molti, mentre il mio corpo scivola nell’abbraccio dell’acqua.
Mamma, dove sei, mamma?
Una spinta dal fondo dell’abisso. Nuoto finché il respiro non si ferma sulla riva del mare. Sono di nuovo a terra. Il mio cuore sanguina.
Altra nave, altra rotta. Sempre più giù, sempre più lontano. Poi un treno per l’assolato Salento. Una scuola la casa dei soldati. Un cielo azzurro e limpido, battuto dal vento di tramontana, distante dalla carne che brucia e dalle grida.
Non ho nemmeno trent’anni e mi sembra di aver vissuto tante vite. Un piccolo paese di provincia, di origini romane, sotto i miei passi. Le vie del centro intrecciano una danza di vita. La primavera esplode nei balconi, nei giardini, negli abiti leggeri delle ragazze del Sud.
Una giovane donna cammina davanti a me, con un cesto di verdura fra le mani. Finisco per perdermi tra quelle stradine che ridono nel sole. Provo ad orientarmi senza successo. In via Botteghe Nuove si affaccia un giardino con un alto muro. Un rampicante di fiori rossi a proteggerne l’accesso. Una porta a vetri e, dietro il vetro, gli occhi verdi più dolci mai visti.
Può accadere di tutto in un attimo, può accadere che il tuo cuore esploda in un ritmo diverso, può accadere che una nave bombardata non basti a farti naufragare, perché il naufragio avviene in due occhi verdi del Sud. E in quell’attimo stacco un bottone dalla divisa, busso a quel vetro e chiedo al suo sorriso di ricucire il mio.
Ci si può perdere in un sorriso? Io mi ci sono perso. Lei sorriderà sempre. Sorriderà per me nella foto in cui mi mostra nostro figlio di pochi mesi. E quel sorriso mi aiuterà a tornare, dopo che i miei passi avevano ripreso a marciare sulle strade dell’odio. Quel bambino dagli occhi azzurri col nome slavo di mio padre mi riporterà dalla donna che amo.
Il tempo è scivolato leggero accanto al suo cuore, alla dolcezza della sua voce. I passi del bimbo dagli occhi azzurri e di una bambina dallo sguardo pensoso si rincorrono sul pavimento della casa che ho costruito per lei. Una casa vicino al mare, dove potesse continuare a sorridere. Un giardino immenso per vederla felice. I nostri cani e i gatti. Un rampicante di rose bianche sopra il cancello. Il glicine lungo il muro. Grappoli d’uva nera e bianca fra le dita. L’oro dei limoni. L’arancio dei mandarini e delle albicocche. Il viola delle prugne. I rubini del melograno.
Di tutto avrei fatto per il suo sorriso. Di tutto avrei fatto per vivere un altro giorno accanto a lei.
L’ho amata come nessun uomo avrebbe mai potuto amarla. L’ho amata anche nei lunghi anni di vedovanza. L’ho amata in ogni istante della mia vita.
E poi… ho continuato ad amarla negli occhi della mia piccola principessa, la mia piccola, fragile principessa.
Tra me e lei c’è un segreto. Per questo non ha permesso che abbattessero il rampicante di rose. Perché io ogni maggio ritorno da lei, mi faccio rosa per lei nel giorno del mio compleanno, sorrido al suo cuore e lei lo sa che sono lì, sono ancora lì per lei.
Mi vede nei sogni, nella casa al mare, nelle cose che le ho insegnato, nell’amore per le storie, nei discorsi del vento, nella lingua dell’acqua, nelle rose bianche. E io lo so che lei continua ad amarmi, lo sento anche da qui, dall’eterna primavera in cui vivo, accanto alla donna che amo. Lo so che lei non ha dimenticato, la mia principessa, e che continua a farmi vivere nelle parole che scrive per me.
Questa bravissima scrittrice è un talento non solo nella poesia, ma, è evidente, anche quando scrive in prosa.
Mi auguro di leggere presto altre storie come questa.
Un bell’atto d’amore 🙂
un racconto davvero toccante! una creazione di immagini che arrivano
dritte al cuore! brava!!
Molto poetico, denso di profumi e dolcissima malinconia.
Mi è davvero piaciuto.
La vita a quei tempi era più dura, ma era vera e sincera e molto poetica. E Alessandra ha reso perfettamente quell’atmosfera. Per non dimenticare.
Bellissimo racconto.
C’era anche mio nonno in terra slava. Una volta tornato ha incontrato mia nonna che, manco a farlo apposta, si chiama Rosa.
Un racconto molto poetico denso di odori, di colori e di sentimento. Complimenti! 🙂
Brava, io trovo che il racconto sia un inno alla vita nonostante le immagini di sofferenza e di guerra. E’ il canto dell’amore tra sposi e tra genitori e figli, fuori del tempo e fuori dei confini del mondo. Come un fiore che inebria di profumo e di colori e ne lascia i ricordi.
Ciao Emanuele.