Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “E’ dura” di Manuela D’Aguanno

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Esercitando con la forchetta una lieve pressione il bocconcino di spezzato in bianco che aveva cucinato quella sera si sfaldava. Si apriva teneramente come se l’avesse tagliato con uno di quei coltelli affilati che di tanto in tanto vedeva nelle televendite. E da lì, da quella ferita senza sangue e ancora bollente, saliva verso le sue narici un leggero fumo denso e profumato che sapeva di cipolle e di carote. Poi con calma, come se tardare quel momento potesse renderlo ancora più appetitoso, si portò la forchetta alla bocca e senza alcuna fatica, nonostante la dentiera, iniziò a masticare il suo boccone di carne.

Pensò che aveva fatto bene a spendere stavolta qualche soldo in più per andare a comprare la carne in macelleria, con i pezzi in bella vista dietro al vetro, piuttosto che al solito supermercato, dove, già pronta all’interno di quelle anonime vaschette, gli aveva dato sempre l’impressione che da tutto, quel cibo provenisse, fuorché dagli animali.

E’ dura! Sentì esclamare d’un tratto. Aprì gli occhi e lo guardò.

E’ dura, ripeté l’altro continuando a tenere lo sguardo basso sul proprio piatto.

Da quando lei era morta, solo pochi mesi prima, non si parlavano quasi più. La loro era ormai una convivenza forzata e inevitabile. Forzata non certo più di quanto non lo fosse stata in passato, ma ora appariva come qualcosa che, per quanto assurda, esisteva da troppo tempo per poter essere modificata. Inevitabile. Questa era la parola giusta. Inevitabile come lo è la morte.

E pensare che proprio a lui, proprio al vecchio che adesso gli stava seduto davanti, lo stesso dalla cui bocca poco prima era uscita quell’ingiustificata esclamazione, si era rivolto,  circa una sessantina d’anni prima, per trovare lavoro.

 

E’ dura! Disse ancora il vecchio. Lui smise di mangiare, continuando a fissarlo, senza alcuna espressione tra le rughe che potesse tradirne i pensieri. Voleva solo aspettare, per capire se era finita lì o se, come al solito, l’altro, che continuava a chiamare il vecchio pur avendo solo una quindicina d’anni meno di lui, aveva ancora qualcosa di cui lamentarsi.

La protesta sembrò, per via di quel silenzio prolungato, spegnersi così come era nata. Ma proprio mentre si sentì di nuovo libero di riprendere a gustare ciò che con cura aveva preparato quella sera, dopo un lieve e quasi impercettibile sospiro, di rassegnazione sì, ma anche di sollievo, l’altro ripeté: è dura. La carne è dura. Disse. E stavolta lo guardò negli occhi.

A me sembra morbida, rispose lui. Guarda, riesco a tagliarla con la forchetta. E nel dirlo lo fece, con lo stesso piacere con cui l’aveva fatto prima, buttando giù un boccone.

Parlava per inerzia, come se stesse seguendo un copione antico. Sapeva già che, nonostante l’evidenza, il vecchio non avrebbe più toccato cibo. Ma ogni volta ci provava. Provava a comunicare con lui come se fosse tutto normale. Come se vivere insieme sotto lo stesso tetto con quello che era stato il suo datore di lavoro, non fosse stata, e non fosse tuttora, una pazzia. Comunicare con lui come se fosse un fratello o un vecchio amico. Come se fosse un parente sì, di quelli stretti, e non il marito della donna che per tutta la vita aveva amato.

Lo osservò. I capelli bianchi, spinosi. Ancora tanti sulla testa, a differenza di lui che era quasi calvo. La pelle accartocciata attorno alla bocca senza denti. La fronte corrugata. Novantaquattro anni e negli occhi scuri e piccoli ancora la stessa determinazione. Lo stesso sguardo silenzioso e pieno d’odio che non gli lasciava scampo.

Ho detto che è dura. Non riesco a mandarla giù! Aggiunse poi con voce rauca, ma ferma, allontanando bruscamente il piatto da sotto al mento.

Ogni volta che faceva così, e questo accadeva quasi sempre, anche a lui passava la fame. Il cibo nel piatto si raffreddava perché, se il vecchio non mangiava, anche lui non riusciva più a toccare niente per un po’. E quando, sforzandosi, senza più gusto, finiva tutto, era quasi sempre freddo.

La voce della giornalista alla tv rimbombava nella stanza, mentre figure anonime si alternavano sullo schermo creando strani giochi di luce. Il vecchio riaccostò a sé il piatto mezzo pieno. Prese di nuovo la forchetta in mano e, senza mai smettere di guardare il suo sgradito compagno, l’affondò lentamente nella carne.

Dapprima isolò il bocconcino dal resto del condimento, con la stessa cura che avrebbe avuto un chirurgo nel farsi spazio tra le viscere di un corpo umano. Poi la infilzò e piegando lentissimamente la posata su se stessa spaccò in due lo spezzato. Nel farlo, con la massima facilità, lo guardò negli occhi e gli disse lento: Lo vedi? E’ dura… Guarda che fatica che faccio a tagliarla. E ne mise un pezzo in bocca. Guarda che fatica che faccio a masticarla, disse, proprio mentre il bocconcino gli si scioglieva in bocca come burro. Non riesco a mandarla giù. E’ troppo dura, ti dico.

Lui se ne stava zitto. Tanto il copione sarebbe proseguito come al solito.

Si sarebbe alzato. Avrebbe preso senza dire niente quel piatto mezzo pieno per gettare tutto nel secchio. Avrebbe aperto il frigorifero e avrebbe cercato qualche cosa per sostituire la cena. Una mozzarella. Un po’ di stracchino. Qualche fetta di prosciutto. E l’avrebbe portata a tavola. Il vecchio allora avrebbe mangiato di gusto. Senza ringraziare ovviamente. Col solito silenzio e il solito ghigno di soddisfazione stampato sulla faccia.

Questo sarebbe accaduto. Come ogni giorno.

Questo sarebbe accaduto se il vecchio quella sera non avesse deciso di nominarla.

Di lei non si parlava mai. Ma la sua tacita presenza era rimasta viva in tutta la casa. Non c’era parete o mobile che non recasse almeno una foto di lei quand’era giovane. Chioma corvina e mossa, lunga fin sotto le spalle, e occhi nerissimi, severi, accompagnati sempre da una punta di tristezza. All’ingresso poi ce n’era una, quella che lui adorava di più, dove, a mezzo busto e di tre quarti, sembrava davvero una diva degli anni ’50. Un sorriso appena accennato e sulle labbra il rossetto. Rosso. Le stesse labbra scarlatte del giorno in cui l’aveva vista la prima volta.

E’ dura! Aggiunse ancora il vecchio, accompagnando la parola con un pugno sul tavolo. Ferocemente stavolta. Con la ferocia disperata e puerile che solo un uomo di quell’età può avere.

La forchetta cadde a terra e il piatto, sospinto dal tremolio del tavolo, andò a sbattere contro l’oliera piena, macchiando la tovaglia.

Guarda cosa mi hai fatto fare! Sbraitò. La tovaglia adesso è tutta sporca! E tutto per colpa tua! Tua e di quella maledetta carne, dura come i sassi!

A quel punto lui non poteva più far finta di niente. Aveva aspettato troppo. Si alzò subito in piedi e raccolse la posata da terra. La macchia verdognola si era già allargata fino al centro della tavola. Non è niente di grave, disse con calma. La porterò in lavanderia.

E’ il nostro olio! urlò il vecchio. Non viene via così! Non lo sai?! Lo dicevo sempre pure a lei.. Lo dicevo sempre… Pure alla tua puttana… Quest’ultima frase la disse a bassa voce. Non abbastanza però da impedire che lui la sentisse. Anzi detta apposta in quel modo affinché lui la percepisse meglio. Come un bisbiglio nell’orecchio.

La tua puttana

…Eh, già! Permetterle di lasciarti sarebbe stato troppo facile… Cosa avrebbe detto la gente? Oggi lo fanno tutti, ma allora? Meglio dopo invece… Meglio me, che ho deciso di restare qui, accanto a lei, tutta la vita a fare l’altro… Meglio te, che hai deciso di accettare questa folle soluzione pur di non sporcarti le mani e la reputazione… Ma ti sei sporcato lo stesso…Vecchio che non sei altro… E insieme abbiamo sporcato lei. Lei che ha commesso l’unico errore di innamorarsi di me, del povero stupido che sono…

La tua puttana…Tutti e tre sotto lo stesso tetto… e la gente ha parlato…oh, se ha parlato! Molto di più di quanto avrebbe fatto se l’avessi lasciata libera… Avrei dovuto lasciarla io…io che non ce l’ho fatta… Avresti dovuto impedirmi di rimanere qua, vecchio schifoso che non sei altro… La mia puttana… Magari lo fosse stata. L’avrei amata di meno…

E’ dura? Gli chiese mentre spostava le cose dal tavolo per impedire che si sporcassero. Il vecchio non rispose. I gomiti sul tavolo e le mani incrociate davanti alla bocca. Gli occhi apparentemente concentrati in direzione della tv.

Allora, è dura? continuò a denti stretti, con la faccia a pochi centimetri dalla sua.

Solo la tua puttana… Senza dare il tempo al cervello di riflettere, il braccio si mosse. Afferrò la forchetta del vecchio, la stessa che aveva appena rimesso sul tavolo, e con tutta la forza che aveva in corpo infilzò la carne nel piatto. Due, tre bocconcini tutti insieme.

Poi avvicinò la mano alla bocca sdentata che aveva di fronte.

Il vecchio sgranò gli occhi. Fece di no con la testa, rabbioso, e serrò le labbra, ispide come carta vetrata. La carne profumata sotto al naso. L’altro spingeva. Ancora no con la testa. La carne schiacciata sotto al naso, quasi dentro le narici. No! Urlò tirando il capo all’indietro. E con un unico gesto lui gli scaricò sulla lingua i pezzi di carne.

E adesso mangia, gli disse. Ti imbocco io.

Con le gengive dure come denti il vecchio iniziò a masticare. Guardando in basso, di traverso. Le braccia sotto al tavolo come paralizzate. Le mani strette attorno alla stoffa dei pantaloni sulle cosce secche.

Mandala giù! Insisteva lui con la forchetta a mezz’aria davanti alla faccia. Mandala giù. Si può fare. E intanto era tornato sul piatto per prenderne altra.

Ingoiala tutta, forza, come ho fatto io poco fa. Non è difficile. Devi solo masticare.

E il vecchio masticò. Masticò per tutta la sera anche quando credeva di non farcela più, anche quando la carne sembrava volesse schizzargli fuori dagli occhi.

Fino all’ultimo boccone, gli disse lui. Devo vedere la fine.

Con le guance piene e il volto rosso dallo sforzo il vecchio mandò giù anche l’ultimo pezzo di carne.

Bene, disse lui mettendosi di nuovo a sedere. Te l’avevo detto che si poteva fare. E’ morbida, ti avevo detto.

 

 

 

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4 commenti »

  1. Prima di commentare, devo calcolare l’età dei due uomini che sono centenari. “Il vecchio” ha novantaquattro anni e l’altro è maggiore di quindici anni. Mi sembra corretto il mio calcolo. Al di là di questi numeri, la rivalità in amore o la gelosia non hanno età. Bella caratterizzazione dei personaggi, anche quello femminile che eppure non è più tra i vivi. Atto unico adatto per Gilberto Govi.
    Emanuele.

  2. Grazie mille… Si, il ‘vecchio’ ha 94 anni, ma l’altro 15 in meno… Originale l’idea dell’atto unico… Non ci avevo pensato. E azzeccato anche l’accostamento a Gilberto Govi.
    Grazie ancora, Manuela

  3. Il segreto che divide ed unisce i due vecchi è una rivelazione inaspettata. Il più giovane poteva essere un fratello scapestrato o un badante disgraziato. Invece è l’innamorato costretto a nascondere all’esterno i suoi sentimenti che si rinfocolano nell’atto di difendere la reputazione dell’amata segregata dal marito. Pirandelliano.

  4. …è sempre bello scoprire che, al di là della semplice lettura, il racconto ispira delle riflessioni… Commento accurato anche questo, grazie.
    E ‘pirandelliano’ mi piace molto…
    Manuela

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