Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Blu oltremare ovvero Tra la via Aurelia e il West” di Cinzia Iacono

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Che cosa devo fare? Cosa faresti tu? Mia madre come al solito mi guarda, mi sorride e non mi risponde, schiacciata com’è tra il vetro e la cornice, sul mio comodino. Mi alzo e la vado a girare a faccia in giù, poi torno a sedermi nell’angolo opposto della stanza che non mi sembra già più mia, con gli armadi vuoti ed i rettangoli più chiari alle pareti al posto dei miei disegni. Io penso che la cosa più difficile del mondo sia scegliere. Le cose che mi piacciono le terrei con me per sempre. Il mio letto, la tazza del latte, la gabbietta di Cristoforo il colombo, anche se ora non serve più a niente. Terrei persino zia Marisa! Invece, dopo giorni di resistenza mia e di assalti loro, è arrivato l’ultimatum. “Ti dò tempo fino a stasera per riempre gli scatoloni, sennò intervengo io e ti butto tutto!” (questa è zia Marisa, sempre dolce…). Non ho che un pomeriggio, quindi. E che pomeriggio, ragazzi. Inizi di giugno, la scuola finita da una settimana, i compiti delle vacanze vaghi nella calura di una fine d’agosto per ora lontanissima. In tempi normali sarei già in spiaggia con gli altri. Giugno esiste per questo, no? Per offrirci le promesse di un’estate morbida e inzuccherata come una ciambella. Invece no, niente dolce far nienta per me, niente spiaggia. Scatoloni. Ho solo un pomeriggio per decidere cosa tenere e cosa lasciare. Perchè non si può portare tutto. Ora, ditemi voi comi si fa a scegliere tra questa meraviglia di teatrino – col fondale davanti bosco e dietro castello – e la povera Teresa, anche se ora è bruttina perchè le ho tagliato i capelli. Come faccio ad abbandonare anche uno solo dei miei libri? No, sui libri devo convincere zia Marisa  a trattare. Cosa ne sarebbe di me laggiù, senza di loro? Laggiù. So che non devo assillare mio padre con capricci e domande – devi fare la brava, per papà è un momento difficile – e infatti faccio la brava e me ne sto per conto mio ma una cosa ho dovuto chiederla. C’è il mare, laggiù? Mio padre ha risposto s-si…e ho capito che devo prepararmi a qualcosa di diverso dall’unico mare possibile per me, che è il nostro mare di Genova. Le spiagge qui sono spiagge per modo di dire, per quanto sono strette. Alle spalle hanno sempre qualcosa che le spinge, frane di massi o la scarpata della ferrovia. Sono spiagge con ciottoli grossi su cui i villeggianti  non sanno camminare scalzi, sono ridicoli. Ci sappiamo andare solo noi che viviamo qui. Il mare di Genova puzza sempre un po’ di porto e di catrame, anche ai bagni, come li chiamiamo noi, nonostante le file ordinate di ombrelloni e il bar col juke box all’ombra della tettoia di canne, dove la mamma si sedeva a riposare le rare volte che ci accompagnava – e allora era festa – perchè il sole era troppo forte per lei, diceva. Insomma, nessuno mi vuole dire come sarà il mare laggiù, se ci sarà davvero. Chissà cosa metterà papà nei suoi, di scatoloni. E le cose grandi? Il letto grande, per esempio, lo spedirà giù col camion o lo lascerà qui, visto che ormai per lui è inutile come la gabbia di Crstoforo? Come sarà la mia stanza? E io, come sarò io lontana dal mare, se ci sarò davvero…

Tutti erano certi che avrei scordato Genova in fretta, abbagliata dagli ori e dai marmi della nostra Terra Promessa. Ma attenzione con le promesse fatte ai bambini: bisogna mantenerle, prima o poi. Tradimento, stiamo parlando di questo. Tradimento e fuga. Perfetto, due bei traumi formato famiglia, prendi due e paghi…per sempre. Povera bambina. Da quando partimmo tutto prese ad andare storto. Roma ci accolse con un agosto rovente e senza pietà che lasciò il posto all’autunno più lugubre della mia vita. Gli ori e i marmi grondavano pioggia sporca e le case avevano il colore dei biscotti inzuppati nel caffellatte. A scuola non mi ambientavo. Quella lingua nuova, faticosa, larga…bèèène, sèèèmpre…Quelle “E” così aperte che ci si poteva cascare dentro, impossibili per una bambina ligure abituata alle cose strette: le spiagge, le “E”, il cuore. La casa nuova si era rivelata molto diversa dalla reggia annunciata e persino il cibo era straniero e ostile – Come lo faccio il pesto con ‘sto basilico! – si lamentava zia Marisa. Del mare, lo avrete capito, neanche l’ombra. Insomma, via, diciamolo: una fregatura. Mi avevano scaricato da una macchina in corsa in questa città gialla, bassa, orizzontale e Genova, la mia ventosa città verticale, era perduta per sempre. Io restavo una cosa a metà, nè carne nè pesce, nè nord nè sud. Mio padre sempre assente, l’unica presenza adulta nelle mie giornate, zia Marisa. Mia zia non era una donna, era un mucchietto di legna secca, un liofilizzato. Sembrava disidratata. Più che magra, scarnificata. Impossibile trovare nel suo corpo – ancora giovane? già anziano?  – un posto morbido dove appoggiarsi. Aveva adorato mia madre. Se era rimasta con noi – ci sarebbe rimasta fino alla fine, votata a noi con una devozione esaltata – fu di certo per via di qualche giuramento di fedeltà eterna fatto a sè stessa,  in quei giorni febbrili in cui tutti noi vagavamo per casa increduli e senza pace. Incline alla mortificazione e alla sudditanza, zia Marisa nutriva verso mio padre i sentimenti ambigui che le donne come lei nutrono per i maschi alfa del branco, dietro a cui scodinzolano e sbavano, odiandoli, ma pronte a seguirli all’inferno. Gonfia di un rancore battagliero che non trovò mai riposo cercava di annettermi al suo mondo dove regnavano rabbia e veleno. Io non chiedevo altro che silenzio, e un angolo in cui nascondermi. Non dar retta agli uomini, quelli ti vogliono morta! Tuo padre, guarda tuo padre…pazza me l’ha fatta diventare quella povera donna! Ma zia, papà sta male, la notte piange… Ah! Adesso piange! Non piangeva mica quando gliele portava in casa! Nel letto, gliele portava! Ormai sei grande, certe cose devi saperle… Così, per sapere certe cose, è tutta la vita che cerco, rovisto tra lettere e cassetti, chiedo alla polvere, parlo con i morti. Cosa stai facendo qui? Niente papà, stavo solo…Quante volte ti ho detto che non devi entrare qua dentro! Esci, va a giocare fuori, la devi smettere di frugare tra le sue cose, hai capito? La devi smettere! Così diventiamo tutti pazzi… Ma io non ho mai smesso. Neanche adesso che non c’è rimasto più nessuno e che ho superato da un pezzo l’età che aveva mia madre quell’estate. Cerco la donna che dovrebbe aver vissuto prima di questa vecchia ma non la trovo: non faccio che imbattermi in una ragazzina forastica e ruvida come l’ortica. Eppure non mancano i documenti. Ho trovato attestati, diplomi, il certificato di matrimonio con un signor Luigi e poi bollette, scontrini, il contratto di vendita di un appartamento sito in Corso Italia trentasette interno due, Genova Quarto. Questo, stando alle carte. Stando alla memoria, niente. O forse si…Ricordo addii. Si, addii, nel senso di saluti, commiati, separazioni o come volete chiamarli. Ecco, mi sembra che della donna che sono stata sia sparito tutto tranne i vuoti lasciati dalle cose. Mi ricordo tutti i treni e le stazioni. Le interurbane con la linea che cadeva e poi valigie, armadietti da svuotare in sala professori, stanze tornate silenziose dopo gli urli, stanze d’albergo da liberare, chiavi da riconsegnare, portiere di automobili che sbattono, il camion di una ditta di traslochi che ci precede, io che mi faccio prendere dalle convulsioni al casello di Grosseto perchè voglio tornare indietro…Ricordo noi tre, in macchina. Zia Marisa si soffia il naso. La nuca di mio padre è la cosa più rigida ed immobile che abbia mai visto. Io non oso guardare nello specchietto per la paura di incontrare i suoi occhi che mi guardano. Fintanto che te la presentano come un gioco, una partenza è eccitante. E’ l’avventura! Ma poi si fa sul serio e ti ritrovi intrappolata in macchina sulla via Aurelia, che per noi liguri è una presenza importante, un’arteria di cui le uscite a mare sono i capillari, ti lasci alle spalle Recco, Santa Margherita, poi Rapallo, poi Sestri e realizzi che non stai andando a Chiavari a trovare i nonni e neanche a Camogli per la sagra del pesce fritto, no, stai precipitando verso sud e tra le persone che sono con te manca proprio l’unica che vorresti davvero e perchè? perchè è rimasta a Genova, fila otto, loculo sei del Cimitero Monumentale di Staglieno perchè è morta, molto ma molto morta – direi che è ora di chiamare le cose con il loro nome – morta come in genere si è morti quando – marito in ufficio, figlia a scuola – si decide di prendere una sedia, salirci sopra, legare qualcosa al gancio del lampadario e poi girarselo attorno al collo, dare un calcio alla sedia eccetera, eccetera, eccetera…Che poi magari all’ultimo non voleva più farlo, forse, che ne so, avrà pensato a me…A me, si. Perchè, è vietato? Era mia madre, cazzo, dovrà pur avermi voluto un po’ di bene, anche se è stata così stronza da farmi questo servizietto, perchè è proprio da bastardi lasciare la propria figlia di otto anni a doversi occupare di una madre impiccata per il resto della sua vita…Magari voleva essere salvata, forse ha provato a chiedere aiuto, ma aiuto a chi, che l’avete lasciata tutti sola? E adesso? Adesso silenzio, shhhh, parlate piano che la bambina sente…la bambina ha troppa immaginazione. Menomale che non l’ha vista… Non l’ho vista? Non l’ho vista cosa, penzolare? Ma la bambina non è mica scema, cosa vi credete che veda ogni notte prima di svegliarsi e urlare, urlare! Shhhh!Silenzio! Sta zitta! Zitta, ho detto…Ti sei lavata i denti? Le mani? Lavati le mani che si va a tavola, lavati gli occhi. Gli occhi? Si, gli occhi. Cosa vedi? La vedi penzolare? Ma per favore, non penzola nessuno qui, cosa ti vai a inventare – ecco, che ti avevo detto? se la sogna sempre – La mamma non stava bene, lo sai, era sempre stanca…Lo so che era stanca, lo so che non veniva al mare e restava a letto, però non dormiva,  la sentivo. Piangeva. Ma non poteva trovare il modo di punire mio padre senza punire me? Mica me le scopavo io tutte le sue amiche! E adesso cosa ci devo fare con tutta questa rabbia che mi è rimasta in mano? Me lo volete dire? Qualcuno me lo vuole dire? Non me l’ha voluto dire nessuno. Di certo non quella poveretta di mia zia che ha coltivato il suo orticello di odio fino alla fine della sua vita ridicola e da cui ho imparato una cosa sola: che non volevo diventare come lei. Come nessuno di loro, in verità. Mi hanno fatto credere che ci sono solo due modi di vivere la vita: restare piantati nell’orto del rancore come carciofi spinosi e amari, o strapparsi via e dire addio, come ha scelto di fare mia madre. Ma no. Non è vero. Ci sono altri modi, ma si imparano da piccoli e ormai…Io credo che abbiamo il dovere, tutti, di portare la nostra vita in salvo, in territori protetti dove non sia necessario girare armati. Dovremmo girare…amati, invece. Ci dovremmo procurare dei rapporti sani, lasciandoli perdere i maschi alfa, che dietro a loro ci si va di sicuro all’inferno. Dovremmo cercare di amare chi ci ama, o almeno chi ci prova, così se ci saranno intoppi – e ci saranno – si tratterà di piccoli sbagli di brave persone, cose che possono capitare a tutti, e non potremo cavarcela urlando “brutto stronzo bastardo!” perchè lui sarà uno come noi, uno che naviga a vista nelle secche della vita e fa quel che può. Per me è tardi. E’ andata com’è andata. Vorrei solo che i morti riposassero in pace. E penso che sarebbe bello…tornare. Ecco si, tornare. Mi piacerebbe che gli addii, che per tutta la vita ci hanno straziato la carne e fatto sanguinare gli occhi, diventassero un mare di persone che si ritrovano, si riconoscono, si salutano, insomma una festa, un meraviglioso, definitivo ritorno a casa.

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3 commenti »

  1. Bel racconto: ben scritto, non banale e non ovvio.

  2. Bel racconto davvero: un umorismo che stempera i momenti più drammatici, un paio di omaggi (direi Guccini e Fante, o sbaglio?) ad autori che apprezzo, e la capacità di parlare di sentimenti senza scadere nel sentimentalismo. Mi piace.

  3. E’ il resoconto della vita, la somma dei valori (positivi e negativi) sulle righe di alcune circostanze che hanno condizionato l’esistenza di una donna. Credo che l’anonimato sia strumentale, si possono riconoscere in tanti nei personaggi. Come l’infelicità abbia attanagliato per tutta la vita e attorno ci sia stato tanto egoismo. Pensieri profondi espressi in una prosa scorrevole.
    Ciao Cinzia.
    Emanuele.

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