Premio Racconti nella Rete 2014 “I Prescelti” di Emanuele Pieroni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Parte Prima
Dentro
Solo una sensazione, solo un’emozione è la nostra unica, fedele, compagna, qui.
L’unica capace di unirci e allo stesso tempo allontanarci, la sola che ci accomuna e la medesima che ci isola: la paura.
Qui, dove tutto è contraddizione, dove il tempo scorre troppo in fretta e allo stesso modo appare eterno, dove viviamo per poi, probabilmente, morire. Dove nessuno parla, eppure tutti dicono la stessa cosa, dove nessuno chiede, ma tutti si pongono le stesse domande. Gli occhi parlano per loro, per noi.
Pupille dilatate si riflettono in pupille angustiate e come in unimpietoso specchio mostrano le angosce di se stessi, peggio ancora, poiché lasciano trasparire chiaramente anche quelle che tormentano chi si ha di fronte. Forse per questo nessuno parla, non ce n’è alcun bisogno. Tutti vediamo e sentiamo le stesse cose in questo luogo senza tempo e senza senso: vite rubate, sofferenze come vetri rotti e appuntiti infilati nel cuore, anime disperate che si torturano di domande alle quali mai riceveranno risposte. Ci restano solo ricordi, ricordi perduti, ricordi così dolci e così amari in egual modo, ricordi di momenti che non torneranno più. Qui dove la vita è la condanna e la morte è la libertà.
Il mio giorno non dovrebbe farsi attendere a lungo ormai. Non ricordo quanto tempo fa sono stato preso e rinchiuso qui, ma so che all’inizio eravamo davvero pochi e, quasi tutti quelli che già c’erano, ora sono stati portati via. Tanti invece sono stati i nuovi malcapitati che mi hanno seguito, giorno dopo giorno. Li vedo tentare di dormire, ma rinunceranno presto. Le luci si spengono, i rumori si acquietano, ma uno non cessa mai e tanto basta a tenerci svegli tutti: il rumore dei pianti, dei sospiri e dei respiri. Si susseguono e si rincorrono, squarciano le notti, lamenti disperati e vagabondi,che inquieti echeggiano nell’aria, appestata di putridume e luridume, di questo indegno e oscuro luogo: volano veloci, spinti dall’ansia, crescono battenti come tamtam di tamburi finché calano, si fanno flebili, si rassegnano morenti nelle gole stanche e usurate … no, nessuno dorme qui.
Ho visto alcuni di noi morire. Li ho visti con i miei occhi: suppongo che sitrattasse dei poveretti dagli esili respiri notturni, che già tanto risuonavano come nient’altro che un canto di morte, dopotutto. Erano quelli che peggio di tutti avevano reagito alla prigionia: si erano distaccati, se ne stavano in disparte, rifugiati in qualche angolo, solitari come profughi dispersi in terre ostili. Si lasciavano andare, così, senza più mangiare, senza più bere, abbandonati da ogni speranza, disillusi dalla voglia di vivere, sdraiati o accucciati in attesa della fine, che in queste condizioni, qui, non ci mette molto ad arrivare. Non saprei più dargli torto, come dicevo, sono da un po’ qui ormai e li posso capire: dietro i loro occhi vitrei e spenti, senza vita, altri vedevano solo una morte disperata, io infine vedevo non nient’altro che la libertà.
Continuano ad arrivarne di nuovi. Ormai so già cosa li attende, eppure non ci si abitua mai al dolore e alla sofferenza: li vedo vagare smarriti, in cerca di aiuto, di risposte, senza sapere dove e perché ci si trovino. Li vedo impazzire e deprimersi allo stesso tempo, attimo dopo attimo, gridare prima, urlare poi, cercare vie di fuga, per poi vederli realizzare che no, non ce ne sono, di qui non si esce.La loro rabbia scema, lo sconforto cresce, culmina in ansia e terrore nei loro cuori. Alcuni eroi si lasceranno morire, molti altri saranno traditi, come me, da un naturale istinto di sopravvivenza intrinseco nell’animo, il tempo e il luogo allora cesseranno di avere importanza e, proprio come me, non dovranno far altro che aspettare.
Dalle alte e irraggiungibili finestre sbarrate non possiamo vedere il sole sorgere, ma dalla luce che filtra si può intuire, con un po’ d’abitudine, il momento della giornata, che non ha alcuna rilevanza per noi se non in un caso ben specifico; non troppo tempo dopo l’alba, sempre con maggior frequenza negli ultimi tempi, proprio come il flusso dei nuovi reclusi, lui arriva. Bianco, bianco dalla testa ai piedi, spalancal’enorme portone di metallo grigio che separa queste mura dal resto del mondo e si pone dietro la recinzione interna: da lì ci osserva, attento, in silenzio, si muove dietro alle sbarre percorse da filo spinato di ferro. Poi torna sui suoi passi e se ne va. Molti di noi, soprattutto i nuovi, non capiscono, la loro ansia cresce, per questo non accenno a nulla: se sapessero, l’ansia diventerebbe angoscia. Io ho capito cosa fa, l’ho visto molte volte ormai. I suoi occhi freddi e neri prima o poi si soffermano sempre, a lungo, su qualcuno in particolare; quello sarà il nuovo scelto, anzi, prescelto.
Ciò che non so, è che cosa accada ai prescelti, anche se, poiché nessuno è mai più tornato, il mio cuore è certo che vengano mandati a morire, che sia quella la loro, la nostra infausta sorte. Tuttavia, ormai ritengo che tanto infausta poi non sia: noi soffriamo e cuociamo nel nostro brodo di vane e disilluse speranze, mentre loro, i prescelti, in ogni caso, smetteranno di avere paura, conosceranno la loro sorte; per quanto poi triste questa si dovesse dimostrare, mai potrebbe durare quanto l’oppressione che ci attanaglia e ci stringe, come in una morsa, da troppo, troppo tempo ormai. Io ora li invidio. Questa prigionia mi ha ucciso l’anima, mi ha tolto ogni dignità, mi sta cancellando perfino i ricordi più felici: sono più che pronto ad affrontare questo destino, qualunque esso sia. Ho percorso e ripercorso la mia vita, dato l’addio ai miei amori, anche se solo nel mio cuore. Posso andarmene in pace.
Ecco, ci siamo: la porta si spalanca di nuovo. È l’ora. Per qualcuno è scoccata, primalui ha fatto la sua scelta ed ora, dopo poco, vengono a prenderlo. Oggi sono in due, spesso viene uno solo, quello enorme, che non manca mai, mentre l’altro, più piccolo, non fa praticamente nulla. Aprono la recinzione interna, entrano furtivi dopo aver rimosso i lucchetti, come a non voler essere visti o sentiti, come serpi, ma tutti noi li vediamo bene. Ora molti occhi si cerchiano di puro terrore, il bianco delle cornee risalta, come non mai, in volti agitati e impauriti. A volte ho visto alcuni di noi tentare di gettarsi alle loro spalle, di scatto, per coglierli alla sprovvista e fuggire lontano: quei poveri arditi speranzosi hanno sempre fallito, sono caduti subito sotto colpi ripetuti, sferrati senza pietà,attraversoun arma tremenda e micidiale.
Ora vanno verso il prescelto, sanno già di chi si tratta, come sempre. Neanche oppone resistenza, si fa trascinare via, quasi inerme, forse stordito dalla paura o dalla pura e semplice rassegnazione. Forse, semplicemente, come me, come molti di noi, non vedeva solo l’ora di uscire di qui, qualsiasi cosa ci sia ad attenderlo dall’altra parte. Loro sono crudeli, su questo non c’è dubbio, altrimenti non ci terrebbero qui, a patire sofferenze indegne, che oltre che fuori, ci lacerano soprattutto dentro; quindi non solo è probabile che ci uccidano, ma forse anche in maniera orrenda e tramite torture inimmaginabili.
Tuttavia ciò che ormai so per certo, è che nessuna sofferenza fisica è anche solo paragonabile a quella dell’anima, quella che comporta il restare qui, abbandonati, giorno dopo giorno, a convivere con la paura, nella paura, sempre, senza mai tregua per un solo istante, a osservarlariflessa eamplificata negli sguardi affrantidi chi ti passa mestamente accanto, come fossero specchi. Questa è la vera tortura, la vera morte. Qui siamo già tutti morti, dentro.
La porta si è richiusa, il silenzio è tornato, subito rotto da altri lamenti e sospiri.Neanche oggi è stato il mio giorno.
Parte Seconda
Fuori
«Mà?»
«Dimmi Lucy»
«Quand’è che smetterete tu e papà?»
«Via Lucy, non insistere con queste assurdità!Ne abbiamo già parlato troppe volte per quanto mi riguarda! Si può sapere perché vuoi venire qui con me quando non hai scuola se poi devi fare tutte queste lagne?»
«Cosi posso guardarli negli occhi e dir loro con tutto il mio cuore che mi dispiace. Che mi dispiace da morire. Per non dimenticarli mai più.»
«Sei una brava bambina Lucy, ma credimi, dovremmo dispiacerci molto di più se l’agriturismo di tuo padre, almeno nella bella stagione, non registrasse incassi decenti! Ora esci, avanti, che devo farlo.»
«Quando io sarò grande li salverò gli animali, invece di cucinarli!»
Lucy uscì, e diciotto anni dopo, nel suo piccolo, per quanto poteva, lo faceva davvero.
A Lucia ed ai suoi piccoli,
prodigiose stelle innocenti,
capaci di donar luce ad un cupo mondo.
Il tuo racconto, Emanuele, mi ha toccato molto. Il titolo invta alla lettura, la lettura turba gli animi. L’argomento porta alla riflessione profonda. Adorabile Lucy, adorabile creatura.
il racconto dovrebbe riguardare nella prima parte un allevamento d’animali, forse polli, con un animale “umanizzato” che ci dà le sue riflessioni sulle aspettative e sul trattamento riservato ai polli; la seconda parte riguarda l’atteggiamento di Lucy sull’uccisione dei polli per alimentari i villeggianti o i clienti dell’agriturismo del padre. Le riflessioni sulla vita, sulla libertà da parte del “soggetto umanizzato” sono condivisibili e chi è in grado di smentirli? Racconto originale per esprimere la condanna dell’uccisione degli animali allevati.
Emanuele.