Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Thwipp!” di Arturo Belluardo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Peter Parker era il mio eroe. Quel caruso un po’ minchia di mare, pigghiato pu’ culu dai suoi compagni di scuola (un po’ comu a mmia, ‘nzomma). Quel caruso un po’ minchia di mare che riceve grandi poteri e grandi responsabilità dal morso di un ragno. Quel caruso un po’ minchia di mare che diventa un eroe perché ci ammazzano sò ziu.

Uora, io ero solo un po’ minchia di mare, non avìa grandi poteri e ca’ purtroppo mio padre non era morto. Potennu fare picca e nenti per risolvere il problema di mio padre, avevo deciso di lavorare sul versante dei poteri. Avevo dipinto con i pennarelli Giotto una vecchia federa, avevo tracciato uno per uno tutti i filinia e al centro delle ragnatele avevo ritagliato due buchi per gli occhi. La mia maschera era beddissima! E avevo anche in più, rispetto all’Uomo Ragno, un grande potere: un enorme pon-pon rosso!

Quel grosso pallone rosso di gomma dura, con sopra disegnato un toro che sbuffava, me l’aveva regalato mio nonno quell’estate e avevo passato tuttu u cauru d’agosto, aggrappato alla maniglia del pallone, a ffari trasi e nesci, acchiana e scinni per tutte le trazzere dell’uliveto di nonno Davide. M’ero proprio arricriatu, ma a settembre, tornati nella nostra casa di via Montegrappa, il divertimento finiu: abitavamo al terzo piano di una casa popolare e rimbalzare per il corridoio non era a stissa cosa. E poi c’era la signora Fontana del secondo piano che ci scassava la minchia, che tutto stu’ burdello ci dava fastidio, che avìa muruto sa’ maritu. U maritu della signora Fontana veramente avìa murutu due anni prima, ma la signora continuava a vestirisi di niuru e a scassare la minchia per definizione.

Quel pomeriggio avevo appena finito di leggere il numero 78 de “L’Uomo Ragno”, “Nel fulgore della lotta”: aveva una maravigghiusa copertina dove l’Uomo Ragno lottava contro Lizard, l’omo scursune, e contro l’amico sò la Torcia Umana. Sautai giù dal letto in canottiera e mutandine bianche, mi infilai la maschera, acchianai sopra al pon-pon e mi misi a ballonzolare torno torno a me frate Ianu, di cinque anni.

“Fermati, lucertolone, hai finito di terrorizzare la città! Ora ci pensa il vostro amichevole vicino di casa, l’Uomo Ragno!” intimai a me frate nicu.

“Io non voglio fare lo scorsone, voglio fare la Toccia Umana!” piagnucolò me frate Ianu.

“Zittiti, Lizard!” gli strillai, aumentando i rimbalzi del pallone attorno a lui “O ti inchiu la bocca di filinia!”

Per accentuare la minaccia di lancio della ragnatela, simulai il classico gesto della mano dell’Uomo Ragno, medio e anulare piegati sul palmo, ci fici le corna ‘nzomma.

Me frate Ianu si mise a chiancire a sirene spietate:

“Aaaah! Ahhhah! Io non vogghiu fari Lizard! Vogghiu fare la Toccia!”

Per tutta risposta gli puntai contro le corna-lanciaragnatele e mimai il suono del lancio:

“Thwipp! Thwipp! Thwipp! Thwipp!”

La porta della camera si spalancò e trasìu mio padre, “Playmen” spiegazzato sotto l’ascella sudata, lastimiando:

“DAVIDEEEE! Lassa stare a to frate! E finisciaccilla cu’ stu burdello, che alla signora Fontana ci è morto il marito!”

Io mi girai di scatto verso il nuovo nemico e gli agitai contro il lanciaragnatele:

“Thwipp! Thwipp! Thwipp! Thwipp!”

“A chi ce la fai le corna, eh disgraziato?!” ringhiò mio padre e mi ampicchiò una grandissima tumbulata a manu china. Il ceffone fu talmente violento che, non solo mi fici abbulare la maschera da Uomo Ragno, ma fici abbulare pure me per un paio di metri. Atterrai sul pavimento di linoleum, sbattendo la testa contro i piedi di ferro del letto.

Mezzo intronato, vidi mio padre afferrare il giornaletto dell’Uomo Ragno:

“Sù chisti minchiate che ti fanno scimunire!” urlò.

E strappò in due la rivista.

“Accussì t’ansigni l’educazione!” gridò uscendo, mentre frammenti di ragnatela colorata volavano lentamente per terra accanto a me.

E il giornaletto me lo aveva pure imprestato Massimo Gallo: chissà ora quanti muzzicuni ru sceccu e quanti manrovesci m’avrebbe dato pure lui…

 

 

L’indomani mattina telefonò mia nonna che s’avìa ‘ntisu male, ma male sul serio e l’avevano portata allo spitale; mio padre aveva gli esami di riparazione e non si riusciva a chiamare, che a scola non rispondeva nuddu. Mia madre doveva uscire per forza per forza ed ebbe pertanto la bella pinzata di ‘nzerrarici a chiave dentro casa.

“Davide, mi raccumannu: sei grande e responsabile. Prova a chiamare tuo padre ogni quarto d’ora e dicci di tornare a casa, che siete soli. Mi raccumannu, lassa stare in pace to frate. Io torno subito” disse mia madre e s’inniu.

Cosa avrebbe fatto l’Uomo Ragno se si fosse trovato in una situazione del genere?

Facile: avrebbe usato la sua ragnatela per fuggire! Bastava appizzare un filo al balcone della signora Piazza, chidda del piano di sopra, e calarisi giù in strada, libero!

Pigghiai quindi ‘na vastedda e ci versai dentro fecola di patate, farina, gelatina, lievito di birra e Coca-Cola e mi misi ad arriminare l’impasto.

“Davide, ma che cummini? Mi fai vedere?” mi spiò Ianu incuriosito.

“Staiu preparannu la ragnatela” risposi.

“A ragnatela! E che ne sai tu?” disse me frate.

“Ho preparato tutta l’estate le torte con la mamma: sono diventato un esperto di formule segrete” dissi mistiriusu.

“Ravero?” mi taliò ammirato Ianu, portandosi le mani davanti alla bocca.

“Cà cetto!” proclamai tronfio.

“E dove ce l’hai il lanciaragnatele?” mi sfidò Ianu.

“Ta-dà! Sorpresa!” e gli mostrai la peretta marrone che serviva per farci i clisteri.

Misi l’impasto sul fornello e addumai il gas con gli svedesi.

“Davide, ma che fai? La mamma non vuole…” mi taliò scantatu Ianu.

“Ianu, ma tu non sì la Torcia Umana? E che Johnny Storm ha paura del fuoco?” replicai.

“Io… Io… la Torcia Umana? Ma ravero?” si commosse Ianu.

Dopo poco ‘a mappazza ‘nta vastedda era diventata liquida e spumeggiante e bolliva gorgogliando; sorridendo, immersi con attenzione la punta della peretta nel composto ed aspirai: sentivo un calorino confortevole tra le mani.

“Amunì, Johnny!” dissi a Ianu e uscimmo sul balcone, mentre la pentola continuava a bollire sul fuoco.

“Ora lanciamo la ragnatela!” gridai.

“Forza Uomo Ragno!” mi incitò Ianu, mentre il composto sul fuoco iniziava a strabordare.

Puntai la peretta verso il balcone sopra di noi e premetti con tutta la mia forza.

Splorchhh! Con questo suono simile ad un conato, un fiotto di ragnatela grigiastro si drizzò alto nel cielo, salì, salì, salì, acchianò.

E ricadde miseramente sulla biancheria stesa della signora Fontana del secondo piano sotto di noi.

“Thwipp! Doveva fare thwipp!” dissi sconsolato, mentre un fumo niuru niuru nisceva dalla cucina, unito ad un feto inequivocabile di gas.

“Ma chi è stu feto? Signora Buscemiiii!” la vedova Fontana, tutta vestuta di niuru, si era cataminata sul suo balcone, attirata dalla puzza di bruciato e di gas.

“Aaaah! A me’ rroba!” schigghiò la vedova, addunandosi della ragnatela impicchiata sugli asciugamani stesi “I beddi tuvagghie ru corredo!”

Arraggiata come un cane di mannara, la signora Fontana del secondo piano alzò lo sguardo verso di noi e n’incagghiò prima che potessimo muovere un solo muscolo.

“Davide Buscemi! Sempre tu sì! Ora ce lo dico a tuo padre!” minacciò e rientrò. Se c’era una capace di trovare mio padre scola scola, dopo che era tutta la giornata che ci provavamo, questa era la niura signora Fontana del secondo piano!

“Johnny, resta qui fuori di guardia! Avvisami, se arriva papà!” gridai a Ianu e rientrai in cucina. Spensi il gas, ma era troppo tardi: una poltiglia nerastra si era solidificata attorno ai fornelli come lava nella sciara. Mi arrampicai su una sedia e con cucchiai e pezze bagnate mi misi a cercare di scrostare l’inscrostabile.

Dopo appena dieci minuti, Ianu si affacciò al’interno: “Uomo Ragno! Uomo Ragno! Macchina 600 bianca di papà in avvicinamento! Che faccio? Chi fazzu?”

“E che ne sacciu, Ianu?” mormorai terrorizzato, cercando di rimuovere l’intruglio nerastro.

“Chi fazzu? Chi fazzu? Chi fazzu? Chi fazzu? Chi fazzu?” continuava a ripetere Ianu, scantatu quanto a mmia.

“Talè, Torcia Umana, tiraci una palla di fuoco!” dissi per farlo smettere.

“Agli ordini, Uomo Ragno!” obbedì Ianu e sparì.

Quando lo intravidi passare con un’enorme cosa rossa tra le braccitedde niche era ormai troppo tardi: Ianu aveva lanciato fuori dal balcone il mio pon-pon, il mio amato pon-pon rosso con il toro che sbuffava. Con uno scruscio da bumma, il pallone era atterrato sul tetto della 600 bianca di mio padre, rimbalzando più volte sminchiando, nell’ordine, tergicristallo, deflettore e specchietto laterale sinistri.

Il terrore ci aveva paralizzato, non c’era posto unni ammucciarisi, eravamo aggrinciati davanti alla porta di casa: io, in mutande e canottiera, aggrappato alla peretta lanciaragnatela, con le iamme che mi facevano pupiti pupiti, e Ianu aggrappato a mmia che salmodiava: “Chi fazzu? Chi fazzu? Chi fazzu? Chi fazzu? Chi fazzu?”

Mio padre spalancò la porta come un rinoceronte infuriato, gli occhi da pazzo, la bocca che sbavava.

“DAVIDEEEEEEEEEE!” rantolò.

Lo guardai tremante e capii. Quello non era mio padre, era Rhino, l’acerrimo nemico dell’Uomo Ragno! Rhino, un enorme bestione coperto dall’impenetrabile pelle di un rinoceronte! Rhino, che aveva solo un punto debole: la faccia non era protetta!

Afferrai la peretta a due mani, la puntai e.

Thwipp! fece la ragnatela colpendo esattamente il bersaglio.

 

 

L’ambulanza aveva da poco portato via mio padre.

Mia madre ci aveva rinchiuso a chiave nel camerino delle scope, al buio, ed era andata via di corsa un’altra volta.

Dopo un po’ sentii la chiave girare nella toppa e uno spiraglio di luce squarciò u scuru.

“Davide! Ianu! Niscite fuori! Ci penso io a viautri adesso!”

La signora Fontana vestita di niuru del secondo piano! Mia madre ci aveva tradito! Consegnato nelle mani della più terribile nemica dell’Uomo Ragno.

La Vedova Nera!

Ma non avevo paura. Nessuna paura.

Alzai il mio lanciaragnatela e.

Thwipp!

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14 commenti »

  1. Farebbe inorridire mio figlio Michele,
    fan sfegatato di SpiderMan.
    🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂
    Sto ancora ridendo…
    Piccolo capolavoro
    in lingua originale(sicula doc).
    Una rivelazione,
    da leggere, tenendosi la pancia.
    Altro che Camilleri!
    Bravo Arturo.
    Notevole.
    😉

  2. Bravo Arturo!
    Hai scritto un racconto divertente e con molto ritmo,
    avvincente anche per chi non conosce il siciliano né i super eroi.

  3. Carinissimo! Voglio vedere anche il corto di questo!!

  4. Grazie, grazie di cuore a tutti. Chi avesse voglia di leggere un’altra avventura della famiglia Buscemi, trova “Sangue sulla luna” sul sito http://www.omero.it nell’archivio della rivista on-line Mag O

  5. Non capisco perfettamente il siciliano ma il senso generale si! Poi con le lacrime agli occhi è anche più difficile leggere… Thwipp thwipp e me ne vado via ancora ridendo… Troppo bello!

  6. Divertentissimo!
    Un po’ di buonumore è quel che ci vuole. Davvero originale e ben scritto, complimenti!

  7. Sapiente uso del siculo e della lingua nazionale per un racconto che descrive le marachelle di due bambini. Marachelle? Qualcosa di più. Uomo Ragno terribile. Sono proponibili anche per la Brianza questi personaggi, come padre e madre e signora Fontana. Conclusione degna del miglior fumetto, una vignetta con la Vedova nera e l’Uomo Ragno e il Thwipp.
    Il siculo è una lingua melodiosa. Si potrebbeo insegnare anche i “dialetti”.
    Complimenti.
    Emanuele.

  8. Carinissimo e divertentissimo. Esilarante.
    Angela

  9. Mi prendo il merito di aver commentato per primo
    questo divertentissimo racconto.
    Congratulazioni e arrivederci a Lucca, Arturo.
    😉

  10. Spassosissimo, originale, unico. Complimenti per la vittoria!

  11. Non ho smesso un attimo di ridere, Arturo. Sei troppo forte! Sarà un piacere conoscerti, Liliana

  12. Ciao Arturo, complimenti per la vittoria! Ci vediamo il 25 luglio a Roma, se ci sei!
    Ottimo racconto, spassoso dall’inizio alla fine, e interessante anche la prova del siciliano!
    Complimenti ancora,
    Luca

  13. Bellissimo racconto, scritto benissimo, e il siciliano (che io adoro) non fa che ampliare, se possibile, l’effetto divertente.
    Da tenere accuratamente nascosto a mio figlio ….. Potrebbe prenderne spunto!!!!

  14. Ora ce lo dico a tuo padre Rhino: lo figghiu suo bravissimo iè!! E lui mi risponderà: “Ravero?” e io gli rimanderò: “Cà cetto!”
    Scusa lo scempio del tuo idioma avito: è modichese? Sei tu che hai scritto una storia di Modica, peraltro pubblicata a Firenze? Comunque sia io compro sempre cioccolata di Modica da certi spacciatori siculi che a Firenze gestiscono un bar vicino a piazza Indipendenza.
    Quello che volevo dire però era altro: ho trovato la commistione italiano dialetto veramente ben equilibrata tanto da essere sorprendentemente comprensibile anche nei termini meno assonanti con l’italico idioma.
    Mi appare come una ben riuscita versione siciliana di Giannino Stoppani ovvero Giamburrasca, uno degli eroi della mia infanzia – oltre all’Uomo Ragno, naturalmente.
    Non avevo letto questo racconto, mi ero limitata a bearmi di Ottativo passato che mi aveva già dato molta soddisfazione, come ti ho già espresso nei commenti.
    Che dire di altro? Che questo dimostra una volta per tutte che studiare il greco a qualcosa serve?
    Non ho ancora scoperto a cosa, ma i risultati sono ottimi.
    Vittoria meritatissima.
    Ciao
    Cristina

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