Premio Racconti nella Rete 2014 “Soqquadro con due q” di Francesca di Macco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Si erano parlati a lungo la sera prima senza arrivare ad un punto
Poi il punto lo aveva messo lui quando le parole iniziavano a percorrere strade impervie, perlopiù senza via d’uscita.
Lei aveva detto che non poteva e basta,
piangeva.
Aveva detto che si sentiva soffocare e non sosteneva più quel peso,
che doveva finire
e si prendeva tutta la colpa e i suoi sensi pure, li avrebbe sistemati nella valigia tra la biancheria e il maglione a collo alto. L’indomani mattina.
buona notte ma non aveva nessuna voglia di dormire
e le coperte le erano sembrate così pesanti
come quel silenzio che era calato nella stanza.
Erano sdraiati uno accanto all’altra, immobili
come quel silenzio
chiuse gli occhi e la stanza aveva iniziato a ruotare intorno al loro letto fermo.
Due corpi stesi che si davano le spalle senza chiedersi scusa,
insofferenti e sordi come quel silenzio
così severo che era impensabile parlargli sopra.
E invece no, ora le era venuta una voglia tremenda di tirare fuori tutto
“Ho detto basta, non punto e basta!”
e ora voleva parlare e parlare
di nuovo, ancora, parlare all’infinito e a sproposito
e svuotare il sacco e gli armadi, e raccogliere i rospi e gli scheletri
e gli scheletri dei rospi!
Si alzò di scatto dal letto, cercò a tentoni il pacchetto di sigarette e se ne accese una.
Lo sentì rigirarsi nel letto e respirare, era sveglio anche lui ma teneva gli occhi chiusi
E pensare che fino a poco tempo prima quello era il loro rifugio, quel piccolo monolocale in montagna dove era impossibile stare senza sfiorarsi, e senza intralciarsi
dove avevano imparato a condividere ciò che ora dividevano
Quando era piccola molte sere non riusciva a dormire e si preoccupava che il sonno non arrivasse
Allora sua madre la rassicurava dicendo che non era mai successo che il sonno non arrivasse
Ritornò a letto e aspettò a lungo
ma poi arrivò, agitato e discontinuo ma arrivò
più simile a un dormiveglia che a un sonno.
Uno strano rumore la svegliò del tutto, di un tonfo morbido da fuori ma non riuscì a distinguere bene, né si preoccupò di affacciarsi a vedere cosa
Allungò d’abitudine i piedi dall’altra parte del letto
E si ricordò della sera prima, della discussione, del trambusto di armadi che non aveva più fatto, delle sue ragioni non si ricordava, ma del senso di infelicità sì, e di quel peso,
disumano
come quel silenzio che li aveva paralizzati su quel letto.
ancora tonfi sordi
che su un cuore insonorizzato
diventavano impercettibili
Spalancò gli occhi, ripescò i calzini nelle pieghe delle lenzuola e si trascinò verso la finestra
Spalancò le persiane
e vide la neve.
E trovare la neve
che aveva coperto ogni cosa,
imbiancato e ammantato qualunque cosa su cui si fosse posata
quella notte.
Conservava per poi restituire,
aveva immobilizzato ogni forma di vita e ora il suo sguardo bianco,
gelido, rapito dalla purezza e dalla luce
che non si scollava dal vetro appannato
dal suo respiro.
Il sole cresceva e si alzava e non scaldava
ma scioglieva quella neve prematura.
E rimase così ma ben presto, pensava
avrebbe continuato a guardare la neve
mentre non la vedeva più
mentre la montagna si levava delicatamente di dosso il suo mantello e le sfuggiva dalle mani in un soffio
e gli alberi si scrollavano infreddoliti le spalle e tutto tornava come prima
ma diverso.
Sentì la porta aprirsi dietro di lei e lo vide nel riflesso del vetro
col naso rosso e qualche dolcetto per la colazione.
Non riusciva a parlare lei,
non disse nulla lui
per il gran freddo.
Gli riscaldò le mani come era solita fare e lo baciò.
Il testo è fuori dai canoni della scrittura per dare il senso di sconcerto che si insinua dopo il litigio con il proprio uomo (o la propria donna), ma l’abbandonarsi alla natura o alla propria essenza aiuta a trovare l’equilibrio nel rapporto tralasciando l’uso delle parole. Solo i gesti veri restituiscono pace. E’ l’immagine intima di una copia che litiga pur amandosi. Brava Francesca.
Emanuele.