Premio Racconti nella Rete 2014 “Dialogo con l’anestesista” di Massimiliano Guarino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014PAZIENTE: “Ah, proprio lei andavo cercando; ma dove si era cacciata?”
ANESTESISTA: “Mi perdoni ma oggi è una giornataccia, tutti che mi cercano, c’è una coda impressionante di persone che vogliono essere addormentate. Non sono bei tempi i nostri, c’è una crisi di identità che colpisce tutte le sfere della società. I più deboli paradossalmente siete proprio voi giovani; non credete più in niente.”
P: “Parole sante le sue; parla proprio come un libro stampato. Certo che pure lei, si è scelto un mestiere da ridere, per niente simpatico; le pare carino andare in giro a togliere la coscienza alla gente come se niente fosse, annullare la memoria giocherellando con miscugli vari di farmaci?”
A: “Si, è vero, può sembrare brutale ma se ci pensa un attimo lo faccio solo ed esclusivamente per il bene del paziente; in fondo l’effetto analgesico e amnesico consente di non percepire dolore fisico e di non ricordarsi dell’evento chirurgico. Le pare poco?”
P: “Assolutamente no, non mi fraintenda, ma è altresì vero che lei non può far finta di sottovalutare l’enorme potenziale che ha nelle sue mani. Dosando a piacimento la quantità di farmaci che somministra, può modulare arbitrariamente la profondità dell’anestesia e siamo sicuri che da un certo punto in poi lei non possa interferire con la sfera del subconscio? vi prego, non tenterete di intromettervi nei miei sogni, uno dei pochi ambiti in cui sono il vero padrone della scena.”
A: “Ma cosa va blaterando?”
P: “Patti chiari e amicizia lunga: non vorrei passare il resto delle mia vita ad avere incubi di notte e sognarla mentre mi rincorre per tutto il reparto con una flebo in una mano e la maschera nell’altra nel tentativo di indurmi il sonno mentre io, sulla sedia a rotelle, schivo primari, parenti, infermiere e lettini vari pur di non farmi acciuffare. Sarebbe poco eccitante: se proprio dovrò sognarla per il resto dei miei giorni, preferirei immaginarla in minigonna e giarrettiera rossa su calze a rete nere (a maglie larghe) mentre avanza verso il mio lettino su dei comodi stivali con tacco a spillo.”
A: “Ho come l’impressione che lei abbia visto un po’ troppo cinema trash italiano anni ‘70, ma qui non siamo mica su un set cinematografico.”
P: “Mi perdoni, non era mia intenzione imbarazzarla, è diventata tutta rossa. Torniamo piuttosto alla anestesia; cosa mi dice allora della mia coscienza morale? è sicura che non interferirà in alcun modo con essa? sarebbe un vero e proprio dramma essendo essa già instabile di suo.”
A: “Mi pare che lei sia un po’ confuso; non so se è il tranquillante che ha ingurgitato poco fa che comincia a fare il suo effetto annebbiandole le idee oppure ha dei limiti concettuali non da poco e sarei più propensa (senza offesa) per questa seconda ipotesi.”
P: “Che intende dire?”
A: “Ma che senso ha parlare di coscienza morale? lei ha una visione pre-hegeliana del mondo ma per fortuna il pensiero occidentale è progredito.”
P: “Continuo a non seguirla.”
A: “Non avevo dubbi. Lei cosa intende per morale? che cosa è per lei la morale e soprattutto la coscienza morale?”
P: “Ho sempre inteso fosse la capacità da parte di un soggetto di saper distinguere ciò che è bene da ciò che è male così da poter indirizzare i propri comportamenti verso gli altri e verso l’ambiente circostante nella maniera più consona possibile.”
A: “Non sia generico ed evasivo. Che cosa è bene e che cosa è male? in base a quale metro di giudizio e a quali criteri logici lei sa discriminare il bene dal male?”
P: “Un uomo di fede le risponderebbe che esiste una legge morale Assoluta che in linea teorica dovrebbe albergare nel fondo dell’anima di ciascun individuo e a cui si attinge ogniqualvolta le contingenze ci impongono di fare scelte o dare giudizi. Ma sono il primo a riconoscere che questa risposta è insoddisfacente perché elude a una miriade di domande a cui non si potrà mai rispondere se non per assiomi, e direi di abbandonare questi sentieri senza uscita: ci farebbero perdere inutilmente del tempo e non possiamo permettercelo.”
A: “Quindi?”
P: “Quindi direi, in sintesi, che il bene e il male sono valori che non è sempre possibile associare a categorie e schemi assoluti e universalmente condivisibili. Insomma, tutto è abbastanza soggettivo e ciò che può sembrare sbagliato oggi domani può trasformarsi in una incredibile verità.”
A: “Quello che dice mi sembra sacrosanto anche se un po’ fuori tema. Intanto, se non le dispiace, se mi fa la cortesia di allungare il braccio destro e stringere forte il pugno.”
P: “Quindi procediamo per via endovenosa?”
A: “In prima battuta: tra non molto anche per via respiratoria ma intanto lei si tranquillizzi e non pensi a niente. Anzi, mi faccia una cortesia, pensi a qualcosa di piacevole.”
P: “Non mi sta chiedendo una cosa da niente, dovrei tornare alla mia prima infanzia, insomma scavare molto in profondità nella memoria ma lei un po’ alla volta me la sta erodendo; temo non ci sia soluzione.”
A: “Ho capito, allora non pensi a nulla. Torniamo per un istante alla coscienza morale; perché teme che l’anestesia possa pregiudicare il suo equilibrio mentale? ha paura che l’impalcatura della sua etica possa essere contaminata e quindi possa rischiare di confondere le sue azioni?”
P: “Esatto. Ma lei si immagina l’imbarazzo se da un giorno all’altro cominciassi a insultare le vecchiette che reclamano giustamente il loro posto a sedere sull’autobus oppure a distribuire caramelle drogate alle uscite degli asili, grazie al suo intervento?”
A: “In effetti sarebbe poco simpatico, non posso negarlo. Comunque, stia tranquillo, alla fine dei conti mi limiterò a controllare l’andamento del suo cuore.”
P: “A proposito, ha visto il referto del cardiologo?”
A: “Ce l’ho qui sotto mano; parla di <<intermittenze del cuore>>, più avanti si parla di <<turbamenti improvvisi>>, addirittura di <<sofferenza nell’anima>>.”
P: “Non mi guardi in quella maniera; a lei sembra facile vivere?
A: “No, però la prego, non mi chieda di regolare le sue emozioni, lei sa bene che io posso agire (per motivi etici, perché anche io ho un’etica) solo sulla sostanza, il sub-strato, insomma sull’identità strutturale (quella che Ricoeur chiamava identità idem), che nel suo caso si riduce alla frequenza e ampiezza cardiaca; non posso agire sui suoi accidenti (nel senso aristotelico del termine) che mi pare di capire non siano pochi.”
P: “Ma non può fare una eccezione? lasciamo perdere le emozioni; mi rassegnerò a vagare per strati superficiali instabili, lontani dal centro, dalla felicità, dalla stabilità. Ma almeno, prima che mi appoggi quella maschera facciale, le posso strappare la promessa che rimuoverà dalla mia memoria quel passato della mia vita che continua a proiettare le sue ombre nelle mie notti insonni?”
A: “Ma lo vuole capire che anche se lo facessi non cambierebbe un bel nulla? lei deve semplicemente accettare il suo destino poiché essendo le cose del mondo in numero finito mentre il tempo è infinito, ogni combinazione non può che ripetersi infinite volte e quindi lei è destinato a ripercorrere ciclicamente le stesse situazioni, a commettere sempre gli stessi errori.”
P: “Mi perdoni, me ne parlava proprio una mia amica non molto tempo fa: ma questo è il concetto nietzschiano dell’eterno ritorno dell’uguale?”
A: “Esatto.”
P: “Quindi mi devo rassegnare?”
A: “Lo faccia ma intanto chiuda gli occhi e respiri profondamente. Buonanotte.”
Massimiliano, intelligente accorgimento per cercare di discutere di etica e di morale. Il dialogo non scade in banalità e, non entrando nel merito del contenuto, mi va di pensare che questo dibattito ostentato sia un pretesto del paziente per “attaccar bottone” con l’anestesista (donna). Io comunque non so attaccare bottone.
Emanuele.