Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Il Pescatore e la Sirena” di Francesca Giommi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Jacopo amava l’estate non tanto perché non si andava a scuola e si poteva dormire fino a tardi la mattina, ma soprattutto perché al principio di ogni luglio, giorno più giorno meno a seconda di quando cadeva il primo sabato del mese, la mamma lo accompagnava in treno dai nonni a Gabicce Mare, che è nelle Marche ma che tutti pensano che sia in Romagna – e ai gabiccesi piace lasciarlo credere – che per lui erano più avventurose ed esotiche della Tasmania o delle Indie occidentali e di qualunque isola del tesoro di cui si fosse mai scritto o si potesse leggere. A vivere lì erano proprio fortunati i suoi nonni e gli altri abitanti del paese, che quelli lassù della riviera se la sognavano una falesia come quella del San Bartolo tutta stesa sul mare tra Gabicce e Pesaro, e prima di ritrovarne un’altra così da Jesolo dovresti andar giù giù fino al Conero o addirittura alle Puglie, anche se quella era unica e speciale, con i suoi borghi arroccati, le sue spiaggette nascoste e le sue ginestre a maggio, che ti riempiono il naso e l’animo con il loro profumo.

Ma quello che rendeva quel posto così magico erano soprattutto le storie che il nonno, ex pescatore di professione, affabulatore per vocazione senza neanche sapere di esserlo, gli raccontava durante le loro uscite estive in barca, tanto che ogni gita al San Bartolo con il nonno Valdo diventava per Jacopo un’avventura e una scoperta fantastica che avrebbe poi nutrito la sua fantasia per tutto il lungo inverno lontano dal mare dalle suore Orsoline di via del Pratello. Nella sua lunga vita in mare il nonno ne aveva viste e fatte di tutti i colori: avventure di pesca con sole, pioggia, vento e nebbia, immersioni negli abissi, notti burrascose rischiarate solo dalle voce ululante del faro, e di sicuro, anche se al nonno non piaceva vantarsene, anche qualche vascello pirata doveva essere passato di là! E poi c’erano le storie della terraferma che si affacciava su quella magnifica falesia sospesa a picco tra cielo e mare: la vita mondana di Gabicce negli anni Sessanta con tutto quel vai e vieni di dive e attori del jet set cinematografico, la storia di quel crocefisso miracoloso arrivato dal mare e che poi si era fatto portare a monte da un carro tirato da buoi, quella dei fuochi a Fiorenzuola di Focara che impedivano ai naviganti di scagliarsi contro le rocce e di quei due nemici che Dante aveva buttato a mare nella sua Commedia Divina, o quella della misteriosa città sommersa di Valbruna, che nell’antichità era un porto romano con le sue anfore e i suoi magnifici tesori.

La cosa più strana però, o meglio che all’inizio sembrava strana, ma che poi crescendo Jacopo aveva iniziato a ritenere totalmente plausibile, anzi più che necessaria, era che il nonno in tutte quelle gite non scendesse mai dalla sua imbarcazione, e che, nonostante tutti quei racconti dal mare, mai una volta lo avesse veramente accompagnato su fino a Casteldimezzo a vedere il crocefisso, mai si fossero inerpicati fino a Fiorenzuola per sentire il vento di Dante o avessero raggiunto la mondana Gabicce Monte, che pure pendeva proprio sulle loro teste per tutta l’estate, quasi che delle branchie invisibili gli impedissero di respirare bene fuori dall’acqua e delle pinne camuffate in piedi di camminare troppo a lungo a terra. Tutti questi luoghi il ragazzino li aveva visti negli anni solo con la mamma quando lei da Bologna lo raggiungeva nei weekend o nelle ferie di agosto e la sera lo portava su per la Panoramica a prendere un gelato con il suo nuovo fidanzato, che poi Jacopo non capiva mai se avessero veramente piacere che ci fosse anche lui o se invece fosse di troppo. Ma senza il nonno e invasi di turisti e vacanzieri quei luoghi perdevano tutto il loro fascino, non sembravano nemmeno lontanamente gli stessi che si intravedevano di giorno dal mare, tanto che ad un certo punto il ragazzino aveva deciso di non andarci più, con buona pace dei due piccioncini, e di continuare ad immaginarseli come il nonno glieli aveva sempre raccontati dalla sua barchetta.

La storia che più di tutti lo affascinava e incuriosiva era quella della sirena: una storia bellissima e piena di mistero, come tutte le storie bellissime, che il nonno accennava in maniera vaga ed allusiva quando si passava davanti a quella grande parete di roccia che separa la spiaggia sabbiosa di Gabicce da una piccola insenatura della falesia, che a guardarla bene aveva degli scogli alla base su cui una sirena si sarebbe proprio potuta comodamente sdraiare con la coda e tutto, per godersi un po’ di quel sole d’oro e di quel mare blu prima di rituffarsi nelle sue acque cristalline.

Ogni volta che passavano davanti a quelle rocce il nonno le accarezzava con lo sguardo e spesso gli occhi gli diventavano lucidi. Il più delle volte non diceva nulla, ma in alcune circostanze si era lasciato sfuggire qualche racconto refrattario e malinconico, decisamente diverso dagli altri e più magico di tutti, incalzato dalla curiosità del nipote che avrebbe anche voluto provarlo quello scoglio, raggiungendolo a nuoto e sdraiandocisi sopra, ma il nonno gliel’aveva sempre bruscamente impedito cambiando d’improvviso tono e umore. E così, pian pianino negli anni, Jacopo era riuscito a ricostruire nella sua testolina riccia e fantasiosa quella storia sbrindellata ma estremamente affascinante.

Su quello scoglio il nonno da giovane aveva incontrato una sirena, o almeno sempre così lui la definiva, che aveva la pelle color dell’ambra, gli occhi color del mare e i capelli color del sole e che veniva dal di là dell’oceano, dalle Americhe – anche se a dire il vero Gabicce è sul mare Adriatico e di fronte ha la ex Jugoslavia, ma Jacopo non era sicuro che il nonno questo lo sapesse perché a scuola ci era andato poco e non voleva offenderlo rivelandoglielo.

Di sicuro il nonno se ne era innamorato, anche se questa parola lui esplicitamente non l’aveva mai usata, e probabilmente per un tempo indefinito si era dato appuntamento su quello scoglio con la sua sirena, forse per nuotare o prendere il sole o guardare il mare e le stelle. Qui poi veniva anche la parte divertente, perché se la sirena veniva da un altro paese come minimo parlava l’inglese o chissà quale altra lingua del mondo, e Jacopo provava a immaginarsi come il nonno, che parlava a malapena l’italiano mescolato al dialetto dei pescatori di Gabicce, avesse potuto raccontarle tutte le sue storie e farsi capire, ma anche questo non gliel’aveva mai chiesto, sempre per non offenderlo. Quando però Jacopo gli chiedeva che fine avesse fatto quella sirena, che era troppo bionda e bella per essere diventata sua nonna Lisetta, il nonno si incupiva e cambiava discorso, e solo una volta per chiudere definitivamente l’argomento aveva risposto che un giorno si era rituffata in mare e non era mai più tornata.

Fu solo dopo la morte del nonno che Jacopo poté finalmente aggiungere la conclusione a quella storia mitica su cui tante congetture la sua mente aveva formulato negli anni, ma di tutti i finali possibili nessuno gli era mai parso abbastanza convincente, avventuroso o poetico, come una simile storia si sarebbe meritata. Il funerale in quel pomeriggio di maggio aveva riempito zeppa zeppa la chiesa di Sant’Ermete e anche il sagrato, e tutti che piangevano e dicevano che brav’uomo fosse Valdo e di come senza di lui il molo di Gabicce sarebbe stato vuoto e triste. Tornati a casa in silenzio, la nonna aveva iniziato a cucinare una minestrina leggera leggera, che tanto qualcosa bisognava pur mangiare anche se erano rimasti loro due soli, dato che la mamma nemmeno quella minestra aveva voluto e se n’era tornata di corsa a Bologna con quel suo fidanzato prima ancora che la bara arrivasse al cimitero. E d’improvviso in quella cucinetta linda e modesta da pescatore, col mare blu che s’intravedeva dietro le tendine bianche, insieme alle nuvole di fumo magicamente anche le parole erano iniziate a fuoriuscire da sole, tanto che Jacopo non distingueva se venissero dalla bocca della nonna o dalla pentola stessa.

Nonna Lisetta non era nata a Gabicce, veniva da sotto Gradara, ma da quando aveva tredici anni in estate lavorava a servizio presso la pensione Adelina, dove i proprietari la trattavano come una figlia e non le facevano mancare nulla. Alla pensione Lisetta faceva le camere e rassettava la cucina dopo i pasti, per questo al porto ci andava solo il giovedì mattina con la signora Adele a comperare il pesce quando il marito, che se ne occupava personalmente tutti gli altri giorni, andava a Rimini a fare la spesa grossa, ed era così che aveva conosciuto il nonno. Valdo veramente lo conoscevano tutti perché era il pescatore più bello di Gabicce, e di sicuro anche di Cattolica, anche se di là dal Tavollo Lisetta non ci andava mai, che si trattava di andare in un’altra città e persino in un’altra regione, e men che meno mai si sarebbe fermata ad ascoltare le dicerie della gente! Ma più degli occhi azzurri azzurri da far paura e del fisico scultoreo e abbronzato da dio del mare, Lisetta era rimasta ammaliata dal sorriso sempre stampato sul viso di Valdo, e da quella sua allegria contagiosa che sembrava che lui non si alzasse alle quattro del mattino per uscire in mare come gli altri pescatori, e che con lui il mare e la vita fossero sempre benevoli, o forse era vero, come lui le aveva insegnato in seguito, che le difficoltà si affrontano meglio a farsele amiche.

Fatto sta che quando alla pensione Adelina arrivò quell’attrice americana con una figlia che avrà avuto suppergiù la sua età, Lisetta era sbiancata al vedere tanta bellezza ed eleganza in una fanciulla così giovane ed eterea, con quegli occhi blu e quella treccia color miele, ma non era invidia per carità, che oltre ad esser peccato, come si fa ad essere invidiosi di una creatura di un altro mondo? E così, quando quel giorno in un battibaleno la notizia del fattaccio era arrivata fino alle cucine della pensione, Lisetta si era precipitata sulla spiaggia così come stava, con le ciabatte ai piedi e un nodo alla gola. Aveva ripreso fiato solo dopo aver visto che anche Valdo respirava ancora, anche se su quella spiaggia ce l’avevano ritirato fuori a forza, e lui che voleva ributtarsi a mare a cercare quella ragazzina straniera che era rimasta più a lungo del solito sullo scoglio ai piedi della falesia e la marea salendo pian pianino e increspandosi capricciosamente l’aveva tradita. A nulla erano serviti gli sforzi e le immersioni di Valdo e degli altri compagni di ritorno proprio allora dalla pesca, perché il mare è buono e ti dà da mangiare per una vita, ma quando ci si mette fa la voce grossa e non vuole sentire ragioni. E quella volta aveva deciso di prendersela per sé quella sirena e di portarsela chissà dove nei suoi abissi, e poi l’aveva sì restituita a riva, ma solo dopo due giorni, con la treccia sfatta e i capelli scomposti, con due gambe e nessuna traccia della coda.

Quando Lisetta aveva rivisto Valdo al porto per la prima volta dopo due settimane, le sembrava che il sorriso di sempre si fosse spento sulle sue labbra, labbra che mai con nessuno fecero più parola di quell’episodio, nemmeno con quella che poi divenne sua moglie per più di cinquant’anni, e quel dolore se lo portarono muto fino alla tomba. Per questo, quando dopo innumerevoli altri giovedì mattina lui si offrì di riaccompagnarla alla pensione, quel giorno che la signora Adele l’aveva mandata sola e il pesce pesava troppo, Lisetta trasalì e non riuscì proprio mai a spiegarsi come quel pescatore bello come il sole e col cuore grande come il mare, giovedì dopo giovedì, avesse deciso di chiedere in moglie proprio lei, che aveva solo occhi nocciola e capelli scuri e selvatici, e che non sapeva nemmeno nuotare perché a Selva di Granarola non c’era il mare.

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6 commenti »

  1. Francesca, dovremmo chiedere ai nonni di raccontarci la loro vita, quella dei loro padri e dei loro nonni. Questi ricordi diventerebbero poemi. E’ questo che mi suggerisce il racconto, malinconico e dolce, altrimenti dovremmo accontentarci di pensieri tristi.
    Emanuele.

  2. Grazie del commento Emanuele, in effetti i nonni sono narrastorie abilissimi e “biblioteche viventi” ed è sempre bello ascoltarli a bocca aperta!
    Io stessa ho pensato varie volte di trascrivere qualche loro racconto di vita vissuta e di certo ne verrebbero fuori mondi sconfinati, ma a dire il vero per ora i miei racconti, come questo, vengono non so da dove, sono di solito di pura fantasia e quando trovo un’ispirazione (ovviamente legata al mio mondo o a qualche lettura ed esperienza fatta…) e mi metto a scriverli, poi i personaggi si creano da soli e le loro storie prendono da sole le pieghe che prendono… tristi o allegre che siano… ma forse sta anche in questo l’emozione della scrittura…
    Grazie comunque per aver letto il mio racconto e per il commento!

  3. Bella davvero questa storia, ben scritta e scorrevole,che ci riporta ai fantastici racconti dei pescatori e quelli ancor piu’ fantastici dei nonni. Mi piace molto che abbia recuperato la figura di un anziano e lo abbia accostata a quella del giovane Jacopo ( un tema che ho voluto trattare anche io naturalmente con sfumature diverse). Anche io pensavo che Gabicce fosse in Romagna.
    Brava Francesca.

    Marco

  4. Ciao Francesca. Anche qui c’è il mare, come nel mio racconto Piccola storia di mare. Un mare che a qualcuno potrà apparire traditore, forse. Ma, comunque, il mare misterioso che prima o poi, affascina tutti gli scrittori. Una storia di morte che però è, soprattutto, una storia di vita. Un matrimonio lunghissimo, i racconti di un anziano, le fantasie di un bambino. Molteplici sfaccettature che riesci a tenere in equilibrio molto bene. Diverso dall’altro tuo racconto sull’Africa, apparentemente. Ma in ambedue le storie sopravvivono quelle emozioni che danno vita alla scrittura. Complimenti..

  5. Che belli questi pezzi di vita cosi’ intimi che a volte è persino difficile condividerli con gli altri.
    Grazie!

  6. Mi ha ricordato molto un film di qualche anno fa, credo si chiamasse ONDINE, se non lo hai visto fallo perché ha molti punti in comune col tuo racconto… Detto questo lascia che ti faccia i complimenti per aver saputo tessere una trama davvero notevole… I personaggi sono delineati con grande accuratezza e sono perfettamente calati nel paesaggio che hai saputo rendere con grande maestria evocativa. Finale che riannoda i fili… E racconta il lato meno magico delle favole, la verità che si cela dietro la magia… Complimenti… Sarei curioso di sapere che ne pensi del mio “La Torretta di Guardia”… Ti aspetto

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