Premio Racconti nella Rete 2014 “Le nubi” di Andrea Polini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Una panchina solitaria nella malinconia di un minuscolo parco pubblico di periferia. Anche in questo pomeriggio di autunno inoltrato, Giusto sedeva lì, con i suoi tanti pensieri, i suoi tanti ricordi, senza neanche un giornale a fargli compagnia. Un vento freddo, carico d’umidità, sollevava d’improvviso piccoli nugoli di polvere che gli sferzavano gli occhi fino a farglieli lacrimare. Quello stare lì, ogni giorno, bello o brutto tempo che fosse, non era per lui un conforto, né per questo cercava di infliggersi una punizione. Era diventato, piuttosto, un’abitudine, uno stare da solo che tuttavia fosse diverso fosse diverso dalla solitudine tra le mura di casa sua. Sopra la sua testa, spinte dall’aspro vento di tramontana, nubi nere correvano verso sud annunziando storie di pioggia, storie troppo simili ai ricordi che, seduto su quella panchina, la sua mente fuggiva e al tempo stesso rincorreva. “Le storie d’amore sono fatte così. Meglio lasciarci se non c’è più voglia di divertirci insieme,” gli aveva detto Valentina, cinquant’anni più giovane di lui, la sua ultima donna. Aveva creduto che quella bellezza fosse davvero attratta da lui, dal suo fascino maturo di uomo arrivato, salvo realizzare troppo tardi che quegli occhi di cielo e quelle curve sinuose erano attratti dall’appartamento che si era fatta intestare, dai gioielli e dagli orologi di valore che durante quel fidanzamento d’interesse le aveva regalato con persino eccessiva prodigalità. Un piccolo cane nero accompagnato da una giovane signora passò vicino la panchina annusando il terreno, in quel mentre una folata di vento gelido sollevò l’ennesimo piccolo nugolo di polvere che gli finì negli occhi. Imprecò i santi, poi tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il fazzoletto e cercò di togliersi come meglio poteva i minuscoli granelli di terra dagli occhi. Con la vista appena più nitida guardò il cielo, dove i nuvoloni carichi di pioggia continuavano a rincorrersi verso sud. “La pagherai, Dio presenta il conto a tutti,” gli sembrò di sentire, come fosse stato lì in carne ed ossa, Guido, il suo socio in affari nella ditta di costruzioni, che con astuzia e spregiudicatezza costrinse a sobbarcarsi buona parte dei debiti che soffocavano la società, condannandolo a un’esistenza grama fino al termine dei suoi giorni, privo anche della consolazione di assicurare un’assistenza domiciliare decorosa alla figlia invalida. Ricordi, brutti ricordi come ombre nella sua memoria, eppure nessuno così avvilente come quello di Giulia, sua moglie. Lei, così diversa da lui, l’aveva sposato non per mero interesse ma perché all’epoca era un giovane brillante, con una posizione economica agiata, in grado di assicurare ai figli un futuro senza scosse. Illusioni. Lui la lasciò con due figli piccoli nei primi anni Settanta, appena entrata in vigore la legge sul divorzio. I suoi avvocati riuscirono a spuntargli un assegno di mantenimento davvero minimo in rapporto al reddito, e la vita senza scosse che Giulia prefigurava per sé e per i figli, da quel momento ebbe il volto di tante faccende domestiche ad ore pagate in nero, nelle case di quartieri preferibilmente lontani da dove era più conosciuta, perché al suo orgoglio pesava il fallimento di un progetto di vita che, a volte, aveva avuto il torto di vantare con le amiche. Giusto ricordò il giorno della sua morte. Aveva poco più di sessant’anni. La grande chiesa, dall’architettura gotica, deserta, eccetto le prime due panche occupate dai figli, maschio e femmina, con i rispettivi consorti e pochissimi familiari. Rimase per il tempo della semplice funzione sempre in disparte. Nessuno lo salutò. Quando la bara di Giulia uscì dalla chiesa, varcando il massiccio portone centrale, due lacrime gli rigarono il volto. Fu l’ultima volta che pianse. Da conoscenti aveva saputo della sua morte. Da conoscenti sapeva da tempo che era una donna che stava consumandosi nella lacerante malinconia delle sue frustrate ambizioni. Le era rimasta la consolazione della vicinanza dei figli. Lui da allora non li aveva più visti. Prese nella tasca della giacca il pacchetto di Chesterfield e se ne accese una con l’accendino d’oro Cartier. Aspirava il fumo lentamente, con voluttà, guardando la giovane donna che stava appresso al cane. Aveva freddo per quel fastidioso vento umido e gelido. Lui che non aveva mai provato davvero il brivido del rimorso. Guardava con insistenza la giovane donna, pensando che se la sarebbe portata volentieri a letto, avrebbe voluto scoprire come faceva l’amore. Rimase ancora per qualche minuto lì a fumare. Il vento era un po’ calato, ma ora avevano preso a cadere grosse gocce di pioggia, costringendolo ad alzarsi dalla panchina. Guardò il cielo, le grosse nubi nere che continuavano a dirigersi a sud, e si disse che nella sua ormai lunga vita aveva rinnegato un po’ tutto e tutti, tranne se stesso e Dio, ma solo perché non ci credeva. Arrivato al cancello del piccolo parco, vide camminare sul marciapiede, forse più di cento metri distante, una donna vestita con giacca e gonna neri. Era quasi sicuro che fosse Valentina. “Puttana,” pensò, mentre svelto tornava verso la panchina per non farsi vedere da lei. “Mi ha lasciato per un giovane, ma io…io a lei e a quest’altra puttanella col cane gli farei una bella offerta, di quelle che non si possono rifiutare, e me le porterei a letto tutte e due insieme…Sono io, sono sempre io il padrone…” farneticava, con il bavero della giacca alzato per ripararsi alla meno peggio dalla pioggia e per non farsi riconoscere dalla donna che gli sembrava Valentina, che a momenti sarebbe passata davanti il cancello. “Arrivederci,” disse la ragazza col cane al guinzaglio passandogli davanti, diretta verso il cancello. “Arrivederci,” biascicò lui senza alzare lo sguardo. Quando fu sicuro che la donna che gli era sembrata Valentina fosse ormai distante, si alzò di nuovo dalla panchina, raggiunse svelto il cancello e si incamminò sul marciapiede, rassegnato ormai a bagnarsi sotto la pioggia ora fitta e insistente. Lo attendeva una bella casa da dividere con nessuno, la cena che come ogni sera il ristorante che sorgeva nello stesso isolato gli portava a domicilio, e un dvd porno per soddisfare quegli istinti che mai, nella sua lunga vita, erano riusciti a sublimarsi in vero amore.
Le nubi, del titolo, vanno a Sud, verso l’inevitabile meta, e l’uomo va verso casa, pieno di rancore, “da dividere con nessuno”. E’ descritta bene la solitudine di un uomo che non ha saputo amare ed è stato lasciato da tutti, dai figli e sfruttato da donne più giovani di lui. E’ un destino tragico per l’uomo che non sa cogliere le ragioni del suo fallimento, non solo nel campo degli affetti ma anche in quello lavorativo. L’egoismo e la presunzione di tanta potenza.
Emanuele.