Premio Racconti nella Rete 2014 “La sindrome del tram” di Mara Ribera
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Ave, o morfina, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra gli oppiacei e benedetto è il frutto del tuo seno, il sonno.
Un sonno denso, grasso e nero come il petrolio. Ma assai più prezioso, opportuno come un miracolo, il paradiso dei vinti, la manna dal cielo della scienza.
Corrono senza sosta gl’infermieri del turno di notte, quando l’allarme fa bip.
Bip bip bip. È finita la morfina. Bip bip bip. Il dolore si risveglia. Bip bip bip. Non farmi aspettare, ti prego.
Però aspettiamo, perché siamo quaranta e loro sono soltanto tre. Si chiama spending review nei quartieri alti e disperazione nella corsia.
Olivia urla, piange e si lamenta, il suo allarme suona. Distendo il mio braccio verso di lei ma due metri ci separano, due soli metri, una distanza minima e incolmabile, perché lo spazio si dilata all’infinito quando sei immobilizzato. «Non piangere Olivia, resisti, adesso arrivano!»
Cerco di sollevarmi afferrando la maniglia sopra il mio letto ma la schiena mi cede. Olivia non lascia mai quella maniglia, la stringe con impeto anche nel sonno, è la sua unica certezza, come una fune gettata dalla speranza nel pozzo dell’ineluttabile, l’oggetto transizionale di una signora tornata bambina.
Sessantacinque anni, un cameo, occhi cerulei e orecchini di perle.
La nuova infermiera ieri mattina l’ha osservata incredula mentre ancora dormiva, poi ha sussurrato: «Sembra un’attrice.»
Ma Olivia è stanca di recitare, vuole finire l’ultimo atto il prima possibile. Nei rari momenti in cui il dolore le dà tregua mi racconta dei suoi fiori. Vive in una serra e un tempo creava i bouquet per le spose più famose del mondo. Sogni e colori, tra una flebo di morfina e l’altra. I figli, i nipoti, il marito che non c’è più. Una vita spessa la sua, odorosa, piena di cose.
Una vita sottile la mia, progetti dimenticati, sogni disattesi, futuro incerto e breve.
Quando Adriano s’inginocchia per infilzarmi una nuova vena, trema. «Sei nelle mani migliori,» dice, «non ti farò male.»
Quando mi solleva dal letto per adagiarmi sulla sedia a rotelle, mi sbircia sotto la camicia da notte. «Hai le gambe più belle di tutto il reparto,» dice, «ti piaccio almeno un po’?»
Mi chiedo come si possa, in luogo impietosamente reale come questo – crudo, primordiale, fatto di carne, sangue e liquami – pensare al sesso. Tra una padella e un pannolone, tra un catetere e un clistere. Eppure, ci pensano. Nascono nuovi amori, persino. Io non ci penso mai, sono come una bambola. Mi faccio manipolare ma esco fuori dal corpo, viaggio nei cieli azzurri delle mie fantasie. Mentre mi lavano rimango immobile e fisso il soffitto. Conosco una ad una ogni crepa, ogni minima imperfezione, ogni impercettibile ruga di quella fronte spaziosa e bianca china costantemente su di me. Prego che non ci sia Adriano di turno se devono farmi il bidet. Di solito sono fortunata. Oggi c’è quello giovane giovane con la faccia d’angelo e le mani delicate, timido e sognante com’ero io alla sua età. Mentre mi passa la garza tra le cosce osservo sorpresa un inatteso ritorno, latitante da mesi: il sangue. Incostante e beffardo – a ricordarmi che sono una donna ma non potrò mai essere madre – si allarga sul tessuto bianco come un fiore che sboccia.
Anni spezzati. Nomi che non darò mai. Seni orfani di latte.
Che cosa temi di più al mondo? È una domanda che ci facciamo spesso.
Qualcuno risponde: la morte. Qualcun altro: la solitudine. Io rispondevo sempre: il dolore.
Non potevo sopportare neppure l’idea del dolore, per me e per chiunque altro. Non potevo dormire la notte pensando al dolore, a tutto il dolore in cui annegano le creature di questo mondo.
Così, poiché «la cosa più segretamente temuta accade sempre», il dolore divenne il mio fedelissimo e ostinato compagno.
Il dolore è un romanzo. Non ho mai letto rappresentazione più asciutta, dignitosa e calzante del dolore. Quello fisico, intendo.
Il corpo che perde l’anima, che si trasforma in un arido cesto di visceri aggrovigliati come serpenti, un mucchio tremante di cellule inquiete senza più le sembianze di un uomo. Robert, scampato a un lager nazista, non ritroverà mai più sé stesso, né forma né contenuto. Mutamento e mutazione. Irreversibili.
Perché il dolore ti ruba una fetta di te e ti restituisce soltanto carne avariata, fatta di paura e di rimpianto.
Ho visto le mie vicine di letto all’ospedale trasfigurate dal dolore, ridotte a maschere arcigne, brutte, cattive, furenti col mondo e con Dio, chiuse in una solitudine d’odio e di rassegnazione.
Il dolore ti logora. Il dolore ti consuma. Il dolore cambia ogni percezione delle cose fuori di te, il dolore è una catena. Il dolore è un padrone impassibile che ti osserva attraverso le sbarre della tua gabbia.
Dice l’esperto che un corpo che soffre è un corpo che si contrae, squassato continuamente da uno spasmo involontario. In modo impercettibile ma inesorabile lo scheletro cambia, la polpa morbida si affaccia tra le vertebre, dando vita così a nuovi e inaspettati tormenti. Il dolore è molto prolifico, si riproduce come un organismo ermafrodita.
Una nidiata malefica, un albero nero che affonda le sue radici sempre più adunche, un parassita insaziabile e determinato che non dorme mai. O quasi.
Bip bip bip. Inizia una nuova notte, indaffarata e madida. Bip bip bip. La nostra colonna sonora, ninna nanna impietosa. Bip bip bip. Adesso arrivano, Olivia, adesso arrivano. Passerà, non piangere. Passerà come sono passate le altre.
Il lunedì mattina è il tempo degli autorevoli camici bianchi.
«Uè, sciura!!» esclama il medico entrando nella stanza. «Lascia quella maniglia ogni tanto! Ma che c’avete in questa corsia, che state tutti sempre appesi a quei cosi? La sindrome del tram?»
C’è puzza di amuchina, ma io sento profumo di fiordalisi. Sono gli occhi azzurri di Olivia, felici di questo mattino bagnato di luce, grati a una gioia inattesa, fissi sul volto largo e gioviale dell’uomo di medicina.
È maggio, il suo mese, il tripudio dei fiori. Quando rimaniamo sole Olivia mi racconta del suo cane che l’aspetta accanto alla serra. È piccolo e biondo, con le orecchie lunghe e la lingua grossa come una bistecca. Strano, non ne ricorda il nome. La voce s’inceppa, gli occhi si annebbiano. Il sonno la prende all’improvviso.
Dorme Olivia, dorme tutto il giorno. E anche tutta la notte. Il suo allarme non suona. Dorme il mattino dopo e il pomeriggio fino a sera. La sera, fino a notte. Ogni tanto un infermiere si avvicina al suo letto, le controlla il respiro, annuisce e se ne va.
Ore notturne e profumate di maggio, un’insolita quiete, la nostra ninna nanna impietosa sembra volerci concedere una tregua.
D’un tratto il profumo di fiori si fa più intenso, quasi acre, m’investe con tutta la sua sensuale virulenza fino a stordirmi. Sono seduta sui sedili di un lungo tram, tutto addobbato di fiordalisi. Indosso il mio vestito preferito, quello di lino, trasparente e leggero, con cui correvo un tempo sulla spiaggia al tramonto. Profumo anch’io. Profumiamo tutti. Siamo in quaranta, vicini vicini, gli allettati della corsia. Sembriamo felici. I fiori e le foglie sono ovunque, intrecciati insieme a formare ricami meravigliosi e impensabili, la natura che si fa arte nelle mani dell’uomo. Nelle mani di Olivia. La vedo, seduta in fondo al tram, che mi osserva. È silenziosa e assente. Un sorriso impercettibile, una fissità stonata. Mi alzo dal sedile per raggiungerla ma barcollo, afferro al volo una maniglia, mi sostengo a stento. La schiena mi cede. Distendo il mio braccio verso di lei ma due metri ci separano, due soli metri, una distanza minima e incolmabile, perché lo spazio si dilata all’infinito quando ti muovi in un’allucinazione oppiacea.
Bip bip bip. È notte fonda. Bip bip bip. È finita la morfina. Bip bip bip. «Non piangere Olivia, resisti, adesso arrivano!»
Ma non è il suo allarme che suona, è il mio. E mie sono le lacrime.
Sono arrivati, finalmente. Sono tanti, troppi, si muovono intorno al suo letto e parlano concitati.
Cala il sipario. Si spegne il dolore.
Olivia non piangerà più.
Bellissimo.
Divagando,
il mio problema è che ho paura
di perdermi qualcosa, un nuovo racconto, una rivelazione.
I racconti sono tanti, il tempo è davvero poco.
Da una parte, sono contento che siamo quasi alla fine,
dall’altra, mi mancherà scoprire piccole e preziose gocce di creatività,
brani e invenzioni colme di sensibilità,
scritte su pagina, con cura e dedizione.
Assecondando ognuno il proprio personalissimo talento. E condividendo.
Chiuso l’inciso,
brava Mara, sensibile e quasi poetica la scrittura,
profondo e toccante l’argomento.
Mara una di noi.
😉
Questo racconto guarda da vicino il dolore e lo nomina, con parole precise. “Il dolore è una catena. Il dolore è un padrone che ti osserva attraverso le sbarre della gabbia. Il dolore restituisce soltanto carne avariata”. Il mondo si è contratto alle dimensioni di una stanza d’ospedale, da cui ci si allontana solamente in sogno. Senza essere mai nominata, la Morte avanza riga dopo riga, incerta, svogliata. Bip-bip-bip…. L’“uomo di medicina”, che pure ha il merito di regalare al racconto la battuta per un titolo davvero originale, sembra intromettersi indebitamente in questo mondo di dolore. Non vi appartiene. Le sue parole leggere suonano false, sgraziate rispetto alla fragile “voce che s’inceppa” della signora Olimpia dagli occhi cerulei e dagli orecchini di perle. L’autrice getta uno sguardo molto lucido sulla sofferenza fisica e lo fa senza indugiare in luoghi comuni. Proprio un bel racconto. Complimenti, Mara.
Terribile e bellissimo.
Bellissimo e delicato, di una umanità straziante. Veramente brava.
Maurizio, grazie davvero per le tue parole, sono fiera e felice di essere una di voi.
Anche a me dispiace che finisca, questa esperienza è stata bellissima e formativa. Nessuna competizione, solo tanta voglia di confrontarsi e condividere, trovando così nuovi stimoli e mantenendo viva la magia dell’ispirazione.
Sei stato il primo a commentare entrambi i miei racconti, mi hai dato fiducia aiutandomi a superare l’insicurezza che fino ad ora mi aveva impedito di sottopormi al giudizio di chicchessia. Nessuno mi legge, nessuno sa fuori da questo spazio.
Ancora grazie.
Carmen, il tuo commento mi gratifica moltissimo, hai fatto un’analisi approfondita del mio racconto. La tua lettura attenta e appassionata è davvero un grande regalo.
È stato davvero difficile per me pubblicare questo scritto, perché ha molte, troppe implicazioni. L’ho visto galleggiare nel limbo dei racconti in sospeso per molti giorni e spesso è stata forte la tentazione di cancellarlo. “Sono ancora in tempo” mi ripetevo, “basta un semplice click”.
Fortunatamente non ho cliccato. E siamo nuovamente insieme a condividere.
Grazie.
Sull’ultima parte del tuo ultimo commento, Mara, avrei un milione di cose da dire ma poi passerei un confine che solo poche persone possono permettersi di attraversare. Mi limito a dirti che è un peccato, perché quello che hai, quello che scrivi, quello che mi/ci hai regalato è semplicemente bello. Ed il bello, ultimamente, latita… ti chiedo scusa se sono stato invadente. Roberto
Mi è venuta la pelle d’oca Mara. Sia per la storia, sia per i dettagli reali e spiazzanti senza diventare mai eccessivi, sia per quanto la tua Olivia, mi abbia ricordato la mia dolcissima nonna. Un racconto triste e vero scritto in modo poetico. Bravissima Mara.
Fortunatamente non hai cliccato e te ne siamo grati! Ho visto che fino ad ora ci sono stati pochi commenti… il dolore spaventa, anche a sentirlo solo nominare. Sei stata di un coraggio titanico ad affrontare un tale argomento, così difficile, così ostico da scrivere, da leggere, anche solo da pensare. Tentiamo di fuggire tutti dal dolore, nella vana speranza di non farci mai raggiungere. Solo i forti riescono ad affrontarlo come si deve e tu hai dimostrato di esserlo con questo scritto denso di umanità. Ti auguro che questo racconto di dolore possa trasformarsi in un’occasione di gioia per te e condurti alla vittoria del premio.
Scrivendo un racconto sulla malattia è facile provocare interesse e suscitare emozioni, ma questo colpisce in ogni caso, perché ben scritto, perché lento e inesorabile, come il destino che attende la protagonista, perché denota una sensibilità acuta e viva. Mi è piaciuto, mi è piaciuto davvero il tono freddo con cui si articola, l’asettica e amara visuale dal di dentro che permane e gratta ogni animo.
Non riesco a trovare altre parole: è semplicemente bellissimo. Complimenti.
Adesso che ho un pochino di tempo in più, torno a commentare questo racconto.
Molto bello. E coraggioso.
Hai scelto un tema di una difficoltà estrema, e a mio parere sei uscita con eleganza da tutti i pericoli. Niente banalizzazione e appiattimento sulle cose che sanno tutti, che avrebbe potuto dire chiuque. Niente retorica (grazie!!). Niente limitarsi al solo terribile, ma sei riuscita a farlo coesistere con una poesia pura e leggera. Seduti su quel tram pieno di fiori, quasi ci si dimentica l’enorme prezzo del biglietto. Bravissima. Mi hai fatto riflettere, ridere, sprofondare, risalire, in un paio di pagine.
Roberto, non sei stato affatto invadente e le tue belle parole non necessitano di scuse. Grazie per avermi letto e parlato col cuore.
Laura, la dolce Olivia è ispirata a una splendida anziana signora con cui ho condiviso lo spazio ristretto di una stanza d’ospedale. Non so dove sia ora, ma sapevamo entrambe che il suo tempo era breve. Le chiesi qual era il suo fiore preferito, lei che li conosceva così bene… ma non me lo ricordo più. Allora ho deciso di sognarlo, quel fiore. E ho scelto il fiordaliso, azzurro come i suoi occhi.
Grazie per avermi nuovamente letta e condiviso con me le tue sensazioni.
Giuseppe… bentornato! Mancava da un po’ su questi schermi la tua struggente poesia.
Il dolore è naturale come l’esistenza e la morte, prima o poi, anche se in diversa misura, è destinato a occupare i nostri spazi. Qualcuno sostiene che sia formativo, io ho pensato per anni che può soltanto logorare fino alla totale consunzione. Ma non è proprio così. Ti logora, certo, ma ti “regala” anche una nuova forma e, finché non ti consuma del tutto, puoi imparare a muoverti nel mondo cambiando i parametri. Ti regala anche una nuova vista, una lucidità e una chiarezza tali da poter sfiorare la verità delle cose.
Grazie di cuore per la tua attenzione e il tuo augurio.
Alberto, benvenuto.
Grazie per il tuo interesse e le tue belle parole.
Uno dei motivi per cui ho esitato a pubblicare questo racconto era proprio il timore di scadere nella comoda e abusata pornografia dei sentimenti, la tipica commozione a buon mercato. Sono felice di sapere che non è avvenuto.
Catia, benvenuta anche a te e grazie di cuore.
Sergio, le tue parole mi hanno letteralmente commossa. L’apprezzamento di un autore ispirato come te mi riempie di goia e mi dona fiducia.
In realtà non sono stata io a scegliere il tema, ma il tema a scegliere me. Premeva e premeva dentro il mio stomaco e nella mia pancia con insistenza, da mesi. Che se non lo avessi assecondato avrei rischiato di esplodere come un gavettone di lacrime. E alla fine l’ho fatto, ho scritto. Credevo sarebbe stato difficile e invece le parole venivano puntualmente e generosamente in mio soccorso, lievi e armoniose come una danza.
La cosa più bella è sapere di averti fatto anche ridere. Io rido e sorrido molto nella mia quotidianità, e a detta degli altri sono contagiosa. Ironizzo spesso sulle mie “disgrazie” e ridendo di me rido anche con chi mi ama. È solo così che si può dimenticare l’enorme prezzo di certi inevitabili viaggi.
Vedo che tutti e due abbiamo assonanze con le corsie di rianimazione 😉
Grazie ancora per il tuo commento così bello nei riguardi del mio racconto. Leggendo ora il tuo, non posso che essere ancora più lusingato 🙂
Mara!
Racconto bellissimo e toccante senza mai essere “sentimentale” arricchito dalla scrittura veloce e penetrante. Complimenti a te!
Pietro, grazie a te per la tua lettura e il tuo commento.
Entrambi i nostri racconti sono collocati nello stesso spazio, una stanza di ospedale. Ma sono sviluppati e narrati con uno stile e un punto d’osservazione molto diversi, perché diversa è la penna (o per meglio dire: la tastiera!).
È anche questo il bello di Raccontinellarete, la visibilità delle nostre storie, la condivisione e lo scambio.
Massimo, ricevo con immenso piacere i tuoi complimenti e ti rinnovo il mio sincero in bocca al lupo per il tuo delizioso racconto.
pura poesia che tocca il cuore, resa in una prosa piacevolissima…
In assoluto uno dei migliori racconti. Faccio fatica a commentarlo per paura di scrivere cretinate. Ancora complimenti.
Ugo, grazie per la tua lettura e le belle parole.
La poesia è la forma espressiva che preferisco in assoluto, ma ho sempre pensato di non esserne all’altezza.
Sara, sono lusingata e stupita dal tuo bellissimo commento al mio racconto. Avendo letto il tuo mi sembra altamente improbabile che tu possa scrivere cretinate…
Grazie di cuore.
Mara, sono colpevole di non averlo letto finora. Bellissimo soggetto, scritto benissimo e… e.. tutto quel che di buono si può dire. Troppe parole andrebbero sprecate, va letto punto e basta.
“Perché il dolore ti ruba una fetta di te e ti restituisce soltanto carne avariata, fatta di paura e di rimpianto.”
Questa è una di quelle frasi che, se ‘avessi letto su carta stampata, avrei immediatamente sottolineato. 🙂
Caro Francesco, non sei colpevole di nulla… è maggio e qui stanno arrivando continuamente moltissimi racconti, sbocciano odorosi e pronti per essere “colti” come i fiori della dolce Olivia. È facile perderne qualcuno.
Sono felice di averti suscitato tante belle emozioni e ancor più felice che tu me le abbia comunicate. Grazie.
Ho solo una parola da dire: brividi. Ma non di freddo, né di paura. Di piacere. Leggendo una racconto sul dolore. Pensa un po’. Se non è magia questa. Complimenti davvero.
Molto intenso. Il dolore nella sua forma più acuta e l’odore dei fiori che è invece leggera. Un racconto ben scritto, che si sviluppa armonioso intorno a quel bip bip.
Matteo, grazie di cuore per la tua lettura. Mi dà grande gioia sapere di essere riuscita a comunicare tanto.
Scrivere per dare voce a un’ispirazione è una piccola magia, essere letti e apprezzati è un meraviglioso incantesimo.
Samantha, grazie di avermi letto e commentato. Le tue parole mi fanno un immenso piacere.
Bello il tuo racconto Mara, ben scritto e non banale. Sei riuscita a dare forma a tutti personaggi, anche a quelli minori ( l’infermiere, il medico) e a costruire ambientazione. Bravissima nel creare i contrasti ( i fiori, la serra, l’odore dei fiori e l’ospedale ) e altrettanto brava a trattare il tema del dolore. Azzeccata la metafora del tram ed efficacissimo il sogno che precede il finale.
Complimenti
Marco, ricevo con gioia i tuoi complimenti.
In realtà io non penso mai quando scrivo a come introdurre i personaggi o costruire l’ambientazione. Semplicemente, succede. Mi metto al computer spinta da un impulso, o meglio, un bisogno, avendo in mente solo l’abbozzo di un’idea. E poi tutto il resto arriva da solo, come se le parole avessero una vita propria e premessero per nascere dai miei polpastrelli. Dopo, ma solo dopo, faccio un ripetuto lavoro di limatura, cerco i sinonimi più efficaci, taglio e aggiungo qua e là. Ma i cambiamenti sono sottili e non modificano in nessun caso la struttura del racconto.
Grazie di cuore per l’interesse e l’apprezzamento.
Esiste una sottile, sfumata e indistinguibile linea nera tra il dolore e la sofferenza…E nelle tue parole hai reso evidente quanto labile sia questo livido confine…
Complimenti..
Angelo, bentornato! Sono felice che tu mi abbia nuovamente letta e apprezzata. La nostra bella avventura qui è quasi giunta al termine, ma le emozioni che ci siamo regalati restano.
Come sono fisici, i racconti delle donne, anche quando l’esposizione è in uno stile trasognato che rende bene lo straniamento di chi è degente in ospedale. Tutti i sensi sono all’erta. Bel racconto.
Mauro, questo racconto doveva essere necessariamente fisico, perché descrive la sofferenza del corpo.
Grazie di cuore per la lettura e l’apprezzamento.
Mara, mi stavo perdendo questo piccolo cameo. Commovente, tenero ed emozionante. Dolce la descrizione di Olivia, figura che raddolcisce il tuo racconto dolceamaro dal tema molto forte. Credo proprio che ti troverò tra gli autori pubblicati di quest’anno. Dai manca poco al verdetto..speriamo..Un abbraccio
Cara Francesca, grazie di cuore per le tue bellissime parole e il tuo luminoso “pronostico”. A esser sincera non credo di avere molte possibilità di arrivare alla pubblicazione, i racconti sono più di 300 e molti sono belli e di qualità notevole… ma essere così apprezzata da chi mi ha letta è comunque una gioia grandissima e inaspettata.
Un abbraccio anche a te!
Niente da dire, un’ottima ed efficace rappresentazione del dolore. Bella l’introduzione sulla paura del dolore (la protagonista che non riesce a dormire pensandoci). In effetti la paura del dolore è anche una delle mie fobie e il racconto trasforma tale fobia, tale incubo, in tremenda ed ordinaria realtà. Complimenti!
Alex, il tuo commento mi fa davvero piacere.
Ho scelto di raccontare il dolore così com’è, nudo e crudo, perché quando se ne parla lo si veste troppo spesso di retorica per renderlo accettabile. Perché è un argomento tabù che spaventa e allontana.
Sono lieta di essere riuscita a comunicare ciò che volevo in modo efficace.
Mara, mi stavo perdendo il tuo racconto che merita di essere premiato tra i venticinque testi da pubblicare. Ho rischiato di perdermi la lettura; il titolo non mi coinvolgeva e non sono solito verificare la pagina dei commenti per capire su quale racconto l’interesse si sta focalizzando. Mi sono trovato nella camera di rianimazione, ho sentito i bip bip bip e ho seguito i tuoi pensieri e ho vissuto tutte le circostanze al tuo fianco anche durante le pulizie corporali. Sensibilità, delicatezza, partecipazione alla sofferenza, presenza degli operatori. E’ merito della tua voglia di renderci partecipi su un argomento complesso: il dolore. Grazie per averci invitati sul tram e fatto sentire il profumo di fiordaliso.
Emanuele.
Esiste un mondo in cui la morfina viene elargita con generosità da un dispenser col timer che eroga un illimitato benefico stillicidio.
Dove medici sensibili sanno che l’ironia della sorte è appannaggio del paziente. E basta.
Ma la detersione passiva è la stessa: nuda sul letto con l’inserviente femmina che si complimenta per la coppa D mentre gli ingenui infermieri maschi,come studentelli che copiano dal libro sotto il banco durante il compito in classe, convinti che il professore sia un fesso, gettano sbirciatine strabiche di verifica.
Ora capisco la tua generosità nei confronti del mio racconto. Affinità elettive?
Ma il mio è un freddo resoconto, il tuo un racconto.
Complimenti
Emanuele, sono io che ringrazio te per le bellissime parole e i complimenti.
Lieta di aver percorso insieme un pezzo di strada sul mio magico e profumato tram dei sogni.
Cara Maria Cristina, il tuo commento mi fa un immenso piacere; le affinità elettive esistono e spesso derivano da esperienze comuni e pezzi di vita molto somiglianti tra loro.
Continuo a pensare che il tuo racconto sia semplicemente perfetto, non è freddo, anzi, coinvolge e sconvolge.
In bocca al lupo, sarebbe bello incontrarsi a Lucca. 🙂
Complimentissimi con una punta di invidia verde: vittoria meritata.
Ciao
Cristina
Grazie Maria Cristina, i tuoi complimenti sono sempre molto apprezzati. In realtà non ha vinto questo racconto, ma un altro in concorso. Un caro saluto.
Come ho scritto a Carmen, chiamandola Mara, sono proprio rimbischerita.
Ora vado a leggermi il racconto vincitore.
Complimenti Mara! Ho letto entrambi i racconti! Toccanti, viscerali,pregni di dignità! Sei riuscita finalmente a tirar fuori quel talento che per troppo tempo è rimasto confinato nei tuoi universi paralleli! Sono molto felice per te!!
Grazie Franco, anch’io sono felice per me. 🙂
La dignità, però, c’entra ben poco con la narrazione efficace. È solo la verità a fare la differenza. Ogni scrittore parla di sé, anche quando racconta di guerre interplanetarie. Per affrontarla, la verità, ci vuole molto coraggio. E una buona dose di umiltà. Nascondersi dietro a una maschera (o un anagramma) non paga mai.
Buona continuazione con le tue letture.
… Volevo solamente farti le mie congratulazioni, non cercavo altro!!! Ma non importa… L’anagramma non era certo una maschera nei tuoi confronti talmente era semplice decifrarlo e personali i contenuti del testo. Ti auguro continue soddisfazioni come sto leggendo in questi post e credimi, te lo dico sinceramente. Buona vita Mara.
Olivia non piangerà più. Racconto originale e ben fatto. Il dolore vero da raccontare non è facile, ma tu ci sei riuscita.
Ero li con loro, con Olivia, sentivo il bip e ricordavo quanto la notte possa trasformare tante cose in incubo, ma quando l’ incubo lo vivi davvero non passa……anche quando iniza a filtrare la prima luce dalla tua finestra.
Mi complimento per il linguaggio, vero, crudo, appropriato al dolore che rende l’ essere umano spietato con se stesso.
Il “distacco” di un certo personale medico non frutto di cinismo ma di abitudine alla sofferenza!!!
In bocca al lupo per il concorso, il tuo racconto merita davvero!
Scusate non mi sono accorta che questo racconto era in concorso nella passata edizione, se ritenete opportuno cancellatelo pure.
Chiedo scusa anche se confermo quanto detto sul testo!
Ciao Liliana. il tuo commento mi fa un grande piacere in ogni caso. E’ bello sapere che dopo tanti mesi le mie parole riescono a emozionare ancora. Un in bocca al lupo anche per te, l’anno passato io sono stata fortunata e ho vinto il premio con un altro racconto.
Un caro saluto.
🙂