Premio Racconti nella Rete 2014 “Il tagliaerbe” di Giovanni Fioret
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Una delle cose che ho imparato da mio padre quand’ero poco più che un ragazzino, è stato falciare l’erba.
Non c’erano rasaerba o falciatrici meccaniche, si usava solo la falce fienaia, la buona lama d’acciaio montata su di un robusto manico di legno e maneggiata con l’ausilio di due pioli sporgenti sulla lunghezza.
Me l’aveva fatto fare alcune volte, poi mia madre, adducendo motivazioni di elevatissima pericolosità per un ragazzino nel maneggio di un attrezzo così affilato, mi tolse la possibilità di continuare.
Allora non me ne crucciai più di tanto, solo, mi spiaceva di non poter più aiutare mio padre, e poi era il mio primo incarico “ da grande “.
Ora, “ da grande “ , ho compreso alcune cose….su mio padre e sulle falci.
Non molto tempo fa, una coppia di amici ha acquistato una vecchia casa colonica ad alcuni chilometri dalla mia città, la usano solo durante i fine settimana dato che vivono altrove per motivi di lavoro.
Durante la bella stagione, hanno scoperto che l’erba ha l’abitudine di crescere ad una velocità a dir poco ridicola.
In una settimana, complici le piogge che nella nostra zona, il Friuli orientale e nella fattispecie la fascia pedemontana, si possono definire frequenti solo a voler essere minimalisti, l’erba, le erbacce, le ortiche, i rovi e quant’altro possa utilizzare la fotosintesi, riesce a crescere anche di trenta centimetri.
Durante una mia visita a casa loro, dal momento che chi in loro assenza curava il taglio del prato non era passato, mi trovai ad affondare fino al ginocchio in un mare verde frusciante.
Scherzando, apostrofai il vecchio amico che mi era venuto ad aprire : “ Ma insomma, non ce l’hai una falce ? “
Lui mi squadrò in silenzio per alcuni istanti, poi andò a rovistare in uno stanzino pieno di vecchi attrezzi dimenticati dai precedenti proprietari.
Dopo qualche minuto ritornò e mi mise in mano una falce dicendo : “ Tu pensi di saperla usare ? “ con un certo atteggiamento di sfida.
Era una vecchia falce, con l’asta di legno grezzo e grossolanamente sgrossata, coperta di polvere e di ragnatele ma ancora solida, leggera e bilanciata, le impugnature arrotondate e consumate dall’uso, la lama ossidata ed assottigliata da mille e mille passate della pietra per affilare.
Mi chiesi anch’io se la sapevo usare…dopo tanti anni….chissà ?
La impugnai, la bilanciai, provai a farla oscillare da destra a sinistra e da sinistra a destra…qualcosa c’era.
Provai in un angolo del grande prato, ruotai il busto ed affondai la lunga lama ricurva che avevo affilato con una vecchia, consunta pietra, trovata dentro un corno di bue appeso ad un gancio nello stanzino degli attrezzi., nell’erba alta.
No…..non era proprio così……più rasente al terreno, più lunga l’oscillazione, più veloce il movimento….provai di nuovo.
Meglio…..
Un altro colpo.
Ancora, ancora ed ancora, più regolare, ancora e poi ancora……un po’ più lento, passi più brevi…..ancora ed ancora….
Passa la pietra sulla lama, rinnova il filo della falce…….
E’ come se mio padre mi parlasse, mentre la pietra fa cantare l’acciaio sottile che ora appare lucido e bagnato.
Riprendo a falciare, fa caldo, sudo ma non mi dà fastidio, sento solo il fruscio dell’erba che cade recisa alla base, il canto discreto del metallo quando morde i rovi duri e tenaci, la brezza che cerca di asciugarmi il sudore che mi cola da sotto il berretto con il frontino.
E sento quella voce, quella voce che mi incoraggia a continuare così, con calma, regolare, senza fretta….bravo, proprio così.
Poi finì.
Finito il prato, finita l’erba, finita la brezza….perso l’eco della voce di mio padre.
Rimase solo quel meraviglioso profumo di erba appena tagliata…poesia, poesia pura.
Non so quanto tempo ci impiegai, non molto credo.
Rimasi un momento fermo con la falce in mano e mi guardai indietro ed attorno, non era stato un taglio perfetto, le linee dell’erba distesa erano irregolari, l’altezza del taglio non sempre uguale, ma erano passati venticinque anni, da quando l’avevo fatto l’ultima volta…tanto tempo.
Mi voltai e vidi i miei amici che mi guardavano, “ Ehi, ma quand’è che hai imparato a falciare ? Non sapevo che ne fossi capace “
“ Oh, tanto tempo fa “ dissi mentre appoggiavo la vecchia ma valida falce ad un albero.
“ Me l’ha insegnato mio padre “
Un ricordo reale, di un momento speciale.
Il raro legame tra infanzia ed età adulta, quasi un deja-wù sospeso nella memoria.
Una piccola luce si accende nel cuore; una piccola cassaforte in cui si celano i ricordi più cari e le emozioni più intime.
L’autore qui ci mostra uno di questi gioielli: non si possono regalare o vendere, ma solo mostrare, nella speranza che chi legge possa, anche solo furtivamente, ricevere il riverbero di queste sensazioni. L’amore per i genitori e il riconoscimento di quanto essi possono o hanno potuto insegnarci è sicuramente una grande gioia, da serbare per sempre nel proprio cuore.
Grazie Giovanni per avercelo ricordato.
Davvero mille grazie per le tue belle e preziose parole, Claudio.
Mi dai un ricco carburante per continuare a percorrere questa accidentata strada, sempre piuttosto avara di riconoscimenti, come, ne sono certo, ben sai.
Giovanni
Per come la vedo io, è dalla capacità di narrare storie “minime” che si misura la buona scrittura. Non c’è bisogno di trame più o meno complicate. Un frammento e zac, ci finisci dentro. Proprio come in questo racconto. Scrittura nitida, precisa, senza inutili fronzoli. La falce oscilla da destra a sinistra, da sinistra a destra e per qualche minuto a chi legge pare di essere lì, con l’erba fino al ginocchio. Complimenti Giovanni.
Caro Giovanni, tu hai scritto un racconto partendo dall’uso della falce ed è questa l’abilità dello scrittore, mandare un messaggio da un fatto normale. Poi lo scrittore si migliorerà, applicherà il suo stile e cercherà un argomento più congeniale per lui. Tanti sono i messaggi che si ricavano da questo racconto che tu hai scritto senza dubbio per ricordare tuo padre, magari un po’ “palloso” (pesante e pedante) come lo sono la stragrande maggioranza dei padri, … me compreso. Complimenti.
Emanuele
Ahh… la falce fienaia… quanto ricordi….
ora che sono vecchia – e rimbambita: per rimettermi in pari con le letture sono andata alla prima pagina dei commenti e solo ora mi sono accorta di aver commentato bellissimi racconti del concorso del 2009!!!!” – sono necessariamente nostalgica e questo racconto mi ha fatto ricordare le mie vacanze estive, in campagna dai nonni.
Consolatoria conferma dell'”impara l’arte e mettila da parte”.
Personalmente consolida il mio pensiero sull’apprendimento: qualunque cosa uno impari, anche la più banale e la più umile, pur insignificante per quel che riguarda l’avanzamento della propria fulgida carriera, non sarà mai inutile.
Vedi, mio buon Emanuele, noi padri siamo pallosi per decreto divino, spesso siamo i peggiori padri che possiamo essere, ma questo non significa che il nostro amore per i nostri figli sia inferiore a quello delle madri, nostre infinitamente superiori rivali nell’arte di allevare i figli. Siamo diversi, questo è certo, come lo sono l’acqua ed il ghiaccio ma, come ben si capisce, entrambi sono fatti della stessa sostanza, ed il nostro amore per i figli, pur sembrando diverso, è lo stesso. Noi padri vorremmo insegnare cose speciali, vorremmo vedere riflessi in loro le parti migliori di noi, instillare in loro le passioni che ci sono state tramandate o che abbiamo scoperto alla loro età, Per lo più è fatica sprecata, eppure, magari dopo molti anni, quando saranno loro ad essere diventati padri…ricorderanno, ed è allora che saremo ricordati per ciò che siamo stati veramente.
Forse saremmo i primi a sorprenderci, se potessimo leggere nella mente dei nostri figli per scoprire quanto abbiamo insegnato loro. E quanto importanti siano stati, per quei bambini cresciuti, i nostri esempi, i nostri gesti, anche i più piccoli…persino i nostri silenzi.
Come l’uso di una falce.
Infinite grazie, Emanuele, da padre palloso a padre palloso.
Come dici tu, Maria Cristina, tutto serve, prima o poi.
E non importa quando ciò che hai imparato ti tornerò utile, come si può ben vedere dal mio racconto. Forse quando non si è più giovanissimi diamo più valore ai vecchi ricordi, certo è che i nostri ricordi più forti sono legati alle emozioni, e le emozioni li fissano nella memoria con un segnale fluorescente, in modo che li ritroviamo per primi.
Il ricordo dei tuoi nonni, il ricordo di mio padre, splendono nella nostra memoria come fari nel deserto in piena notte, altre memorie basterà un po’ di sabbia spinta dal vento della vita quotidiana e verranno offuscate, ma queste brilleranno sempre.
P.s. Non siamo mai vecchi, solo più saggi e ricchi di ricordi. Questo ci fa vivere due volte, nel presente ed anche nel passato…che faticaccia!!!
Ti ringrazio, Maria Cristina, un abbraccio.
Giovanni
Racconto semplice, ben scritto,
che profuma di erba recisa e di vecchi attrezzi.
C’è il rischio di dimenticare i gesti e le passioni
dei nostri padri.
Tocca a noi tramandare e rinnovare
memorie preziose che rischiano
di cadere nell’oblio.
Il racconto è uno degli strumenti più adatti a
questo nobile fine.
Che dirti, caro Maurizio, se non grazie di cuore delle tue parole, hai scritto una presentazione al mio racconto che è di per se stessa un racconto in miniatura.
Grazie ancora.
Giovanni