Premio Racconti per Corti 2014 “La collina dei silenzi di Dario Giardi
Categoria: Premio Racconti per Corti 2014Per quella strada non passava mai nessuno. Solitamente nemmeno io. La carreggiata era stretta, senza guard rail, senza segnaletica, su un fondo sterrato, scivoloso e pieno di insidie. Troppo pericoloso da percorrere sia di notte che di giorno, visti gli improvvisi burroni che si aprivano a ogni curva di quella che molti consideravano una strada maledetta, per via dei numerosi incidenti che l’avevano vista protagonista. Si risparmiavano parecchi chilometri percorrendola per arrivare al paese ma tutti preferivano aggirare la collina seguendo la più sicura statale a valle.
Di quella sera ricordo tutto. Ero in forte ritardo, Greta mi aspettava. Quella volta non me l’avrebbe perdonata. Per ben due volte aveva dovuto disdire la cena per presentarmi a suoi. Per ben due volte non mi ero reso conto dell’orario e non mi ero presentato all’appuntamento. Succedeva sempre quando ci riunivamo con Eddy e gli altri per suonare. Il tempo, i nostri impegni, le nostre famiglie… tutto si dileguava lasciando spazio solo al nostro sogno comune. Un giorno saremmo diventati famosi.
‘Anche un minuto di ritardo e tra noi è finita. Non sei più un ragazzino, smettila di fare la rock star. Sai che per me è importante questo passo. Se ci tieni, dimostramelo!’
Queste erano state le ultime parole che Greta mi aveva urlato al telefono. Come avrei potuto deluderla ancora una volta?
Non avrei voluto… ma fu così che decisi di salire per quella dannata strada. Alla radio, la voce di Robert Plant mi faceva compagnia. Curva dopo curva, cercavo di concentrarmi sulle canzoni per non perdere l’attenzione, anche se la stanchezza e l’ansia di arrivare in ritardo non giocavano certo a mio favore. Una piccola distrazione e tutto sarebbe finito. Il sogno di cavalcare i palchi con le rock star più famose… sì, certo, anche quello di sposarmi con Greta ma in quel momento della vita, il matrimonio, non rappresentava ancora una priorità. La strada saliva rapidamente. Ebbi d’un tratto l’impressione che qualcosa mi tirasse verso il bordo della strada. Cercai di giocare con lo sterzo ma senza successo. Un tonfo improvvisò mi fece aumentare il battito. ‘Cosa diavolo è stato?’ Sembrava che qualcuno avesse sbattuto contro la portiera posteriore. Per un attimo pensai di aver investito qualcuno sul ciglio della strada. Spensi il motore e rimasi in silenzio per percepire eventuali lamenti o grida di aiuto. Niente. Silenzio assoluto. Ora capivo perché la collina si chiamava in quel modo. Non c’era anima viva lì, nessuna abitazione. Niente di niente. Anche la notte sembrava muta, inabitata. Ero quasi tentato di far finta di niente e fuggire ma il senso di colpa e quello di responsabilità non mi permisero di girare la chiave. Scesi. Da quel lato non riuscivo a vedere cosa potesse essere successo. Dovevo inevitabilmente girare intorno ma qualcosa mi spingeva a non farlo. Paura? Direi terrore. Ma ormai ero fuori. Appena i miei occhi riuscirono a mettere a fuoco l’altro lato della vettura scoppiai a ridere. Quel tonfo non era altro che un pneumatico forato. Un chiodo lungo 5 centimetri si era conficcato dentro. Chissà come ci era finito lì. Fortunatamente il pneumatico sembrava aver retto quell’intrusione. Avrei raggiunto il paese senza problemi, ormai ero vicino. Risalii in macchina. Dopo circa 1 chilometro, un suono, ancora più sinistro del precedente, attirò la mia attenzione. L’avevo sentito forte e chiaro, non potevo essermi confuso. In quel silenzio sarebbe stato impossibile confondersi. Avevo anche spento la radio. Ne ero certo. Quello era proprio un grido. Un grido di donna. Ma come era possibile? Chi poteva trovarsi in quella zona isolata, a quell’ora? La prima cosa che mi venne in mente fu che una coppietta, magari appartatasi, avesse avuto qualche problema. Magari lui poteva essersi sentito male nel momento più bello… oppure erano stati importunati da un maniaco. O peggio il maniaco era il suo ragazzo. ‘Ma no, che vai a pensare’ mi dissi tra me e me ‘vedrai che sarà una scemenza’. Magari è solo qualche falena notturna entrata per caso da un finestrino. Si sa, le donne hanno reazioni assurde, alla vista di certi insetti.
Pochi metri su quella strada polverosa e quel grido si ripeté. Ancor più straziante del primo. Fermai la macchina. Spensi nuovamente il motore e rimasi in ascolto. ‘Aiuto’ Una richiesta inequivocabile squarciò quel silenzio e il mio cuore. Non riuscivo a respirare. Annaspavo nella calda aria di quella serata d’estate. L’assenza di ricezione al cellulare mi riportò il battito accelerato. Non riuscivo più a deglutire. O meglio non volevo farlo per paura di strozzarmi con la mia stessa saliva. Mi era già successo di soffrire di attacchi d’ansia tanto che, per evitare si ripetessero, avevo trovato un espediente. La presenza di una semplice bottiglia d’acqua in macchina era in grado di tranquillizzarmi. Ma quella sera non c’era a sollevarmi da quella situazione. Avrei voluto gridare anche io aiuto ma non avevo la forza di farlo. Immobilizzato. Sarei morto soffocato in macchina, da solo. Sentivo che stavo per svenire, poi feci scivolare la mano nel cruscotto. Mi ricordai di aver accompagnato a casa Eddy, dopo le prove, e che mi aveva lasciato la sua birra proprio lì. L’aveva dimenticata. Brontolavo sempre con lui per inzozzarmi la macchina, lasciandola sempre piena delle sue schifezze: birre, patatine, sigarette… ma quella sera lo benedissi per quella birra. Il tappo era solo leggermente pigiato, giusto per impedire la fuoriuscita. Ne aveva bevuta già metà. Era caldissima, ma non mi feci problemi. Sapere di avere una bevanda a bordo mi tranquillizzò subito. Già dopo il primo sorso stavo meglio. Stavo cercando di capire da dove provenisse quel grido quando cominciò un nuovo lamento, meno acuto, ma continuo e più terrificante. Qualcuno stava male sul serio… seguivo quel suono cercando di non allontanarmi troppo dai fari accesi dell’auto. Veniva da un canale più in basso, rispetto al livello stradale. La fitta boscaglia e quel buio denso non mi permettevano di capire altro. Poi accadde. Di quella luce ricordo ogni particolare.
Quel fascio luminoso, dritto, che fendeva il buio come una spada, lo conoscevo bene. Per anni avevo fatto il boy scout e le torce erano quanto di più familiare potessi notare. Quella danza di luce sembrava proprio quella che la sera mettevamo in scena con gli altri per attirare l’attenzione delle ragazze qualche tenda più in là di noi. Ma quella non era certo una situazione da campeggio. Quasi inconsciamente mi resi conto che avevo proseguito avvicinandomi ancora di più, quasi fossi ipnotizzato da quella luce. Avevo percorso un centinaio di metri nella boscaglia, quando la vidi. Una vecchia roulotte poggiata su dei mattoni. Le ruote posteriori erano perfettamente gonfie, segno che erano lì da pochissimo tempo. Ora potevo vedere bene l’origine di quel fascio luminoso. Dal finestrino intravedevo un braccio che si divincolava per muovere la torcia. Quando fui a pochi passi mi parlò per la prima volta.
‘Avvicinati, non ho molto tempo. Tra poco tornerà e saranno guai, anche per te se ti trovasse qui.’
‘Ma di chi stai parlando? chi dovrebbe venire?’
‘Mio padre.’
‘Ma sei tu che hai gridato aiuto?’
‘Sì.’
‘E perché, santo Dio! Mi hai fatto fermare nel cuore della notte per cosa? Che ti è saltato in mente?’
‘Questa non è la mia casa.’
‘Ah sì, e come ci sei finita ?’
‘Non lo so, non me lo ricordo. Non ricordo più nulla se non il mio nome. Emma. Anche se lui mi chiama diversamente’
‘Lui chi, tuo padre?’
‘Sì.’
‘E come ti chiamerebbe?’
‘Non mi va di parlarne. A breve sarà di ritorno.’
‘Ma se hai tanta paura perché non esci? Se vuoi posso darti un passaggio.’
‘Io… io non posso.’
‘Ma sei fuori di testa? Perché hai gridato, allora? Ti senti sola e volevi attirare l’attenzione? O è uno stupido gioco che fai con tutti i passanti?’
‘Io… non posso uscire?’
‘In che senso?’
‘La porta è chiusa. È sempre chiusa.’
‘Vuoi dire che ti chiude a chiave?’
‘Lo fa perché sono cattiva. Anche ora che parlo con te, sono cattiva.’
‘Ma si può sapere cosa stai farneticando? Ma non c’è una luce dentro la roulotte?’
‘No. Nessuna luce. Solo questa torcia che ho nascosto.’
‘Passamela, voglio vederti. Non mi piace parlare nel buio.’
Avrei voluto che quella torcia non mi fosse mai finita nelle mani. Quello che vidi cambiò per sempre la mia esistenza.
Teneri occhi marroni, tondi, dolci, erano circondati da un viso tumefatto da lividi. I capelli, in alcuni punti, erano strappati a ciocche. Mi avvicinai illuminando le altre parti del corpo. Lividi ovunque. Quante botte doveva aver subito quella poverina. Mi guardava timorosa di essere vista in quello stato.
‘Basta, basta ti prego! Ho sbagliato. Lui non vuole che nessuno mi veda. Sono sua. La sua principessa.’
‘Cosa? La sua principessa? Ma ti rendi conto o no di cosa dici? Non vedi come ti ha ridotta?’
‘Promettimi che non lo dirai a nessuno. Ti prego. Altrimenti sono morta.’
‘Sarai morta comunque se continua a picchiarti così.’
A guardarla si capiva che morta, lo era già. Dentro.
‘Ti prego. Tu non lo conosci. Una volta finito con me ti troverà e ti farà fuori. È già successo.’
‘Mi stai dicendo che tuo padre è un assassino? Che tiene rilegata in una roulotte prigione sua figlia, per massacrarla di botte?’
‘Io…’
‘Lascia stare, ora sai che faccio? Sfondo la porta. Ho un crick in macchina. Ti porto via con me poi dai carabinieri te la vedrai tu cosa dire e non dire. Vedranno loro il da farsi.’
‘Tu non capisci. Io sono sua. Gli appartengo, sono la sua donna.’
‘Dovevo immaginarlo! Ha abusato di te, vero?’
‘Che significa, abusato?’
‘Ma dove vivi? Non sei stata a scuola? Non vedi la tv?’
‘La tv?’
Se non fosse stato per quei lividi avrei pensato a una candid camera. Ma come era possibile? Segregata lì, in mezzo al bosco… ma da quando? Chi era questo porco? Come era possibile che nessuno se ne fosse accorto, in paese?
Trovai un ferro a terra e iniziai ad armeggiate contro la serratura della roulotte. Quando avvicinai la torcia, che mi aveva passato, notai una strana protuberanza dall’altra parte.
Ma che senso aveva, quella chiave? Perché si era chiusa dentro? Perché fingere quella messa in scena? Domande rimasero bloccate nella mente. Poi quel dolore forte al capo. Mi ritrovai con la faccia nella polvere. Qualcuno mi aveva colpito alle spalle, forte, ma non abbastanza da farmi svenire. Ero disteso a terra, non riuscivo a muovermi ma sentivo tutto. Sentivo le loro voci, le loro risate.
‘Bravo papà. Questa volta è stata più facile del previsto.’
‘Con il trucco sei diventata molto brava. Ormai, anche illuminandoti, quei lividi sembrano davvero reali.’
‘Stasera dobbiamo festeggiare alla grande. Prima ci facciamo una bella scopata, poi ceniamo.’
Il suono del mio cellulare interruppe quel loro sadico discorso. Ringraziando Dio, prendeva nuovamente.
Tenevo il rintracciamento gps sempre attivo. Ora sapevano dove mi trovavo. Sarebbero potuti venire a salvarmi, non vedendomi arrivare. Quei due maniaci erano fottuti.
Non venne nessuno, e il loro gioco andò avanti. Mi avevano legato a una sedia, mettendomi un nastro sulla bocca. Avevo ripreso conoscenza. La ragazza senza trucco appariva più terrificante. Bella, con un viso dolce… ma negli occhi il demonio. Mi girava intorno con un ghigno… come se stesse scrutando un trancio di manzo e volesse capire qual era la parte più tenera e succosa. Il padre, o chiunque sia stato, stava sistemando un frullino. Data la situazione non mi risultò difficile capire a cosa sarebbe servito. Come potevano averla fatta franca fino a quel momento. Chi erano? Perché erano arrivati in paese?
Volevo gridare ma per quanto mi sforzassi non usciva niente.
Ero pietrificato. Vedevo i miei carnefici prepararsi per il banchetto. Mi venne da vomitare e mi stavo quasi soffocando con il mio stesso vomito, se quella strega dalle belle sembianze non mi avesse tolto il nastro. Un gesto sadico, giusto per prolungare la mia agonia.
Poi mi ritappò la bocca.
‘Ehi, non devi fare così altrimenti ci guasti l’appetito con questi tuoi succhi gastrici. Hai capito?’
Un ceffone mi arrivò sulla guancia e poi risate. Quelle risate terrificanti che ormai da minuti riempivano l’aria.
Sarei stato fatto a pezzi e mangiato. Ma poi, sopra la strada, sentii il rumore di un motore, poi un altro… Macchine vicine. Almeno due. Si arrestarono proprio sopra il punto dove dovevo essere sceso. Avranno sicuramente notato la macchina. Pensavo di essere salvo. Ma a scendere non furono né poliziotti. Erano conoscenti del paese. Persone che non avrebbero dovuto essere lì c’era qualcosa di strano che la loro presenza mi disse. Il farmacista, il direttore della banca. La crema della società provinciale di quel piccolo borgo. Ma che ci facevano lì?
In un primo momento pensai che vedendo la macchina sul ciglio della strada si fossero insospettiti e avessero deciso di scendere a vedere cosa fosse successo.
Mi sbagliavo.
‘Sono molto eccitato, facciamolo in fretta!’ esclamò il farmacista.
Si erano trasformati, non erano più le persone con cui avevo parlato tante volte, in paese.
Anche loro mi guardavano come fossero demoni assetati del mio corpo.
‘Allora, come da accordi, eccole 10000 euro.’
‘Avevamo detto 30000. Per 10000 staccate un pezzo solo e poi ve ne andate. Altrimenti, se volete restare fino alla fine e cenare con noi, sono 30000.’
‘No, per me è troppo. E poi io sono venuto solo a vedere” disse il direttore.
“Non riesci a mangiarlo? disse il farmacista. “Quando pensi possa ricapitarci? Non fare lo stupido, stiamo rischiando tanto. Questo è un punto di non ritorno. Lo sapevi, no?”
“Signori, io ho fretta! Dobbiamo toglierci di mezzo velocemente. Come vi ho spiegato sul forum quando ci avete contattato, non sostiamo in un posto più di due giorni. Le condizioni le sapevate, le avete lette. Nessun passo indietro altrimenti l’organizzazione vi farà fuori.”
“Stia calmo, capisco che lei bada solo ai soldi…”
“Voi, stupidi ricchi annoiati, a cui non rimane altro che provare la perversione di un emozione forte, non capite che io lo faccio per puro piacere. Non per i vostri merdosi soldi. Mi piace il sapore della carne umana. Dovreste ringraziarvi di avervi invitato alla mia tavola. Allora? Non ho tempo da perdere ed ho fame.’
‘Va bene, fanculo tutto. Facciamolo!’
‘Avanti, direttore, inizi lei.’
Passò al direttore il frullino che girava minaccioso a pochi centimetri dal mio viso.
‘No, il viso no!’
‘È l’ultima parte, ci piace vederlo integro. Vedere i suoi occhi lacrimanti chiedere pietà, deve supplicarci come un agnellino. Parta dal braccio sinistro.”
Il direttore seguì il consiglio.
Sentivo l’aria che il frullino spostava con il suo movimento a pochi centimetri dal gomito. Poi, un dolore lancinante, mi pervase. Avrei voluto morire pur di non provare quel dolore. Pochi attimi per vedere il mio braccio penzolare.
‘Che mi combina? Non ha tagliato bene. Vede come penzola?’
Come un bambino rimproverato il direttore iniziò a tirare quel pezzo sfilacciato di braccio sperando di staccarlo ma i nervi e i muscoli rimasti lo legavano ancora al mio corpo. Improvvisamente si avvinghiò come un cane rabbioso e iniziò a mangiarmi, cercando di staccare a morsi.
“Accidenti, che fame, direttore!”
Ormai non sentivo più dolore, cercavo di fissare il mio vecchio braccio, sperando che la sua visione mi facesse svenire o venire un infarto e morire. Niente. La morte non venne a liberarmi da quella tortura.
“Io non ce la faccio proprio” disse il farmacista, continuando a vomitare a destra e sinistra.
‘Sapeva le regole del gioco, se non ne vuole far parte da predatore diventerà preda. Che dice, è dei nostri?’
‘Sì, certo.’
Prese anche lui a mordermi il braccio. Quei due onesti signori sembravano due iene con la bocca piena di sangue.
‘Cosa si prova?’
‘Eccitante, meglio della coca” risposero entrambi.
Il pasto sarebbe andato avanti e con esso la mia lenta agonia se all’improvviso una voce familiare non avesse rotto quel gioco macabro. Era Greta. Oh… Dio la benedica! Altre voci. Una sirena. Non era sola. C’era la polizia. Mi lasciai andare. Quando mi risvegliai mi ritrovai in una stanza d’ospedale. Avevo in mano un pulsante di quelli che servono per richiamare l’attenzione delle infermiere. Lo premetti.
“Sto arrivando!”
Mi osservai il braccio. Era fasciato.
Entrò un uomo con un camice e subito dietro un altro in divisa.
‘Come si sente?’
‘Bene, ma che cosa è successo?’
‘A livello medico le abbiamo fatto un operazione di chirurgia plastica al braccio. Ha avuto… ha avuto un incidente ma di questo parlerà con il commissario qui presente. Il braccio è salvo. Almeno la sua funzionalità. Dovrà fare una lunga fisioterapia. Ora la lascio. Ma mi raccomando, non si sforzi e voi commissario ricordate che è ancora sotto shock.”
“Ragazzo, come ti chiami?”
“David.”
“David, ricordi qualcosa?
“L’ultimo ricordo che ho è che stavo andando da Greta, la mia ragazza.”
“Sai cosa è successo, dopo?
‘No, commissario.’
“Il pensiero di mangiare carne di altri esseri umani ci disgusta terribilmente. Comprensibile, ovviamente. Ma non per tutti, visto che di cannibali in giro ce ne sono. Tu ne hai conosciuti. Quel segno sul braccio, che porterai per sempre, è opera loro.”
Un soggetto degno di Steven Spielberg.
Macabro, ma intrigante. Penso sia un ottimo soggetto cinematografico.
Godersi questa metafora estesa della società, un pò splatter, un pò thriller, leggendo ma come stando seduti in poltrona con una vaschetta di popcorn… Un pò “Hostel”, un pò “Le colline hanno gli occhi”, il protagonista è subito simpatico, anzi empatico…ce lo si immagina quasi che vada all’appuntamento formale della cena indossando la sua bella maglietta dei Led Zeppelin (sotto la camicia, ovviamente…. 🙂 )
Complimenti!! E in bocca al lupo!
PS: Credo che abbiamo gusti musicali affini… (rock your life)