Premio Racconti nella Rete 2014 “Un solo giorno” di Dario Giardi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014A lanciare l’allarme era stato un passante. Un primo esame non aveva fatto emergere particolari significativi. Non c’erano segni di violenza sul corpo della vittima. Grande la confusione intorno. L’evento aveva attirato l’attenzione di tutti quelli che dalla mattina avevano affollato il piccolo specchio d’acqua, pensando di trovare in esso un leggero sollievo da quella terribile afa. Si leggeva nello sguardo dei presenti l’aspettativa o la presunzione che il lago potesse riuscire, in qualche modo, a rinfrescare l’aria, quasi fosse un’oasi apparsa d’un tratto in quel deserto di cemento urbano.
Il vociare era assordante. Qualcuno più cauto parlava di incidente, magari uno sbandamento, altri più arditi ipotizzavano addirittura un omicidio. Una cosa era certa: la vittima era stata vista in quel luogo fin dalle prime luci dell’alba. I testimoni della sua presenza si moltiplicavano secondo dopo secondo. Evidentemente, la sua bellezza non era passata inosservata. A guardarla se ne potevano comprendere i motivi. Anche ora che giaceva inerme nelle acque, riusciva a conservare un’eleganza regale, la fascinosità di chi sa di non dover apparire.
Era stata vista in disparte come se aspettasse qualcosa dal mondo. Una presenza fragile e al tempo stesso dirompente capace di focalizzare su di sé tutta l’attenzione. Sembrava che il suo corpo si muovesse cullandosi in quel letto di fiori di ciliegio che si riflettevano sullo specchio d’acqua.
Osservavo quei fiori quasi ipnotizzato. Ora capivo perché i giapponesi avevano dato un nome all’arte di ammirarli: Hanami. Ero inebriato da quello spettacolo. Immagine dopo immagine mi sentivo parte di quell’esibizione naturale. Forse dandogli un nome i giapponesi avevano voluto consegnare un’identità a quei fiori, a quella loro fioritura curativa per l’anima, quasi mistica.
In quel tratto di lago i Sakura erano diventati i protagonisti assoluti e silenziosi tanto che il luogo aveva assunto il nome di “Passeggiata del Giappone”. Tutti quei ciliegi erano stati donati dalla città di Tokio. Alberi riservati ed eleganti come quella presenza nell’acqua. Capaci di regalare la fioritura per poco tempo, uno spettacolo effimero e suggestivo al tempo stesso. Chissà se anche la vittima nei suoi ultimi istanti si era soffermata a osservarli. Ma sì, a pensarci bene, l’ultimo istante, l’ultima immagine nei suoi occhi doveva essere stata proprio quella.
Molti testimoni stavano raccontando che da giorni sul lago si erano visti strani movimenti di creature infernali. Enormi giganti con lunghissimi serpenti capaci di vaporizzare un veleno micidiale. Molti avevano lamentato che chi aveva avuto la sventura di capitare nel raggio d’azione di quel getto, aveva iniziato un lento e inesorabile viaggio nell’abisso.
Qualche anziano mormorava… sembrano ricordi ormai lontani quelli di centinaia di farfalle svolazzanti sul lago. Tutto, e non solo questo, è causato dalla prepotenza dell’uomo.
Ora era tutto chiaro, la vittima era stata investita da quei veleni. Era come se quel getto avesse risvegliato la sua coscienza; come se fosse caduto per sempre quel velo che copre, con la sua coltre immacolata, i nostri dubbi, magari ricordi che non vogliamo portarci dietro nel nostro eterno peregrinare alla ricerca della felicità. Erano state scoperte le falsità, le ironie del destino, i sogni… aveva compreso la terribile realtà che attendeva la sua anima.
Potevo comprendere la sua disperazione. No! Non si può vivere un solo giorno.
Ora sapevo perché quella bellissima farfalla si era suicidata. I pesticidi l’avevano resa consapevole della sua breve esistenza. Non doveva essere stato facile accettare l’idea che la vita fosse limitata nel tempo; chi non ha avvertito almeno una volta l’esigenza di vederla proiettata all’infinito? Come condannarla? Come avrebbe potuto vivere nella consapevolezza della realtà di “essere provvisorio”?
Spesso, nella vita, sarebbe meglio non contare i respiri quanto, semmai, i momenti che ci hanno tolto il respiro. Ma è più facile parlare che agire in questo modo.
A volte siamo proprio noi il nostro peggior nemico. Dai nemici esterni è più probabile trovare un riparo mentre non è altrettanto semplice sfuggire da noi stessi. Troppo spesso ci si dimentica che la felicità e la serenità d’animo sono un tesoro interiore e non un privilegio acquisibile grazie soltanto a un viaggio oltremare. Non mutano il loro animo, ma solo il cielo sopra la loro testa coloro che attraversano il mare.
L’orrore dell’esistenza aveva fatto capolino nel cuore della sventurata. In un attimo si era resa conto di aver sfiorato appena la sua esistenza divenendo fragile come un cristallo. A un passo dal margine, silenzi che non sentiremo. Forse per un momento… forse ha sempre sperato che quella vita andasse oltre. Forse era riuscita per un istante ad aprire le ali sospesa nel vuoto del cosmo, in mezzo al nulla più totale. Ora c’era solo polvere e silenzio. In quella disperazione, in un solo giorno, aveva deciso di scrivere il suo destino.
Leggero… come le ali di una farfalla!