Premio Racconti nella Rete 2014 “Lo schiaffo” di Andrea Vanni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Lo schiaffo preciso e potente colpisce sulla bocca l’ uomo seduto nel letto, che con occhi spaventati e timorosi tenta invano di schivare il colpo.
La donna inveisce contro di lui accusandolo di aver deliberatamente versato il cucchiaio di minestra che gli ha porto.
“Sei un cretino , mi fai i dispetti per farmi morire, invece di aiutarmi a servirti, come faccio da più di un anno brutto vecchio deficiente”.
In effetti è proprio da un anno che un brutto ictus ha definitivamente devastato il suo fisico già colpito da una grave forma di Parkinson che lo ha invalidato nei movimenti.
L’ ictus ha fatto il resto colpendolo nella mente e rendendolo incapace di intendere.
Non parla più e da’ segni di riconoscere qualcuno solo a sprazzi.
Non e’ stato sempre così lui, e chi lo ha conosciuto anche prima del male che lo ha sopraffatto non può che aver pena di lui, sempre gentile e disponibile .
Tutti tranne lei, la moglie che ha preso la condizione del marito, come un fatto da lui voluto contro di lei per rovinarle la vita.
A tal punto arriva il suo egocentrismo ,il suo egoismo,
la sua assoluta mancanza di empatia verso qualsiasi persona e qualsiasi situazione.
E la rabbia la assale a vederlo nel letto ridotto ad una larva umana, con il pannolone, con lo sguardo assente e intimorito, invece si essere il suo uomo, dal passo svelto e gli occhi azzurri, pronto a scattare per esaudire ogni suo desiderio, sempre deciso e protettivo nei suoi confronti in tutte le situazioni scabrose in cui continuamente andava a cacciarsi con il suo carattere invadente e prepotente, offensivo ed aggressivo.
Si sentiva in dovere di dire la sua a tutti , senza ritegno e senza remore, coinvolgendolo continuamente in discussioni che lui mai avrebbe intavolato.
E la difendeva con uno scudo protettivo da tutto e da tutti, anche dai figli, con i quali si scusava dopo, in privato.
Era il prezzo che secondo lui doveva essere pagato perché una donna bella come lei, gli avesse un giorno concesso di condividere il letto per tutta la vita .
Lui figlio naturale, senza istruzione e senza lavoro, preferito a spasimanti colti e ricchi, lui il povero Cristo, figlio di Ofelia, costretta ad abbandonare la sua casa, col suo fardello di colpa , additata da tutti come la svergognata che si era portata a letto il giovane carabiniere della piccola stazione del paese ed era rimasta incinta.
Lui suo figlio era riuscito a sposare lei la bella Lilly, desiderata e ambita da dottori e avvocati.
Poco importa che la scelta fosse stata fatta, dopo che il pessimo carattere di lei avesse ormai fatto fuggire dottori e avvocati . Poco importa che avesse accettato di uscire con lui solo per Ingelosire i suoi spasimanti storici.
Poco importa che fosse andata a letto con lui perché l’ unico rimasto a sopportarla.
Poco importa che avesse acconsentito a sposarlo ,dopo che era rimasta incinta, solo per il fatto che mai avrebbe potuto mantenere un figlio da sola.
Poco importa non gli avesse detto mai detto “ti amo!”
A lui bastava di averla in qualche modo tenuta per se è e di questo le era stato inconsciamente grato per tutta la vita, sopportando tutto quello che da lei subiva.
Compreso il fatto di non avergli mai perdonato di averla messa incinta, di non essere stato attento ad evitare quella vergogna che aveva dovuto subire, lei che avrebbe voluto sposarsi in chiesa , vestita di bianco, con un uomo bello e ricco, invece che con un uomo senza padre e disoccupato.
E quella colpa aveva coinvolto anche la figlia concepita e nata senza la sua volontà . Tutta presa a far pesare ai due l’ errore della sua vita, riversava tutto il suo interesse verso il secondo figlio, con le prerogative fondamentali per il suo orgoglio:
quello di essere maschio e da lei fortemente voluto.
E così la vita era passata segnata da discussioni e liti, con lei sempre orgogliosa del suo operato e pronta a prendersi tutti i meriti quando le cose andavano bene, sempre alla ricerca di un capro espiatorio , di in responsabile quando le cose andavano male.
Fino a quando lui aveva cominciato a manifestare i primi tremolii alle mani, le prime sonnolenze , le prime indecisioni nei movimenti, cui era seguita la temuta diagnosi: Parkinson .
Da quel giorno la vita di lui era cambiata.
Mentre sentiva via via perdere ogni giorno parte delle sue forze e della sua dignità di uomo, si era trovato a dover combattere anche con lei che, non accettando la realtà della malattia, addebitava tutto alla poca volontà di lui nel reagire al suo male.
Non aveva mai potuto avvalersi di un’ efficace terapia perché lei andava continuamente modificando posologie e modalità d’uso dei farmaci a sua discrezione e secondo i suoi capricci.
Non aveva mai potuto far uso del pannolone proibendogliene l’ uso che a suo dire lo avrebbe abituato a orinarsi addosso e per la stessa ragione , di sua iniziativa, gli aveva tolto i diuretici dalla terapia.
Per nessuna ragione doveva trapelare all’ esterno il suo stato.
Con la conseguenza che era peggiorato sempre di più e sempre più tutto ciò era visibilmente palese.
Finché era arrivato l’ ictus, che implacabile lo aveva colpito e lo aveva annientato definitivamente.
E con l’ictus era arrivato il letto snodabile, il materasso ad acqua, la badante e questa volta, inevitabilmente anche i pannoloni.
Si i maledetti pannoloni, riempivano la casa nonostante li nascondesse in tutti gli armadi, e lei che non aveva una ruga sul viso, lei che con i capelli fatti sembrava una signorina, era costretta a gestire questo infame indumento dalla mattina alla sera.
E invece di essere in viaggio per l’ Europa come le piaceva tanto, era su quella maledetta scala, a togliere dalla parte più alta dell’ armadio a muro l’ ennesimo scatolone di pannoloni per lui, la disperazione della sua vita.
Dalla rabbia aveva gettato a terra con tutta la sua forza la scatola di cartone.
Nell’ impeto del suo ennesimo moto d’ ira aveva perso l’ equilibrio ed era caduta violentemente a terra.
Non si era mossa, aveva sbattuto la testa e dalla nuca, sotto i capelli fatti che sembrava una signorina, era sgorgato un rivolo di sangue.
Il viso con la sua bella pelle di ragazzina, aveva mostrato una smorfia di disappunto e un esteso ematoma.
Lei così giovanile e bella, così brava ed intelligente, se ne era andata prima di lui, povero Cristo dal destino segnato.
Crudo racconto di una malattia difficile, il morbo di Parkinson, e di una vita difficile. Il finale suona quasi come una beffarda vendetta del destino e da un nuovo senso a tutto il racconto.
Un crudo e coinvolgente racconto. Nel finale un liberatorio “colpo” di scena!
Il racconto percorre i momenti della vita coniugale, in cui il marito si è ammalato di Parkinson. Una tragedia si aggiunge all’altra tragedia, un rapporto privo d’amore da parte della donna. Dalla conoscenza di tanti dettagli, sentiamo crescere la rabbia della donna che culmina sino a scaraventare a terra un pacco di pannoloni, simbolo della vergogna per l’obbligo di servizio al marito. Quel gesto d’ira e di disprezzo sarà fatale alla donna che cadrà dalla scala e, battendo la testa, morirà. Il destino è crudele e nessuno lo può sfuggire, di questo è permeato il racconto.
Emanuele.