Premio Racconti nella Rete 2014 “Insolite storielle” di Lanfranco Mancini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Conobbi Neri tanti anni fa, in una mattina di primavera, il sole bucava l’aria dolcemente, una sottile, lucente energia riempiva la campagna. E l’attesa era penetrante. Ero stato invitato dal dottor L. L. a conoscere “un tipo particolare“, mi aveva detto al telefono la sera prima. Ma non mi aveva anticipato nulla “per non togliermi il piacere della sorpresa“, aveva aggiunto sornione. Il dottor L. era un medico olistico, uno di quei pochi, illuminati dottori che vedono l’essere umano come un insieme, da curare quindi come tale, e non da spezzettare, con tanti specialisti che si perdono nel nulla del loro piccolo particolare. Il dottor L. studiava anche i fenomeni paranormali, convinto com’era che corpo ed anima si completino a vicenda.
Quella mattina, nel Valdarno conoscemmo Neri, accompagnato dalla moglie Maria, che non lo lasciava mai solo, non tanto perchè la forza dell’uomo sta nell’appoggio della donna, quanto perchè Neri, davvero, non era persona che potesse essere lasciata in balia delle insidie del mondo. Un sensitivo, di questi tempi, fatica a vivere una vita normale, non ci riesce un granchè bene, dilaniato com’è tra le urgenze materiali e i richiami delle sue sensazioni, con i piedi per terra, ma la testa lassù, a parlare con chi sa chi.
Gropina
Neri quel giorno ci portò a Gropina. La Pieve di S.Pietro, a Gropina, è una strana cattedrale. Prima di arrivare a Loro Ciuffenna, in collina, sulla destra, si trova la Pieve, lungo quella che era la vecchia strada romana che correva lungo l’Arno e collegava l’antica rete delle pievi valdarnesi, utilizzate dai pellegrini diretti a Roma. E’ una pieve strana, in primo luogo, perchè è piena di simboli pagani mescolati con i primi segni del cristianesimo. Basta guardare il suo pulpito.
Neri ci disse che in quel luogo, che era sempre stato al centro di una zona piena di energia come poche altre, era ancora viva una storia, che ci raccontò.
Molti secoli fa qualcuno seppellì in quella cattedrale, da qualche parte, un tesoro di monete d’oro e di oggetti preziosi, provenienti di sicuro da scorribande e ruberie. Quel qualcuno, raccontò, era ancora lì, a guardia del “suo” tesoro, segno di un attaccamento feroce alle cose terrene. Feroce e pesante. Tanto pesante da avere impedito a quella povera anima di staccarsi dalla terra e di andarsene via.
Neri ci spiegò che ci sono esseri umani talmente attaccati ai sentimenti terreni ed alle ricchezze, che, quando il loro corpo muore, l’anima resta intrappolata nel luogo in cui è vissuta. Quell’anima di Gropina in vita era stato forse un uomo terribile, così tanto che ancora oggi un sensitivo come Neri ne avvertiva la forte energia negativa. Così, appena il tempo di farci vedere l’interno della cattedrale, che eravamo già usciti, Neri avvertiva dentro di sè un gran freddo e la voglia irrefrenabile di allontanarsi da quell’energia oscura.
Noi, naturalmente, non avvertimmo nulla di tutto ciò, ma lui sì. Per questo era voluto uscire. “Preferisco -disse- fare due parole col sagrestano, che conosco, e che a quest’ora è dietro la chiesa, nel piccolo cimitero“, e sparì alla sua ricerca.
Noi sbirciammo dal cancellino, ma non vedemmo nessuno. Ci restò sempre il dubbio che anche il sagrestano fosse un fantasma. Lui, di certo, buono!
Monterosso.
Neri era molto devoto di S.Francesco.Ed era anche molto innamorato del mare. Neri trovò coniugati insieme il Santo e il mare a Monterosso, dove si trova una cappella dedicata a S.Francesco. E da quella cappella si domina il mare delle Cinque Terre. Neri, in vacanza, vi andava spesso, si raccoglieva in preghiera, meditava. Quel posto lo invitava al contatto con il cielo. Così ritrovava le forze per sostenere il peso della sua missione.
Davanti alla cappella, nella piccola radura da cui lo sguardo scompariva nel mare e il mare scompariva nell’infinito, lui si sedeva in posizione yoga, gli occhi chiusi, così come faceva sempre quando era sul mare, seduto su uno scoglio dalla curiosa forma di delfino. Cosa si dicessero, il cielo e lui, non è dato sapere. Ma una cosa è certa: ogni volta tornava da quegli incontri con la beatitudine negli occhi. E quando ci raccontava di quella beatitudine, ci insegnava in effetti come distaccarci dal proprio io e riprendere con lena un cammino di ricerca.
Un giorno volli andare a trovarlo in quel suo rifugio spirituale. In quel periodo andavo con la mia famiglia in vacanza d’agosto a Bonassola, che dista un niente da Monterosso, ed avevamo un piccolo gommone col quale distaccarsi dalla riva affollata e per nasconderci tra i flutti. Un giorno, dicevo, lo chiamai per dirgli che andavamo a trovarlo, sarei arrivato via mare col gommone. Lui mi disse che aveva un ombrellone e due sdraie proprio davanti a quel grande scoglio a due passi dalla battigia che tutti conoscono e incontrano appena usciti dalla stazione di Monterosso.
Fissato il luogo, decidemmo l’ora. Il tragitto da Bonassola a Monterosso fu fatto d’un fiato, appena il tempo di riempirci gli occhi del golfo di Levanto e del promontorio di Punta Mesco, ed eravamo già arrivati. A circa trecento metri dalla spiaggia spengemmo il motore, essendo proibito avvicinarsi alla riva, e facemmo grandi gesti con le braccia per farci riconoscere: Maria e Neri erano già sulla spiaggia, vicini al grande scoglio. Così gli detti voce per avvertirlo che ancoravo il gommone e andavo da lui sulla spiaggia, ma lui subito gridò con voce decisa: “No, no, vengo io da voi! Cosa credi, so nuotare, sai?…“, e non fece in tempo ad infilarsi in mare che già era accanto al nostro gommoncino! Come avesse fatto a fare quel tragitto in un istante lo sa solo lui.. Forse, temendo che si pensasse che un campagnolo come lui non avesse dimestichezza con l’ acqua di mare, aveva chiesto aiuto ad un delfino!
Il vestito di lino bianco
Una sera d’estate, il cielo limpido e l’aria tersa spinsero Neri a fare un giro in auto, cosa che non gli piaceva molto, perchè alla guida era distratto. Gli succedeva così spesso, ormai, di stare a parlottare con chi sa chi, che perdeva un pò di vista il controllo della situazione.
Quel giorno Neri arrivò da noi, invitato a cena. Era la prima volta che entrava in casa nostra e ovviamente noi eravamo anche incuriositi, perchè in cuor nostro ci aspettavamo di sapere cosa lui avrebbe visto o sentito, lì da noi. Ma non glielo chiedemmo, per non infastidirlo. Entrò, fece pochi passi, un’occhiata in giro, qualche passo in salotto. Eravamo tutti in silenzio. Fu lui a romperlo, esclamando:
“Vedo una figura, un bell’uomo, alto, con un vestito di lino bianco di quelli che usavano a fine ottocento, un cappello tipo Borsalino bianco, grandi baffi, e il sigaro in bocca. Sta girando per casa, ma non è sempre qui, viene qualche volta, come a rivedere i luoghi della sua vita. E’ buono, ed emana una dolce energia positiva. Deve essere il nonno o lo zio di qualcuno di voi, uno che è vissuto qui“.
Fu un attimo individuare in quella figura il nonno di mia moglie, che era vissuto in quella casa per primo dopo la sua costruzione, alla fine dell’ottocento, e lì aveva dipinto i quadri per cui era rimasto famoso. Ma Neri non poteva certo sapere del nonno!
Come non poteva sapere che a Genova, una cugina di mia moglie ha un grande autoritratto, in cui il nonno indossa un abito di lino bianco, con un cappello Borsalino bianco, dei grandi baffi, e il sigaro in bocca!
I funghi e la pizza
A Neri ed a Maria è sempre piaciuto molto camminare nella natura, dicevano che è il modo più semplice per stare con gli esseri del cielo. Ovunque si trovassero, facevano lunghe passeggiate: in mezzo ai boschi, in collina, al mare. In quelle passeggiate Maria mostrava una delle sue qualità, quella di sapere annusare l’aria e trovare i funghi, specialmente i porcini. E sempre nuovo era lo stupore, un pò stizzito e un pò geloso, di Neri a quei ritrovamenti.
Noi, che abbiamo fatto loro compagnia in diverse occasioni durante quelle gite nella natura, restavamo stupiti per quei porcini che spuntavano nelle mani di Maria come dal nulla. E il bello era che Neri andava di solito avanti, a far la strada, poi noi subito dietro, e Maria a chiudere, per cui passavamo tutti per gli stessi punti, ma solo Maria vedeva i porcini! O forse loro, i porcini, apparivano per incanto per compiacerla! Fatto sta che Neri ci restava un pò male. “Ma come –diceva- di lì ci sono appena passato, e non li ho visti!“
Ma la verità era che Neri quella sua testa l’aveva sempre rivolta in alto; per quello i funghi non li vedeva! Perchè, è vero, i funghi non li trovava, ma in compenso li mangiava. E non solo in casa, cucinati da Maria, ma anche fuori. Gli piacevano molto le trattorie di campagna, quelle modeste che sanno di viandanti che si danno del tu e ti trattano con amicizia, tutta gente semplice, che ti sorride quando arrivi.
E gli piacevano le pizzerie, una in particolare, al’ingresso del paese di Loro Ciuffenna, perchè facevano una pizza ai funghi strepitosa. Anche noi ci siamo andati spesso con lui, e ogni volta quegli incontri erano una festa: affettati misti, tortelloni fatti in casa con vari sughi, specie il ragù, lombatine… Oppure una pizza ai funghi, appunto, che non stava dentro al piatto, bollente e profumata.
In quella trattoria Neri ci andava volentieri perchè in quel periodo ormai il paese lo aveva accettato, non lo considerava più una specie di stregone, additandolo al vicino, anzi lo ammiravano e lo rispettavano perchè aiutava tanta gente a ritrovare la salute e la serenità. E così, in quel ristorante, dove tutto il paese prima o poi passava, notabili in testa, Neri era ormai conosciuto e salutato con molto calore.
Ma lui certo non ci andava per questo. Non gli importava la notorietà, anche se gli faceva piacere. Lui ci andava per stare un pò con noi. E per mangiare la pizza ai funghi!
Il gatto nero
I gatti neri hanno sempre avuto una brutta fama. Ma, come tante altre credenze, forse questa è sbagliata, e comunque del tutto immeritata. Pare che la brutta nomea derivi da una vecchia storia, risalente al medioevo, quando i pirati arrivavano sulle coste del Tirreno di notte, per predare e saccheggiare. A quell’epoca usavano tenere sulle navi molti gatti, perchè erano utili per mangiare i topi e salvare così le provviste.
Succedeva, poi, che, quando le navi accostavano e gettavano i ponti per scendere a terra, i gatti scendessero con loro. Di notte i gatti sembrano tutti neri, e così li vedeva la gente del posto: tutti neri. E se, di notte, vedeva quei gatti, la gente capiva che erano arrivati i pirati! , e con essi la sventura!
Non si sa, ovviamente, se questa credenza abbia un senso, oppure no. Pare alquanto inverosimile, ma tutto può essere. Fatto sta che il gatto nero non solo non c’entra nulla con la sfortuna, ma addirittura è un animale che gli antichi adoravano come una divinità. E il gatto, specie quello nero, piaceva tanto a Neri.
In un rovente giorno d’estate, mia figlia ebbe uno scontro frontale in auto all’Elba. Aveva la patente da poche settimane. Correva un pò allegra come solo a quell’età si fa, per andare in un campeggio. Trovò sulla sua strada, una strada stretta alle Calanchiole, verso il golfo di Lacona, un’altra ragazza giovane come lei, anche lei fresca di patente e anche lei che correva un pò allegra…!
Un incidente frontale a sessanta chilometri l’ora non è uno scherzo, tanto che l’altra ragazza ne ebbe per mesi. Mia figlia invece non si fece neanche un graffio. Oltre allo spavento (e, spero, alla lezione ricevuta), ne ricavò solo un collare cervicale per una settimana, ma senza altre conseguenze. Appena arrivati all’ospedale di Portoferraio, dove era stata portata, la trovammo che era sul portone del Pronto Soccorso, ad aspettarci, con questo collare e lo zainetto in mano, minimizzando per non farci spaventare.
La mattina dopo andammo dal carrozziere a vedere la sua auto, una vecchia Peugeot di piccola cilindrata: aveva il muso completamente schiacciato, fino al parabrezza, ridotto a circa mezzo metro di lamiere contorte. Ma una cosa notammo immediatamente: su quel mezzo metro di lamiere c’era, sdraiato a sfinge, un bel gatto nero, dal pelo lucido, che ci guardava sornione. Tutti e tre pensammo immediatamente a Neri. Quello era un messaggio! Era Neri che ci stava dicendo che lui si era messo in mezzo: tra quel frontale e Laura, a sua protezione!
Da quella volta, numerosi sono stati gli episodi simili. Ogni volta che abbiamo avuto una situazione critica, un problema che riguardava nostra figlia, quando era lontana da noi, ogni volta abbiamo sempre incrociato un gatto nero! Come a dire: “State tranquilli, ci sono io, non succederà nulla”. E questo ci è capitato, ripeto, tantissime volte.
Anche perchè, anni prima, alla morte di un nostro gatto, Maria e Neri ce ne avevano regalati ben tre, di cui uno nero. Ed è da quella volta, da quel gatto nero, che abbiamo avvertito la sua protezione, come se Neri, nei momenti di bisogno, si manifestasse così per noi. Può darsi che le nostre siano fantasticherie, ma forse non tanto.
Ma c’è una storia, che riguarda un gatto nero, ancora più intrigante. A Loro Ciuffenna il primo gatto di Neri e Maria era nero. Quando loro andavano via, stavano attenti a lasciarlo dentro casa, perchè, abitando vicino alla campagna, non volevano che il gatto scappasse o si perdesse. Succedeva, però, che, tornando, lo trovassero fuori della porta di casa! E allora l’uno diceva “Hai lasciato una finestra aperta?“, e l’altro rispondeva “No, forse tu l’hai chiuso fuori!“. E così ogni volta: perchè la cosa si ripetè molte volte. Lo lasciavano dentro e lo ritrovavano fuori. O viceversa.
Finchè un giorno, a Neri in trance comparve un suo fraterno amico che svelò l’arcano: quel gatto era suo, era il suo gatto che si era materializzato e che ora viveva in casa di Neri! Ed era per questo che riusciva anche a passare attraverso i muri!
Non avevo mai avuto l’ardire, prima d’ora di scrivere di Neri e su Neri. Poi, d’improvviso, in una notte d’estate, di plenilunio, ho sentito come una urgenza, quella di mettere sulla carta i ricordi di lui, per me solo, per non dimenticarli. Poi ho aggiunto alcuni suoi pensieri, qualche foto, qualche brano della sua saggezza. Da lì i ricordi, nati in disordine, sono via via venuti crescendo, si sono dilatati, hanno parlottato tra loro, si sono organizzati, si sono dati dei titoli, e sono diventati -anche con un pò di presunzione- un racconto compiuto. Di cui queste storielle sono solo una minima parte.
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E’ un bel racconto, complimenti per lo stile scorrevole. Chissà come sarà stupendo il testo completo? Il personaggio straordinario di Neri ci accompagna in un mondo e in ambienti fatto di tante cose di cui abbiamo perso la capacità di apprezzare. Auguri, Lanfranco, per essere tra i venticinque racconti da inserire sull’Antologia.
Emanuele.