Premio Racconti nella Rete 2014 “Il the delle 5” di Marco Sacchetti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Cadente. La prima parola che mi viene in mente quando mi guardo allo specchio è questa: cadente. No, non come una stella. Cadente è la pelle grinzosa che mi ricopre la faccia come un sudario flaccido, un serie infinita di pieghe oblunghe che mi colano giù dalla fronte, dagli zigomi, dal mento. Poi, il collo è solo un ramo secco con la corteccia disciolta dall’acido dell’età, le spalle sono curve in avanti, il seno un vago ricordo di rotondità sepolte. La pelle casca giù da tutte le parti, sembro un sacco svuotato del suo contenuto, inutile, non riutilizzabile. Laggiù, dove una volta c’era la fonte dei divertimenti più sensuali, è rimasto un vuoto a perdere. Le mie gambe erano così voluttuose, le mettevo in mostra perchè lo meritavano: ora le nascondo sotto calze spesse un dito. Per via delle varici. Ecco, questo è il ritratto perfetto e decadente del mio corpo, l’ultimo riflesso di Dorian Grey prima di morire. Ah, dimenticavo i capelli, i miei splendidi capelli biondi e fluenti, che sono diventati una massa informe di lanugine bianca come la neve, uno zucchero filato andato a male. Adesso il quadro è completo. Tanti auguri a me e ai miei 85 anni. Al diavolo, altro che cento di questi giorni, non vorrei viverne uno di più in questo corpo in rovina! Per fortuna i dottori mi hanno dato buone notizie: il tumore che mi sta divorando dall’interno non mi lascerà ancora molto in questo mondo, al massimo un paio di mesi ancora. Oh, ma io mi sono preparata per benino all’atteso trapasso. Non voglio certo rimanere sola quando mi troverò di fronte l’eternità dei tempi.
Il primo che ho deciso di portare con me è stato George. Sapete, è il mio gatto persiano. Cioè, era. Non è stato difficile, del resto mica poteva protestare più di tanto. Un pò di veleno per topi nella ciotola del latte e il gioco è fatto. Più semplice di così. Ci vediamo di Là, George, potrai farmi le fusa per tutto il tempo che vorrai dopo. Più difficile è stato con Philip. Philip è mio marito da 60 anni. Cioè, era. Più grande di me di 5 anni, Phil era a letto malato da più di 2 lustri ormai, non parlava più, nemmeno mi riconosceva. Mi manchi molto Phil, ma alla fine ti ho fatto un favore, caro, vedrai che staremo bene dall’altra parte, non ci saranno scocciature di prostata, di vene varicose e morbi fastidiosi. Staremo proprio bene, amore. Per sempre. Il veleno per topi a Phil gliel’ho messo nel thè delle 5, perchè alle 5, da bravi inglesi, si prende il thè a casa nostra. Non c’è stato giorno che abbiamo saltato questo importante appuntamento con la tradizione. Una domenica, dopo la morte di Phil, mi sono venuti a trovare mia figlia Helen con al famiglia, il marito Peter e la figlioletta Susan di 12 anni. Mi fa sempre molto piacere trascorrere del tempo con loro, sanno decisamente come rincuorarmi, come tirarmi su di morale, mi aiutano con le faccende, e poi la mia nipotina è così dolce con me. Sono veramente adorabili. Cioè, erano. Anche a loro ho offerto il mio thè corretto. Quando sono tornati verso casa la loro auto ha sbandato in curva e sono finiti in mare: tutti annegati. Probabilmente il veleno non aveva nemmeno finito il suo effetto. Credo che saremo proprio una bella famiglia così, riuniti tutti insieme. Sì, mi ringrazieranno, ne sono certa.
Poi, un giorno, non ci crederete, mi ha fatto visita Louise. Louise è la mia vicina di casa. Mai una volta che si sia degnata di venire a prendere il thè insieme, sempre chiusa in casa quella vecchia zitella, neanche un piccolo favore da parte sua, da buoni vicini che si rispettino. Nulla di nulla. E mi viene fuori dopo la morte dei miei cari per consolarmi, dice lei, se ho bisogno di qualcosa non devo fare complimenti. Certo, brutta megera, non mancherò sicuramente, come tu non hai mancato di vantarti della tua villa che tua sorella ti lascerà in eredità, dei tuoi nipoti che si sono laureati a Cambridge, e di quanto sei brava a cucinare il pollo alle verdure, e tante altre amenità del genere. Un bel thè con la mia ricetta speciale scommetto che non l’avevi mai bevuto, eh? Ho fatto un favore al mondo spedendoti nell’Aldilà, e non avrò certo paura di incontrare il tuo brutto muso, i tipi come te non possono che finire all’Inferno. L’ha trovata la cara sorella ancora nel letto, morta da settimane, e non penso le sia dispiaciuta molto la sua perdita. Ho fatto un favore anche a lei.
Sono passate 2 settimane dalla partenza della cara Louise, il tumore sembra mi stia dando un pò di tregua. Non vomito pù come prima, posso mangiare quello che voglio e dormo un pò di più la notte. Devo dire che mi sento anche meno stanca di prima, riesco perfino a stirarmi tutti i vestiti senza fare pause. Sarà l’estate alle porte, l’aria che ricomincia ad essere gradevole, il sole che fortifica le ossa e l’umore… E’ strano, sapete, ma credo che non mi vada più tanto a genio l’idea di andarmene da questo mondo. Pare che l’estrema unzione che ho regalato finora mi abbia per così dire… ecco, rinvigorito. In pratica, ho tolto agli altri per dare a me stessa. Un Robin Hood decrepito alla rovescia. Sì, io voglio vivere, dannazione, voglio vivere ancora! I miei cari possono aspettarmi ancora un pò, tanto non posso mica scappare dal mio destino. Nessuno può farlo. Ma il tumore potrebbe regredire, lasciarmi altri 6 o 7, o -perchè no?- anche 10 anni di vita! Per pagare e morire c’è sempre tempo, recita un vecchio adagio. E io di debiti non ne ho.
Suonano alla porta. Strano, non sto aspettando nessuno. Sarà un altro di quei venditori, quelli di cui non ci si deve fidare, sempre pronti a imbrogliare il prossimo, soprattutto se è anziano, che il diavolo se li porti. L’orologio segna le 5, è proprio l’ora del thè. Potrei offrirgliene un pò, di quello a ricetta speciale, così imparerebbe ad andare in giro ad ingannare la gente. Suonano ancora. Se proprio insiste, allora aprirò con vero piacere.
Mi avvicino all’uscio, lo socchiudo un pochino per guardare. “Buona sera” mi fa il poliziotto fermo sulla soglia. “E’ lei la signora Milford?” “Sì, sono io” gli rispondo incuriosita. Un lieve timore mi invade la pancia. “Posso entrare, signora? Le vorrei cortesemente rivolgere alcune domande in merito alla scomparsa della signora Louise Stevenson, la sua ex vicina di casa”. “Certo, entri pure, agente, non c’è problema”. Lo faccio entrare. Un brivido mi corre lungo la schiena, ma non fa freddo, è maggio inoltrato. Il poliziotto si accomoda sulla poltrona, la luce diafana che irradia dalla finestra di fronte illumina il suo bel viso giovane, senza rughe. “Vengo subito al dunque, signora Milford: che rapporto aveva con la signora Stevenson?” “ Praticamente, di nessun tipo: la vedevo solo quando usciva di casa per stendere il bucato o prendere la posta. E’ venuta da me solo quando ho perso mia figlia Helen, per consolarmi un pò, a detta sua. Abbiamo preso un thè. Nient’altro.” Ho un fortissimo stimolo a urinare, ma cerco di trattenermi. Inizio a sudare. “Vede, signora Milford, dall’autopsia che è stata richiesta dalla sorella della defunta signora Stevenson è risultato che la morte è stata causata da avvelenamento. Un comune veleno per topi, a quanto pare. Ne sono state rinvenute tracce nel sangue e nei reni, per quel che ne è rimasto, cioè.” Chiudo gli occhi per un attimo. Il poliziotto rimane in silenzio, credo che stia studiando la mia reazione, sento il suo sguardo accusatorio su di me. Sento anche qualcos’altro. Come una specie di lanugine che mi avvolge le spalle, la pelle delle mani, le gambe. Riapro gli occhi. Vedo il mio corpo cosparso di ragnatele grigiastre, mi solleticano lievemente mentre alzo lo sguardo sul giovane agente di fronte a me. La sua faccia è un ghigno sanguinolento. E’ sprovvisto di labbra, un occhio gli ricade sulla guancia lacerata, dappertutto ha come delle abrasioni, delle ustioni di terzo grado che in certi punti rivelano il bianco delle ossa. I vestiti sono letteralmente a brandelli. Quando parla i suoi denti fanno un rumore liquido, come se si dovessero staccare da un momento all’altro. “ Credo proprio che lei mi debba seguire alla Centrale, signora Milford, vorremmo farle ulteriori domande in merito alla questione. Alla luce di quanto è stato riscontrato verranno anche riesumati i corpi dei suoi famigliari per poter effettuare un’autopsia che accerti la reale causa di morte.”
E’ andata. Sono fatta. Beccata, fottuta. Cosa speravo? Prima o poi avrebbero scoperto tutto, questi ficcanaso. Ma se credono che passi il poco che resta dei miei giorni in una cella puzzolente si sbagliano di grosso. Oh, se si sbagliano! “Dobbiamo andare subito? Dovrei sistemarmi un attimo, prima. Sa, alla mia età è necessario un pò di tempo prima di uscire di casa in maniera decente.”
Il poliziotto mi squadra col suo unico occhio rimasto, lucido e inespressivo. Poi si alza e si avvia verso la porta nell’oscurità crescente. Le pareti della casa, della mia casa, sono tutte scrostate e piene di crepe. Le ragnatele sono dappertutto, e la polvere crea una sorta di foschia biancastra e umida. “Va bene, signora Milford, le concedo 5 minuti. La attenderò fuori”. Uscendo chiude la porta dolcemente, ma un cardine si stacca ugualmente dal muro con un rumore sinistro.
Mi alzo e mi dirigo in cucina. La teiera è già sul fornello, piena d’acqua. Del resto, come ho detto, alle 5 è l’ora del thè. Non rimane che aggiungere il mio ingrediente segreto.
Miei cari, tra poco sarò da voi. Aspettatemi.
bel testo davvero, mi è piaciuto molto come hai reso l’idea di vecchiaia! e poi mi ha ricordato, oltre che Wilde (ovviamente) “La Roba” di Verga, dove Mazzarò, in punto di morte, vuole portarsi nell’aldilà tutti i suoi beni terreni. Mi è piaciuto!
Non avevo pensato a Verga per la verità, “La roba” ricordo di averlo letto alle scuole medie, ma evidentemente si è manifestato come reminiscenza nel mio racconto. La descrizione estetica della vecchiaia mi è stata ispirata osservando gli anziani attori del film di Dustin Hoffmann, “Quartet”. Grazie Mattia!
Classico noir,
ben scritto,
da non leggere assolutamente
verso le 5 del pomeriggio,
sorseggiando una tazza di tè…
🙂
Geniale e terrificante al tempo stesso. Credo che d’ora in avanti il mio “thé delle cinque” lo berrò pensando alla tua signora Milford… 🙂
Incipit molto bello, narrazione efficace che non allenta mai la tensione.
Arsenico senza merletti… 🙂
Molto verosimile: d’ora in poi guarderò la mia tazza da tè con sospetto.
Bellissima la descrizione della vecchia signora Milford, rende in pieno la realtà della sua situazione. Così come reale sembra la “lista della spesa” dei cari passati a miglior vita grazie alle sue amorevoli intenzioni. Comunque ho sempre sostenuto che gli inglesi nascondessero qualcosa dietro la tradizione del tè alle 5 … 🙂
Grazie veramente a tutti dei complimenti! Mi lusingano molto, e mi sorprende pure il fatto di aver colpito nel segno con un semplice the…
Marco, la signora Milford è inquietante ma il giovane poliziotto non è da meno; chissà come avrebbe risposto all’invito del tè delle cinque? Ma poi era un poliziotto? Sorrisi per atmosfere delittuose ma giunge la resa dei conti. Complimenti Marco.
Emanuele.
Complimenti Marco, non riesco più a bere il thé senza sorridere per il tuo racconto. A presto, Liliana
Grazie Emanuele e Liliana! Il “mio” thè evidentemente ha colpito molto anche la giuria tecnica del premio, ma non vorrei condizionare troppo le abitudini alimentari… Temo che la Lipton mi faccia causa a questo punto!
Humor nero, come quello degli inglesi, che bevono il the alle cinque e ammazzano col sorriso sulle labbra. La signora Milford è inquietante cinica ma pure divertente. Cocktail fatale, quasi quanto il suo the corretto! Complimenti, mi è piaciuto leggerlo!!
Grazie Matteo, piacere mio!