Premio Racconti nella Rete 2014 “In 280 giorni” di Giovanni Caroli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Sono sveglio.
Lentamente prendo coscienza di me, ma non dello spazio che mi circonda.
Tutto è immerso in un buio totale, non riesco a distinguere né forme, né colori, né suoni.
Mi sembra come di essere sospeso in un fluido, di galleggiare in un qualche genere di liquido.
Ho paura.
Il mio cuore batte all’impazzata, lo sento martellare nel petto.
Non respiro, ma stranamente non ne sento il bisogno.
Mi abbandono al piacevole tepore che mi avvolge cercando di calmarmi, forse questo è solo un incubo e mi devo svegliare. Provo a riaddormentarmi.
Ci riesco.
Sono nuovamente cosciente.
Il cuore batte velocemente nel petto, sempre con quel suo ritmo costante. Ho meno paura adesso, anche se ancora non ho ripreso possesso del mio corpo, dei movimenti.
Poco fa ho sentito qualcosa, come una voce ma era ovattata, distante, e non ho capito cosa stesse dicendo ma mi sono sentito leggermente meglio dopo.
Adesso mi sento meno solo.
Un incubo mi ha svegliato: c’erano delle persone vestite di bianco, mi dicevano di restare tranquillo, che sarebbe andato tutto bene. Dicevano che mi avrebbero messo in un posto per un certo periodo, al termine del quale mi avrebbero tirato fuori da li. Mi hanno assicurato che non mi sarebbe successo nulla di male e che una volta fuori avrei dimenticato tutto.
Credo che stiano conducendo un qualche genere di esperimento sul mio corpo, ma non ho idea di cosa tratti.
Ho paura, mi sento così indifeso…
Di nuovo sveglio. Riesco a muovere le mani adesso, ma i movimenti sono imprecisi, sgraziati. Non riesco a coordinare nulla, ogni volta che provo a muovere le braccia loro scattano in modo inconcludente. Mi sento come se mi stessi lentamente riprendendo da un coma.
Poco fa mi sono accidentalmente toccato sul ventre, ho notato che un grosso tubo ne fuoriesce. Probabilmente mi tengono in vita tramite di esso, per l’aria ed il cibo.
Per questo nonostante non respiri non mi sento soffocare.
Questo disgustoso test credo abbia oltrepassato il limite consentito dalla bioetica. Voglio andarmene da qui. Provo ad agitarmi, scalcio, ma niente da fare.
Sono in gabbia.
Che sia un nuovo genere di macchinario per tenere in vita le persone? O qualcosa che aiuti a riprendersi dal coma?
Riesco a sentire meglio adesso, anche se i suoni sono sempre distanti ed ovattati. Dev’essere a causa di questo schifoso liquido in cui sono immerso. Ho provato ad assaggiarlo prima, ha un saporaccio tremendo.
Credo di essere in una specie di incubatrice. Probabilmente stanno testando una qualche nuova tecnologia per una gravidanza artificiale, senza il bisogno dell’utero di una donna.
Emette un suono ritmico, probabilmente è il motore che lo alimenta a produrlo. Sembra un tamburo, concilia il sonno.
Mi abbandono alla stanchezza ed a quel suono incessante.
Una voce mi ha svegliato. Appartiene ad una donna. Pare che stia fuori da questo macchinario notte e giorno, probabilmente deve essere una degli scienziati incaricata di tenere sotto controllo l’andamento di questo folle esperimento. Ha una voce dolce però, mi parla spesso. Mi dice sempre che andrà tutto bene, che devo avere pazienza, che anche lei non vede l’ora che mi tirino fuori di qui.
La fa facile lei, quello intrappolato in questa follia sono io.
Al diavolo… assesto un bel calcio a questa dannata gabbia. La sento ridere, dice di calmarmi. Mi canta una nenia dall’effetto soporifero.
Mi addormento.
Oggi mi sento più attivo del solito, ho voglia di muovermi, infatti scalcio e mi stiracchio spesso. Un’altra voce si è unita a quella della donna: è un uomo stavolta.
Non lo sento spesso.
Parlano, mi sembra di capire che deve assentarsi spesso per cause esterne. Deve essere sicuramente un qualche genere di supervisore che viene a sincerarsi del buon esito del programma. Sento una pressione dall’esterno sulle pareti della macchina, ma non riesco a vedere nulla, è tutto troppo buio. Io gli assesto un bel calcio, mi infastidisce che mi trattino come una cavia da laboratorio, li sento ridere.
Devono aver manipolato in qualche modo l’incubatrice perché il suono del motore pare stia accelerando. Inoltre ho come la sensazione che tutto si muova attorno a me.
Mi sento sbalzato da una parte all’altra, come fossi chiuso in una lavatrice.
Vorrei potergli urlare di smetterla di agitare il macchinario, ma non credo possano sentirmi.
Finalmente tutto si placa. Anche il rumore martellante dell’incubatrice sta rallentando. Avverto come una piacevole sensazione di rilassatezza, come quando sei esausto e ti sdrai su di un letto. Mi lascio cullare da quella sensazione, addormentandomi.
La donna oggi mi ha annunciato che faremo una visita di controllo, per vedere se “li dentro” è tutto a posto.
Credo che per li dentro intendesse “qui dentro”.
Ancora una pressione dall’esterno.
Oggi sono svogliato, non mi va di reagire.
Mi appisolo.
Ho fatto ancora quel sogno, quello con i tizi vestiti di bianco. Sono riuscito a capirci qualcosa in più: pare che sia proprio come avevo immaginato, stanno sperimentando qualcosa a che fare con le gravidanze.
Quindi questo è ciò che si prova ad essere nel grembo materno. Devo dire che una volta fatta l’abitudine non è male.
Ci si annoia un poco però. Fortunatamente alla donna piace la buona musica, ieri abbiamo ascoltato Mozart.
Dice che più tardi, se faccio il bravo, metterà Beethoven.
Mi sono chiesto cosa intendesse per “fare il bravo”, sono arrivato alla conclusione che non le piace molto quando scalcio troppo. La cosa mi sorprende, visto che non sono mica nel suo di utero.
Beethoven inizia la sua quinta sinfonia, a metà del secondo movimento mi addormento.
Oggi è successo qualcosa la fuori. Ho sentito la donna ed il supervisore urlare. Hanno litigato parecchio.
Credo che abbiano una relazione, lei lo accusava di avere un’altra donna. Sostiene che non la guarda più come prima, e che passa troppo tempo lontano da lei. Sembrava una puntata di una telenovelas argentina.
Che noia.
Getto un paio di calci, giusto per ricordare loro che non sono soli, e che potrebbero anche andare a litigare da qualche altra parte.
La donna scoppia in lacrime, la sento frignare. Lui pare essersi calmato.
Stanno facendo pace, è anche peggio di quando litigavano…
Ancora quella sensazione che tutto si muova, ma questa volta è più dolce. Mi sembra quasi di essere cullato. Prendo sonno all’istante.
Non ho idea di cosa abbiano fatto alla macchina ma mi sento più stretto. Probabilmente stanno simulando la crescita del feto nell’utero. Ho sempre meno spazio vitale, ormai non riesco più a stendermi completamente. Spero che la fine di tutto questo arrivi il prima possibile, sono esausto.
Lo spazio vitale attorno a me ormai si è ridotto notevolmente, non riesco quasi più a muovermi.
Mi chiedo quale sia il senso di una cosa simile, se hanno creato un utero d’acciaio potevano renderlo più comodo. Le pareti mi si sono appiccicate sulla pelle, non le sopporto più. E non sopporto più nemmeno l’assistente qui fuori: non fa altro che lamentarsi.
Si lagna che è stanca, che ha le caviglie gonfie, che si sente grossa come una mongolfiera. Potrebbe evitare di rimpinzarsi di cioccolata, come l’ho spesso sentita fare, davanti alla televisione.
Oggi non mi sento molto bene, il tubo dal quale mi nutrono mi si è attorcigliato attorno al collo. Mi sta impiccando lentamente.
Ho smesso di muovermi da parecchio, sento la donna fuori preoccuparsi di ciò.
Vorrei farmi sentire, farle sentire che nonostante tutto sto bene, ma non ci riesco.
Mi mancano le forze.
C’è agitazione li fuori, un gran trambusto. Ho sentito una voce nuova, credo sia di un qualche tipo di medico che ha definito il mio attuale stato “sofferente”. Ci ha preso in pieno, è proprio così che mi sento. Spero facciano qualcosa al più presto.
Ho sentito parlare di nuovo l’uomo, dice che devono intervenire subito, prima che sia troppo tardi.
Spero che si sbrighino, non credo di resistere ancora a lungo.
Sta succedendo qualcosa, pare abbiano tolto il tappo a questa strana vasca molliccia in cui sono rimasto sospeso tutto questo tempo.
Qualcosa la sta squarciando, vedo una luce farsi largo nel buio che mi ha avvolto tutto questo tempo. Due mani mi afferrano e finalmente mi tirano fuori da quella gabbia.
Una mano mi colpisce, provo ad urlargli contro ma sento i polmoni aprirsi di colpo.
L’aria li riempie, fa male.
Urlo.
Sento battere le mani di gioia.
Poi mi ficcano un tubo in bocca, mi aspirano i resti di quel liquido nauseabondo in cui sono stato in ammollo.
Vorrei solo che mi lasciassero in pace.
Mi tornano in mente le parole di quel sogno, quello che feci tanto tempo fa. Presto avrei dimenticato tutta questa esperienza.
Mi sollevano e mi accompagnano dalla donna che mi ha assistito tutto questo tempo, pazientemente, amorevolmente.
La donna che mi ha consolato nei momenti tristi, quando ero spaventato, quando mi sentivo solo.
Sento i ricordi svanire, presto di tutto questo viaggio non rimarrà nulla.
Ma prima che accada un ultimo pensiero carezza la mia mente: una parola soltanto, che credo porterò dentro di me per il resto della mia vita.
“Mamma…”
Che dire? Sotto il profilo medico: nulla da aggiungere perché credo che tu sia un esperto. E’ un “essere informato” sul suo stato e ripercorre le fasi della crescita “nell’utero d’acciaio “; dimenticherà quelle fasi dopo la nascita scordando il suo travaglio e quello della madre. Dopo poche righe si capisce il titolo e si comprende l’argomento. Bravo.
Emanuele.
Il racconto mi ha molto suggestionato. In certi passaggi mancava l’aria anche a me. Sei stato molto bravo a rendere l’idea di quel che proverebbe un bambino prima di nascere se avesse consapevolezza di ciò che gli sta intorno.
Angela
Questa è una delle poche storie che ho letto su questo concorso dove il finale è ben chiaro fin dall’inizio e il lettore sembra stare sempre un passo avanti a chi narra. Questo genere di racconto a mio avviso è molto impegnativo da costruire, perché comunque anche se il lettore accetta la sfida di leggere qualcosa che sembra scontato, il colpo di scena finale se lo aspetta di sicuro, se non altro per dire ” ma guarda te… credevo finisse in questa maniera invece…” Interessanti le descrizioni e l’atmosfera che hai creato, ma il finale troppo scontato penalizza il tuo racconto.