Premio Racconti nella Rete 2014 “Freccia” di Valentina Carradossi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014“Tender is the touch
Of someone that you love to much”
Tender, Blur
Si apriva tutto con una nota musicale. Un Sol, poi seguitava con un Si, un Re, di nuovo un Sol, Si, Re, cambiava poi con Sol, Do, Mi, Sol, Do, Mi, Mi, Re, Sol, Si, Re, Sol, Si, Re, Sol, Si, Re.
Cominciava tutto da qui, da una melodia allegra, vivace e giocosa. Vibrante e dalle radici lontane. In una fila di note semicrome che si rincorrevano saltellando proprio come una rana: la protagonista della nostra storia.
La Rana freccia, un anfibio che viveva nella foresta pluviale delle Ande occidentali colombiane, era identica alle altre della sua specie: un esempio perfetto di aposematismo e per chi non conoscesse il significato, sarò felice di spiegarlo.
Gli animali Aposematici hanno come caratteristica la colorazione vivida e di tinte accese di una parte o dell’intero corpo ai fini di avvertimento contro possibili predatori.
Alcuni di tali animali sono tossici, velenosi e mortali in molti casi, oppure hanno solamente uno sgradevole sapore.
Naturalmente l’animale di cui trattiamo in questa storia apparteneva alla prima categoria.
La nostra rana era probabilmente l’animale più velenoso di cui io abbia notizia e non necessitava di nessun stratagemma o rito per ammazzare, ricoperta com’era di questa potente neurotossina che produceva per tutto il corpo, bastava soltanto un lieve tocco della sua pelle, per morire in pochi secondi.
Aveva un manto di un giallo lucido e vivo, macchie nere disordinate dalla testa alla schiena e delle zampette, sia posteriori che anteriori, di un acceso azzurro mattino. Gli occhi erano neri e piuttosto grandi.
Era, perciò, una tipica rana freccia ma qualcosa in lei era diverso: amava la musica e soprattutto odiava il suo veleno.
Non voleva essere l’animale più letale della foresta, detestava i suoi quarantacinque millimetri di veleno che la costringevano a non toccare nessun altro animale che non fosse della sua specie.
Si sentiva sola la piccola rana freccia, incompresa dal resto del branco che non perdeva il suo tempo a porsi domande sull’esistenza.
Tutto questo ci riporta a parlare delle nostra melodia che cominciava con un Sol semicroma.
La nostra Rana Freccia, che chiameremo Freccia, amava le scampagnate e amava l’intrattenimento musicale degli umani che vivevano vicino al suo nascondiglio: Gli Indios Chocho.
Questa tribù era odiata dalla sua specie, perché spesso usava il veleno delle rane per rendere letali le loro armi appuntite.
Freccia al contrario delle sue compagne adorava intrattenersi vicino al villaggio e ascoltare la loro musica, alle volte triste e alle volte allegra.
Un giorno nel finire del pomeriggio, quando il sole stava calando lentamente tra gli alberi, la piccola Freccia sentì per la prima volta una melodia diversa dalle solite musiche che ormai conosceva a memoria.
Il motivo per giunta era creato da uno strumento mai sentito prima.
Proveniva dalla capanna che delimitava il suo territorio da quello dell’uomo.
Freccia si interrogò a lungo, scartando tutte le varie sonorità sentite e rievocando gli strumenti conosciuti, la musica continuava interrottamente, si fermava in una breve pausa e poi ripartiva dall’inizio.
Il coraggio non le mancava, si gonfiò un attimo respirando un po’ di umidità portata dal vento e tentò quello che nessuna sua simile aveva mai fatto: dal ramo dell’albero più vicino alla capanna saltò così in alto da atterrare sul tetto.
Scivolò dentro tramite una piccola fessura dei rametti che la costituivano e cadde su una pila polverosa di dischi musicali.
La capanna era illuminata da una piccola candela accesa che languiva e creava ombre sparse su tutte le superfici e Freccia per un attimo dovette abituarsi alla luce diversa.
Dopo qualche minuto vide da dove proveniva il suono.
L’umana vicino al cumulo di dischi se ne stava in piedi con uno strano strumento dorato e metallico stretto tra le mani.
Le sue dita premevano ogni tanto tre tasti, posti sopra vari tubi dorati che luccicavano alla luce della candela, soffiando attraverso un bocchino, emetteva il suono.
La donna indossava una lunga tunica color crema e muoveva ritmicamente il piede destro dando il tempo alla melodia.
Freccia si incantò per un attimo a guardare, riusciva a vedere il riflesso di se stessa tra i vari tubi che si intrecciavano per poi congiungersi alla fine dello strumento.
Spesso si era guardata nel riflesso della rugiada sulle foglie o nello specchio verde dei piccoli stagni creati dal terreno fangoso dopo la pioggia.
Spesso si era vista per quello che era: una piccola rana dai colori vivaci e mortali.
Quel giorno si vide diversa.
Attratta ancora dalla musica della donna chiuse gli occhi desiderando che le sue chiazze nere e rotonde si scomponessero e sparpagliassero su uno spartito, diventando note dolenti e canterine.
Immaginò di poter toccare quello strumento senza uccidere il suo proprietario, di toccarla senza farle sospirare un’ultima nota.
Diventò innocua e fatta solo di musica che tingeva una tela fatta di colori vividi.
La donna cessò di suonare quando uno scroscio d’acqua raggiunse il tetto della capanna.
Sospirò annoiata inarcando le labbra rosse di lavoro e amareggiata riprese a suonare un’altra melodia.
Per chi fosse una rana freccia e quindi innocuamente incompetente sulla musica umana, la donna prosegui suonando un pezzo di Dizzy Gillespie, A Night in Tunisia.
Freccia non era a conoscenza di dove fosse la Tunisia e nemmeno conosceva il motivo per cui la donna si trovasse in una capanna, con una tromba in mano, in mezzo alla foresta pluviale, fra una tribù di Indios Chocho.
Questo poco importava, contava soltanto che l’umana le stava regalando finalmente il tocco apparente di un abbraccio, cedendole la libertà che solo la musica può regalare.
Così, la piccola Freccia chiuse gli occhi e palpando le copertine dei dischi, con i suoi polpastrelli collosi, fece un viaggio incantato, dove tante mani si stringevano, dove tante bocche si baciavano, dove tante spalle si sfioravano e dove tante gambe si attorcigliavano in una danza chiamata amore.
Freccia in quel sogno vide una gigantesca banana che da gialla si colorava ad intermittenza in viola; volti disegnati da una penna a china che intonavano “Got to you into my life” dei Beatles; un aeroplano che sorvolava un’isola fatta da edifici a forma di tazze, piatti e saliere; un uomo con la chitarra che sorrideva felice in uno sfondo bianco; una candela accesa che corrodeva l’ossigeno in una stanza; una donna con un copricapo, una sigaretta in mano e le lacrime agli occhi che cantava mollemente; un neonato gettato in una piscina che inseguiva un dollaro; uomini deformati che posavano davanti a un’enorme congegno costituito da una scatola nera; un nano e un gigante che ballavano; un deserto con una roccia dove l’ombra di un bastone terminava in farfalla e in lontananza un uomo che a fatica si allontana da un ukulele; una donna nuda stesa su un letto con i tacchi a spillo e infine un uomo di pelle nera che con una grande bocca carnosa gridava sudando e gorgogliando: “ I hear babies cryin’, I watch them grow, They’ll learn much more than I’ll ever know. And I think to myself, what a wonderful world, Yes, I think to myself, what a wonderful world”
Mentre, immagini, parole e note, si accumulavano nella sua testa, non si accorse che la donna aveva interrotto la sua melodia e gridando di paura le aveva scaraventato addosso lo strumento.
Schiacciandola d’amore.
Ma è proprio così… L’amore ti fa fare cose stranissime e difficili (tipo saltare sul tetto di una capanna da un albero), poi ti fa vedere cose incredibili (tipo banane gialle e viola) ed infine se ti abbandoni ad esso, hai la possibilità di fare viaggi fantastici. L’unico problema è che se non vieni corrisposto, ne puoi rimanere ucciso! Freccia, prototipo di tutti gli innamorati. Grazie, mi sono divertito a leggerlo. PS: Satchmo è un grande!
Grazie Roberto per il tuo commento. Eh, sì Satchmo resta il numero uno. =)
Racconto tenero e fantasioso.
Quasi una favola colorata,
con finale noir.
🙂
idea originale e ho apprezzato i riferimenti musicali, dai Beatles ad Armstrong! Un po’ dispiaciuto per il finale (ma questo puà essere positivo) perchè mi ha colpito. Forse perchè “Schiacciandola d’amore” è comunque un’espressione che addolcisce la situazione 🙂
Grazie per il tuo commento 🙂
La mia ignoranza in materia di musica non mi ha impedito di apprezzare le canzoni degli ultimi cinquantanni, però non riconosco gli autori delle musiche. Mi dispiace di non poter capire il racconto nelle parti delle citazioni però il suono che esce da uno strumento ci mette in contatto con noi stessi, con la natura e con il mondo intero.
Emanuele.
Metafora dei pregiudizi. Se qualcuno ha sempre fatto del male, anche quando ha buone intenzioni viene combattuto. A volte, ucciso.
Angela