Premio Racconti nella Rete 2014 “Il cammeo maledetto” di Carla Menon
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014
Milano 2013
L’archeologo Lorenzo Alderani aveva appena lasciato lo studio, dopo l’ennesima seduta dallo psicanalista. Si diresse lungo il viale d’ippocastani per raggiungere il parcheggio dove aveva lasciato la sua auto nuova fiammante, che aveva voluto regalarsi a Napoli due mesi prima, mentre si trovava a lavorare a un importante scavo archeologico nei pressi di Pompei.
Sfortunatamente faticò a raggiungere il parcheggio, a causa della nebbia scesa all’improvviso, talmente fitta che Lorenzo fu costretto a fermarsi nei pressi di un vialetto secondario, dove si sedette su una panchina ricoperta di foglie. Tirò fuori dalla tasca una scatolina di legno intarsiata, su cui erano incise le iniziali del nome della donna cui era appartenuta: L. D. La aprì per controllare se ci fosse ancora il cammeo, che aveva acquistato da un noto antiquario di Firenze, accarezzò quell’oggetto antico e prezioso, controllando che non ci fosse nessuno nei dintorni, nonostante non si vedesse a un palmo dal naso; richiuse la scatolina, la ripose nella tasca del cappotto, alzò il bavero, si tolse gli occhiali dalla montatura dorata, e si avviò, spinto da uno strano presentimento verso il Carrobbio, un antico quadrivio dove sorgeva la Porta Ticinese Romana.
Milano, anno del Signore 1813
Il rumore degli zoccoli dei cavalli, lanciati al galoppo, la costrinse ad accelerare il passo. Nonostante fosse scalza e i piedi piagati le impedissero di correre, Maria raccolse tutte le forze rimaste per trovare una via di fuga, mentre la sagoma del suo inseguitore si stagliava minacciosa.
Nei pressi del Carrobbio, “…una delle parti più squallide e desolate…” di Milano, pochi istanti dopo un urlo lancinante ruppe il silenzio che avvolgeva quel luogo malfamato, dimenticato da Dio dove persino i lebbrosi avevano smesso i loro lamenti.
Quella notte, immersa in un’aura di mistero, nemmeno l’upupa intonò il suo canto funereo. All’alba, nel luogo in cui si era consumato il delitto, le uniche tracce della giovane donna rimaste erano un vestito di lino grezzo consunto, intriso di sangue ancora fresco e un piccolo cammeo, dimenticato sull’erba resa umida dalla rugiada del mattino. L’omicida aveva calcolato tutto con la massima precisione, e, mentre i gendarmi svogliatamente arrancavano nel buio, il delitto della serva di casa Borromeo sembrava destinato a rimanere un caso irrisolto.
Inaspettatamente, una settimana dopo la scomparsa del prezioso gioiello accadde un fatto insolito. Nella bottega dell’orefice Antonio Borsieri si presentò una giovane nobildonna in compagnia di un uomo abbigliato in modo curioso: sembrava un ribelle sfuggito dalle mani del boia in procinto di calargli sul collo la lama della ghigliottina. La donna indossava un abito nero in broccato che le conferiva un’aria matronale, nonostante il volto lasciasse intendere che non potesse avere più di venticinque anni. Si sfilò i guanti neri e li appoggiò sopra la vetrinetta ,dove in bella mostra l’orefice aveva posto alcuni cammei di pregiata fattura.
“ Li ho appena esposti e, come potrà controllare di persona, sono molto particolari. Vorrei comunque proporle questo, che è stato eseguito da un amico, abilissimo cesellatore. Pensate che l’ha creato per l’imperatrice Maria Luisa, la moglie di Napoleone Bonaparte. “ Le disse, tutto d’un fiato, arricciandosi i baffi all’insù, secondo la moda del tempo.
“Concordo con voi: sono senza dubbio bellissimi, ma questo – indicandogli il cammeo che l’orefice le aveva appena mostrato – è identico a quello che avevo ricevuto in dono da mio marito, il conte Heinrich Hoffman.”
Rispose, con voce tremula, nel rievocare il nome del defunto marito.
”E’ mancato una settimana fa, durante una battuta di caccia.” Aggiunse, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto sul quale erano incise le iniziali del suo nome: L. D..
“Non era mia intenzione ferirvi, gentile signora. Come posso farmi perdonare una simile indelicatezza?” Le chiese, rammaricato l’orefice, che avrebbe preferito che quel monile fosse sfuggito all’attenzione della donna, visto che lo aveva “recuperato”per una somma modesta da un fornitore non proprio raccomandabile.
“Gradirei che mi realizzaste un monile identico a questo.“– indicandogli il cammeo che le ricordava il dono del defunto marito e sul quale l’artefice aveva inciso, con raffinata stilizzazione, il profilo dell’imperatrice Livia Drusilla, moglie dell’imperatore Ottaviano Augusto.
“Ottima scelta, ma vi devo avvisare che non sarà pronto prima di due settimane. Devo recarmi a Parigi per qualche giorno, ma prometto che non vi deluderò. Nel frattempo v’inviterei a dare un’occhiata anche alla mia ultima creazione: si tratta di un gioiello pregevole di cui vado fiero-“ mostrandole una collana ornata di minuscoli coralli incisi.
Il pover’uomo non riuscì ad aggiungere altro: la sua voce divenne all’improvviso un rantolo mentre cercava di divincolarsi dal carnefice, ma la furia dell’omicida ebbe ancora una volta il sopravvento sull’ennesima vittima.
“Franz: dobbiamo andare.” Urlò la nobildonna al giovane amante, strattonandolo fuori dal negozio. “Attraversa la strada e aspettami sul lato opposto. Dirò al cocchiere di allontanarsi il più in fretta possibile, altrimenti ci troveremo in pochi minuti tutta la gendarmeria addosso. Pietro Borsieri è molto conosciuto qui in città e di sicuro la domestica non tarderà ad arrivare. Conosco quella vecchia strega: è capace di mettersi a urlare come una pazza. Non vorrei essere costretta a fare stare zitta anche lei.”
Gli disse, furiosa come una baccante.
Non appena furono saliti in carrozza, la nobildonna si tolse l’abito di broccato nero, esibendo grazie degne di essere immortalate dal celebre scultore Canova.
Ne indossò uno di colore verde smeraldo che s’intonava con il colore dei suoi occhi; si levò, con una mossa accorta, il guanto nero rimastole sotto lo sguardo imbambolato del suo complice e amante.
“Quella stupida serva sapeva troppe cose e non potevamo agire altrimenti, visto che era riuscita anche a rubare il cammeo che Heinrich mi aveva regalato. Tu piuttosto dovresti ritornare al Carrobbio e sentire se qualche disgraziato che dimora laggiù ha visto qualcosa.“
“E’ evidente che qualcuno l’ha già ritrovato e anche venduto, cara Louise. Io non torno in quel posto malfamato. Se credi che possa servire a qualcosa, vacci tu, ma non di notte. E’ troppo pericoloso e non penso che ne usciresti viva, credimi. “Le disse, abbassandosi il berretto sul volto proprio nel momento in cui due gendarmi a cavallo, che stavano procedendo in direzione opposta, avevano intimato al cocchiere di fermare la carrozza.
“Se dovessero farti domande, tu fingerai di essere muto. Mi occuperò io di tutto. Conosco benissimo il loro generale e so come fare per calmare i bollenti spiriti di quei due. “Gli disse, esibendo un sorriso malizioso…
“Avremo bisogno di rivolgervi qualche domanda, se non vi dispiace” – le dissero i gendarmi non appena la nobildonna si affacciò al finestrino.
“Le ruberemo solo qualche minuto – aggiunsero mentre scrutavano il giovane vestito da popolano che faceva finta di dormire.
“ E’ il mio valletto, rispondo io per lui. Ma ditemi piuttosto la ragione che vi ha condotto a obbligarmi a sostare proprio qui, nei pressi di un posto così lugubre?” Domandò, aggiustandosi la scollatura, dopo essersi accorta che il più giovane dei due la stava osservando anche troppo fissamente.
“Si tratta di un grave fatto di sangue, signora, i cui particolari potrebbero sconvolgervi, ma consentitemi di dirvi che non è prudente per una donna del vostro rango viaggiare certi luoghi dove potreste incontrare qualche fuorilegge o peggio un losco assassino ,che odia le donne soprattutto quelle che indossano gioielli preziosi come il vostro.” Rispose ammirando la collana di coralli che Louise sfoggiava. Solo un’ora prima si trovava in bella mostra nella vetrina dell’orefice, trovato esangue la sera stessa dalla domestica. Le mani gli erano state legate dietro la schiena con un guanto nero di seta, intriso di uno strano profumo speziato.
“Non preoccupatevi, stavo giusto recandomi a palazzo Badanaschi: il marchese Ludovico ha organizzato un ricevimento per festeggiare il suo settantesimo compleanno. Non posso arrivare in ritardo, perciò vi chiedo di lasciarmi ripartire.” Rispose la nobildonna, sfiorando con le dita il cammeo.
“Voi siete libera di andare; vedrete che il marchese comprenderà, non appena saprà la ragione del vostro imprevisto. Le disse osservando il simbolo araldico con un unicorno al centro che spiccava su entrambe le pareti della carrozza.
“Questo è il simbolo araldico della famiglia Borromeo, dunque lei è la contessa…?- “ “Louise Borromeo, per servirla. “ Dissimulò, con aria altezzosa.
“ Vi porgo le mie scuse contessa Borromeo. Vi auguro buon viaggio, ma fate attenzione, quando arrivate davanti alla Torre, dite al vostro cocchiere di svoltare a sinistra. “ Aggiunse, nascondendo l’imbarazzo dentro un saluto militare.
In un attimo Franz gli fu addosso e con il pugnale che teneva nascosto nel panciotto, lo colpì alla schiena. L’altro gendarme, che nel frattempo si era distratto con il cocchiere, non si accorse di nulla. Louise si affacciò al finestrino della carrozza, urlando come una pazza che il soldato si era improvvisamente sentito male. Con la stessa efferatezza con cui Franz aveva ucciso il primo, Louise si sbarazzò dell’altro, sorprendendolo alle spalle e, con estrema velocità, lo soffocò con il guanto nero che le era rimasto.
La carrozza ripartì, svoltando a destra, fermandosi poco dopo nei pressi di una radura. Louise e Franz intimarono al cocchiere di scendere immediatamente e di aiutarli a rimuovere i corpi. L’interno della carrozza era un lago di sangue e malgrado anche la sua veste riportasse i segni del misfatto, Louise non si scompose di fronte ai due uomini. In un attimo si liberò del vestito gettandolo sull’erba. I suoi occhi esaltati continuavano a fissare Franz e il cocchiere. Come una megera cominciò a urlare emettendo suoni lugubri da spaventarli a morte, costringendoli a trovare scampo dentro il Carrobbio. Louise non resisteva ormai più, in preda ad uno strano furor. All’alba, alcune prostitute la ritrovarono supina sull’erba, irriconoscibile a causa delle ustioni riportate, che le avevano deturpato il volto e parte del busto. Indenne alle fiamme dell’incendio, il cammeo, con il profilo dell’imperatrice, aveva invece conservato il suo originario fulgore.
Milano 2013
Nei pressi di quella che, un tempo, era stata una delle torri più importanti della città dove sostavano i cavalli e i cocchieri bivaccavano attorno ai fuochi accesi per riscaldarsi in inverno durante le lunghe notti gelide, Lorenzo si fermò a osservare lo stemma araldico che recava al centro un cavallo bianco, ornato in mezzo alla fronte di un lungo corno affusolato, scolpito sul portone del palazzo adiacente all’antica torre. “ Il simbolo dell’unicorno!” – pensò – indossando gli occhiali.
“L’antiquario di Firenze, quando mi ha venduto il cammeo, mi disse che era appartenuto a una contessa, donna di rara bellezza della famiglia Borromeo, vissuta a Milano più di due secoli fa, morta in circostanze misteriose nei pressi del Carrobbio. Questo è lo stemma dei conti Borromeo, ma mi pareva che il palazzo della famiglia si trovasse dall’altra parte della città.”. Pensò, sempre più agitato.
“Mio Dio, che cosa mi sta succedendo? Non riesco a smettere di pensare questa storia, come quei sogni che mi perseguitano anche durante il giorno e che sono abituato a raccontare allo psicanalista.“ Aggiunse.
Tirò fuori dalla tasca la scatola intarsiata che conteneva il famoso cammeo, si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte, nonostante facesse molto freddo e, sentendosi svenire, si appoggiò al muro sgretolato dell’antica torre, arrancando per trovare un appiglio sicuro. Poi, tenendosi sempre appoggiato alla parete, inspiegabilmente entrò all’interno di un passaggio sotterraneo, angusto e molto umido.
Lorenzo fu costretto a procedere carponi seguendo un piccolo spiraglio di luce che proveniva da un incavo della parete superiore. Giunto alla fine del cunicolo, scoprì di essere arrivato nel peristilio di un’antica villa romana, circondato da dodici colonne in stile corinzio. Al centro del giardino, adornato di fontane, di sculture di marmo di straordinaria bellezza vi era una statua, che raffigurava una donna con il volto dominato da occhi grandissimi e intensi, la bocca piccola e il naso accentuatamente aquilino a esprimere forse il suo carattere volitivo.
All’improvviso a Lorenzo parve di sentire una voce flebile che lo invitava ad avvicinarsi al centro del giardino. Esitò qualche istante poi, preso coraggio, avanzò tenendo la mano sinistra nella tasca del cappotto dove aveva posto la scatola intarsiata. Più avanzava, più la voce suonava inquietante. Lorenzo avvertì un brivido, ma inspiegabilmente continuò a procedere finché si ritrovò all’interno di un salone dove, sulla parete sinistra, era dipinta la figura di una donna in procinto di fuggire atterrita verso la sua destra. Indossa un peplo bianco che le lascia scoperta una spalla; i capelli sono raccolti alla nuca in tre trecce.
“Livia Drusilla, ti ho trovato, finalmente”. Pronunciò Lorenzo, a voce alta, tirando fuori dalla tasca il cammeo sul quale era ritratto lo stesso volto. Lo strofinò tra le mani, ammirandone la luminosità e in quel preciso istante si sentì avvolgere da una luce talmente forte che fu obbligato a coprirsi gli occhi con le mani.
Pompei 79 d. C.
Un’enorme nuvola di fumo nero avanzava minacciosa sulla città di Pompei: tutt’intorno si udivano le grida delle donne e dei bambini che cercavano di scappare da una città in preda alle fiamme mentre dal cielo cadeva senza tregua lava mista a lapilli incandescenti e una pioggia di cenere così fitta da oscurare il sole.
La gente assiepata lungo le vie cercava di trovare riparo dentro le case abbandonate dai loro proprietari.
Una schiava greca riuscì segretamente a raggiungere la villa dei Misteri, passando in mezzo alle fiamme facendosi largo tra le persone che crollavano a terra soffocate dalla polvere sempre più fitta.
Quando la schiava arrivò alla villa, la trovò immersa nel silenzio: solo Argo, il cane della sua padrona continuava ad abbaiare. Entrò nel triclinio alla ricerca di qualcuno, ma sembravano tutti spariti. Procedette nel buio in cui era immersa la stanza, nella direzione della statua di Livia Drusilla, perché in una piccola fessura del basamento ricordava di aver nascosto il cammeo, rubato alla padrona la sera prima, durante il banchetto cui aveva partecipato anche Plinio il Vecchio, prima di partire con la flotta per Miseno. Ma del cammeo non trovò alcuna traccia: sembrava svanito nel nulla. Estrasse la mano dalla fessura con orrore, accorgendosi che era macchiata di sangue. Cominciò a vagare per le stanze della villa, chiamando a gran voce i suoi compagni di servitù, ma solo l’eco le rispondeva, rendendo lo scenario ancor più spettrale.
Ripercorse il corridoio che conduceva al peristilio, sempre più agitata, finché la nuvola di fumo nero mista a lapilli incandescenti non la investì, facendola stramazzare a terra, esanime. I suoi ultimi istanti furono spesi per maledire il gioiello, a causa del quale la sua vita terminava così miseramente, e con esso tutti coloro che ne fossero, in tutte le generazioni, venuti in possesso.
Lorenzo avvertì uno strano formicolio alle mani, e un’angoscia invincibile nell’anima. Provò a muovere le gambe per avanzare lungo la strettoia, ma inutilmente. La cosa strana era che non avvertiva alcun dolore, come se il corpo non gli appartenesse più. Nell’oscurità gli parve di intravedere in lontananza uno spiraglio di luce, ma forse era solo la sua immaginazione a intenderlo. Un’ondata di panico lo travolse: all’improvviso cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva in gola, nella speranza che qualcuno lo potesse sentire.
Quel terrore, però, durò solo pochi istanti. Lorenzo si sentì spinto in avanti lungo la cavità da una forza misteriosa fino al punto in cui avvertì uno strano odore. Le esalazioni sprigionatasi da un vecchio condotto situato all’interno del cunicolo gli rendevano difficoltoso il respiro. Provò a dibattersi, urtando contro la parete, graffiandosi le mani fino a farle insanguinare, mentre la vista cominciava ad annebbiarsi.
Sapeva che sarebbe sopravvissuto soltanto ancora per pochi minuti, quando gli parve di percepire delle voci, indistinte, provenire dal fondo della galleria, prima di perdere completamente i sensi…
Brava Carla, complimenti perché il racconto è ben riuscito, bella scrittura e bello stile. Armonia, indagini e suspense degni di un romanzo storico. Il finale è aperto, intrigante; dacci la possibilità di leggere il prossimo capitolo. Ti auguro che questo tuo racconto sia premiato dal Concorso perché a me piacciono i romanzi storici.
Emanuele.
Molto intrigante. Avvince. Anche il salto da un’epoca all’altra è indovinato. Molto interessante.
Angela
Sono senza parole, forse ne ho messe troppe nel commento al tuo racconto sul poeta post-moderno.
Storia accattivante, intreccio perfetto, fraseggio sintetico ma altamente evocativo: ogni parola che hai scritto è necessaria e tutte quelle che mancano sono superflue.
Dimostri una cultura concreta che è quella di sapere le cose ma anche di saperle cercare e connettere: niente è fuori posto o anacronistico. I particolari storici e urbanistici, i dialoghi e la descrizione delle sensazioni dei protagonisti, risultano verosimili e pertanto il racconto è appassionante.
Bravissima.
Ciao