Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Il segreto” di Francesca Berti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

“L’amicizia è un bastone da passeggio. Se inciampi, ti sostiene.”

Ada e Nina vennero a lavorare alla taverna ad un mese di distanza l’una dall’altra.

Per l’esattezza, Ada arrivò prima delle feste di Natale e Nina subito dopo.

Venivano di là dalla montagna, da due paesini diversi, ma con mentalità e bigotterie così simili, che fu facile per loro sentirsi subito sorelle.

Io lavoravo già lì, ci lavoravo fin da bambina, essendo i proprietari i miei zii, e anche perché, data la mia disgrazia (sono zoppa da quando ho avuto la poliomielite), non avrei potuto fare nient’altro.

Ada era alta, bruna e zingaresca, con occhi neri che pungevano, un corpo da pantera dalle forme generose, fasciate in abiti aderenti e camicette scollate, che lei regalava allo sguardo altrui con una sorta di spavalderia altera, come una regina che si lascia ammirare dai sudditi in tutto il suo splendore, ma pronta a rimettere a posto chiunque osi attentare alla sua algida maestà.

Era orfana di entrambi i genitori, ed era cresciuta in convento dalle suore, così disse, e a diciott’anni compiuti, dovendo scegliere tra farsi venire la gobba facendo orli e sopraggitti tutto il giorno da una sartina, o fare la cameriera in una taverna in città, non aveva avuto dubbi.

Anche Nina ci raccontò la sua storia. Figlia unica di un contadino che era riuscito ad acquistare un po’ di terra, aveva preferito andarsene altrove a lavorare quando, morta sua madre, il padre si era risposato con una ricca vedova, che aveva preso subito a trattarla come uno degli stracci con cui pretendeva che lavasse i pavimenti varie volte al giorno. Serva per serva, almeno adesso aveva uno stipendio e la sua indipendenza.

Nina aveva un anno più di Ada, ma sembrava più giovane con le sue forme da adolescente, la vita sottile da stringerla fra due mani, le spalle fragili con gli omeri sporgenti. Aveva i capelli ricci, rossi come i pampini della vite il giorno della vendemmia, e la pelle bianca, da rossa, che lei metteva in risalto incipriandosi fin sulle mani, ben sapendo che era il suo punto di forza. Teneva per lo più gli occhi bassi, come per timidezza, ma era invece per la civetteria felina di quando, rialzandoli d’improvviso, sorprendeva su di sé uno sguardo di ammirazione.

Dal momento che niente avvicina più di una sorte simile e di una stanza da dividere, le due ragazze divennero subito amiche, anzi compagne d’avventura, come si definivano ridendo e intendendo come avventura la vita, quella presente e secondo loro transitoria di cameriere in una taverna, e quella futura, che progettavano con dovizia di particolari, la sera tardi, quando chiuso il locale, tutte insieme facevamo le pulizie ricostruendo un ordine che sarebbe andato di nuovo distrutto il giorno dopo.

Parlavano liberamente davanti a me, tirandomi anzi nella discussione, chiedendo pareri e conferme, nella certezza di non recare alcuna offesa a chi non può, o comunque non può più, nutrire interesse in tali argomenti, proprio come fanno i bambini quando parlano del presente davanti ai vecchi. Io non mi offendevo, e interpretavo di buon grado il mio ruolo di spettatrice attiva, avendo da tempo accettato di essere, sia per l’età (potevo ormai considerarmi una zitella), che per la mia disgrazia, dall’altra parte.

Il nocciolo dei progetti di Ada e Nina, sfrondato da preziosimi romantici e ghirigori della fantasia, una volta ridotto in mutande, era semplice e pragmatico, nonché comune a molte ragazze: trovare un marito, e uscire così dalla situazione di servette di osteria, ritrovarsi padrone e signore di una casa, forse di un po’ di terra, o magari, perché mettere limiti, di un negozio o diventare loro stesse taverniere.

Si accaloravano in questi discorsi Ada e Nina, facendo volteggiare l’una la scopa e l’altra lo straccio, sostenendosi a vicenda, entrando l’una nel sogno dell’altra e spingendolo ancora più su, arrivando a dichiarare che, la prima che fosse riuscita nell’intento, avrebbe scovato nella parentela o nelle amicizie della nuova famiglia, il marito per l’altra, spianandole la strada, proposito che per analogia, faceva pensare proprio alla scopa che toglie la polvere preludendo allo straccio che lava il pavimento.

Durante una di queste serate, in mia presenza, ognuna delle due confessò all’altra un proprio personale e scomodo segreto. Questo mettersi l’una nelle mani dell’altra ne suggellò l’alleanza, facendo di me la testimone di un patto sacro. Dalla mia posizione e data la giovane età delle due amiche, riuscii a intravederne tutta la pericolosità, perché la natura di entrambi i segreti era tale da escludere non solo il matrimonio con un buon partito, ma con qualsiasi partito, almeno nella nostra epoca e almeno dalle nostre parti.

Correvano così le giornate di Ada e Nina, fra sogni ad occhi aperti e duro lavoro, perché alla taverna non c’era tempo per oziare e loro due dovevano farsi in quattro per servire gli avventori, pulire e riordinare i tavoli, mentre io dietro il bancone lavavo le stoviglie e preparavo le bevande. Bisogna dire che erano brave nel lavoro, veloci, precise, attente, e si aiutavano prestando l’una l’eccesso dove l’altra difettava e viceversa. Così se qualcuno, per esempio, importunava la dolce Nina, interveniva la fiera Ada a rimetterlo in riga, mentre Nina si occupava volentieri dei clienti anziani o delle famiglie con bambini, che l’impazienza di Ada mal sopportava.

Passarono così sei mesi, e quando arrivò Bruno si era ormai in estate.

Bruno era il nuovo garzone e veniva dalla città. Suo padre, un facoltoso commerciante amico di mio zio, era intenzionato ad aprire un locale simile e voleva che il figlio facesse pratica nella gestione.

Era un ragazzone robusto e piacente, di buon carattere e volenteroso, e si adattò subito a fare i lavori, anche i più pesanti, come trasportare le casse del vino. Era taciturno e non sorrideva spesso, aveva un’espressione un po’ bovina, ma imparò subito a gestire la cassa e i prezzi di questo e di quello. Sarebbe diventato un bravo oste.

Dal mio punto di osservazione disinteressata, potevo vedere un po’ più in là. Lo immaginai di lì a dieci anni, con la pancia strizzata fuori dalla cintura, le guance rubizze, il grembiule macchiato, tutto preso a contare i soldi alla fine della giornata e ad annacquare il vino in cantina. Sua moglie avrebbe occupato nella sua mente meno spazio di una partita di fagioli scadenti, comprati per due soldi per fare il minestrone.

Ma ciò che per una trentenne storpia, con il futuro che strizza l’occhio al presente, è ben ovvio, altrettanto non è per due ragazze giovani, belle e determinate a cambiar vita.

Bruno era il diamante che da sei mesi stavano cercando in mezzo ai sassi.

La partita era aperta.

Cominciarono in sordina, per gentilezza credo, ma anche per l’affetto che provavano davvero l’una per l’altra.

Sorridevano in continuazione, e avendo i sorrisi l’effetto di illuminarne la bellezza, la taverna non era mai stata tanto bella e luminosa, e l’atmosfera primaverile che ne veniva si riversava sui clienti, che la percepivano seppur inconsapevoli, riversandosi a loro volta sempre più numerosi nel locale, per cui gli affari non erano mai andati così bene.

La brusca Ada da pantera si era trasformata in una gattona, e l’unica traccia dell’antica fierezza consisteva nel sollevare le sopracciglia quando qualcosa la faceva stizzire, come un gatto appunto drizzerebbe il pelo, ma si riprendeva subito, anche se doveva schiarirsi la voce prima di parlare, per non fare uscire il solito tono sgarbato.

Nina, che gatta lo era già, era gatta più che mai e più che mai miagolava e faceva le fusa.

Si sorridevano fra loro, come prima, e come prima si aiutavano, ma il tono era falso, come una nota intonata per sbaglio, e quando l’una osservava l’altra e questa se ne accorgeva, la prima distoglieva lo sguardo, fingendo di fare qualcosa.

Quando parlava con Bruno, Ada lo guardava negli occhi con l’intenzione di lasciare intendere la sua forza e il tipo di moglie pratica ed energica che sarebbe stata, proprio quella che ci vuole per gestire insieme una taverna. Quando gli serviva da bere, per aiutarlo nella scelta, teneva sganciato il primo bottone della camicetta, già abbastanza scollata, perché non ci fossero dubbi che la dote da lei offerta non si limitava solo alla forza di carattere.

Nina giocava tutto sulla fragilità, e sul potere che questa aveva di suscitare negli uomini il desiderio di proteggerla. Quando parlava con Bruno, si tirava su i capelli con le due mani, come un gesto inconsapevole, affinchè lui potesse ammirare il collo sottile e la pelle nivea delle spalle incipriate con cura. Se lui diceva qualcosa di buffo o divertente, scoppiava a ridere con affettazione, portando una mano alla bocca, scoccandogli sguardi di miele puro, una promessa di dolcezza per una futura vita insieme.

Ma la tregua armata fra Ada e Nina non durò molto.

Si dà il caso che trovandosi l’una nei paraggi, mentre l’altra attuava le proprie strategie di seduzione, la prima desse segni di insofferenza e cominciasse con qualche stratagemma a cercare di distogliere l’attenzione di lui dall’amica, e poi con aperta ostilità a fare battutine beffarde.

Finchè cominciarono a scoppiare i litigi fra le due, mai per il motivo principale, sempre per stupidaggini, cose di nessun conto, come una pietanza al tavolo sbagliato, o il bancone non ripulito a dovere. Litigi iniziati nella giornata, apparentemente per motivi di lavoro, e continuati la sera nella stanza in comune, per il motivo giusto.

Ognuna delle due rivendicava il proprio diritto su Bruno, rinfacciando all’altra di essere smorfiosa, sleale, di giocare sporco, che era talmente evidente quale delle due fosse la moglie giusta per lui.

Che cosa pensasse Bruno di tutto ciò non l’ho mai capito.

E’ piuttosto difficile capire i pensieri di uno che ha l’espressione di un bove.

Di certo doveva essersi accorto della corte delle due ragazze, e della guerra che si stavano facendo per lui. Ma come non mostrava i suoi pensieri, non mostrava neanche inclinazione verso l’una o verso l’altra. Credo che nella sua flemma caratteriale avesse deciso che se la sbrogliassero da sole, che una moglie è vero, poteva fargli comodo, che gli piacevano entrambe e che in fondo, dal momento che per lui una valeva l’altra, la decisione la prendessero loro, che lui doveva scaricare le casse del vino.

Così si mostrava cortese, e dispensava sorrisi ad entrambe in egual misura, e loro, convinte ognuna di essere la prescelta, aumentavano in moine, e ad ogni cortesia di lui si apriva di più la scollatura di Ada, e ad ogni sorriso si imbiancavano ancora di più le belle braccia di Nina, finchè la scollatura di Ada divenne indecente al punto da meritare le rimostranze della zia, e le braccia di Nina furono così infarinate da sembrare pesci pronti per friggere.

Nessuna delle due pronunciò mai la parola “innamoramento” o “amore”.

Adesso era guerra aperta.

Ada arrivò a far cadere, rompendolo, il portacipria di Nina, cipria francese, che costava un occhio. Nina si vendicò rovesciandole sulla camicia preferita un piatto di tortiglioni alla salsa di pomodoro, di quella che le macchie non le mandi via.

Come erano lontani i giorni delle occhiate di intesa, dei sorrisi complici, del “dai qua che lo faccio io, tu sei stanca”. E la promessa che la prima sposa avrebbe provveduto ai fiori d’arancio dell’altra? Dimenticata, sepolta dall’urgenza di arrivare al numero uno sul podio, di assicurarsi il trofeo desiderato, dopodichè sì, vediamo, forse potrò pensare anche a te, ma per prima devo arrivare io.

E poi successe.

Una mattina Nina non comparve al lavoro. Mia zia, la faccia scura, mi spiegò che avevano dovuto mandarla via. Era venuto fuori che non era una ragazza perbene, che la lettera di raccomandazione del parroco era falsa. L’aveva scritta lei. Nina non se n’era andata di casa per la cattiveria della matrigna, era stata buttata fuori dal padre. Era una ragazza madre, aveva avuto un bambino da non si sa chi, il bambino era stato dato in adozione e lei era stata cacciata via.

Non dissi a mia zia che la storia la conoscevo già. Era il segreto di Nina, quello che aveva confidato a Ada una sera, ai tempi della loro amicizia, con me testimone.

Quando presi posto dietro al banco, Ada stava già sistemando i tavoli per il pranzo e quando alzò gli occhi verso di me il suo sguardo era di sfida, era di nuovo l’antica pantera, e sembrava dire “Si, l’ho fatto, e allora? Non me ne pento neanche un po’”.

Ma aveva le spalle curve e avrei giurato che le tremassero le mani.

Per Bruno era facile decidersi adesso. Era rimasta una sola concorrente in gara.

Trovai una scusa qualsiasi per non andare in città, al matrimonio. Gli zii non insistettero più di tanto. Sarebbe stato un matrimonio da ricchi e a nessuno fa piacere presentare la nipote storpia ai propri amici ricchi.

Non rividi mai più Nina, né seppi più niente di lei.

Ada la rividi dopo circa dieci anni, quando la zia morì e lei venne al funerale con il marito. Era elegante, una signora, e ancora bella dopo tre figli, altera e sinuosa, una pantera.

Ma gli occhi non pungevano più. Erano gli occhi di una pantera spelacchiata.

Bruno venne a salutarmi, tirandosi la giacca sulla pancia strabordante, e per l’intera giornata parlò con lo zio del prezzo del vino e delle tasse sulle importazioni, sempre più alte.

Ada ed io non scambiammo una parola per tutta la giornata.

Solo al momento dei saluti i nostri occhi si incontrarono, e nel suo sguardo c’era la stessa domanda che mi ero fatta anch’io, e che mi facevo ancora, molto spesso.

Poi se ne andò con suo marito, e non ci vedemmo mai più.

 

 

 

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11 commenti »

  1. Quante emozioni, quanta rabbia e desiderio di giustizia si intravede in questo racconto. Il ribrezzo di colei che ha ottenuto ciò che desiderava svendendo la propria dignità, la parola data ad una persona a cui aveva giurato amicizia permea tutto il racconto come un lago di sangue che sgorga da una ferita profonda e mortale.
    Bravissima Francesca! Regala ancora emozioni e penetra con il tuo spirito e la tua penna la nostra anima! Ti prego!

  2. Che bello questo racconto Francesca. Spietato come a volte, spietata, sa esserlo la vita e ricco di dinamiche e verità (o meglio segreti) pungenti e sempre attuali. Molto bella anche la tua descrizione delle due rivali che porti a immaginari sia nell’aspetto che nell’animo. E divertenti anche le parti più “ironiche” come : “Ada divenne indecente al punto da meritare le rimostranze della zia, e le braccia di Nina furono così infarinate da sembrare pesci pronti per friggere”. Bravissima… 🙂

  3. Mi è piaciuto tutto: bella storia, ben raccontata, scrittura molto divertente e acuta, i sentimenti sempre a ribollire e a tenere viva l’attenzione. Brava davvero. Grazie.

  4. Un racconto veramente bello, i personaggi sono tratteggiati con grande abilità e la lettura è appassionante.

  5. Racconto di spessore,
    con ottima tecnica narrativa,
    bilanciato e calibrato,
    con finale aperto,
    quasi sospeso.
    Brava

  6. Ringrazio tutti, sono contenta che vi sia piaciuto. Adesso avrò il piacere di leggere qualcosa di vostro e di farvi conoscere la mia opinione.
    Una buona giornata a tutti gli amici di Racconti nella Rete.

    Francesca

  7. Bella l’escalation di tensione tra le due protagoniste, che sanno essere crudeli solo come delle donne sanno essere. La frase “E’ piuttosto difficile capire i pensieri di uno che ha l’espressione di un bove.” Mi ha fatto schiantare. Ma il segreto della pantera qual’era? A distanza di anni Nina non si è palesata per vendicarsi, spifferando il segreto di Ada? O forse ha visto che la pantera era spelacchiata e tanto le è bastato? Finale pieno di possibilità…

  8. Ciao Roberto, grazie per la tua attenzione.
    La frase che ti è piaciuta è quella che è piaciuta di più anche al mio insegnante di scrittura creativa.
    Qual era il segreto di Ada la pantera? Io naturalmente lo so, e se vuoi posso anche rivelarlo. Non l’ho inserito nel racconto perché ai fini della storia non era importante, basta sapere che si trattava di un segreto pesante come quello di Nina.
    Perché Nina non si è vendicata raccontandolo a tutti? Avrebbe potuto farlo, non aveva più niente da perdere. Forse perché era migliore di Ada. O forse aspettava il momento giusto, anche dopo dieci anni o più. Le donne sanno essere crudeli e anche diabolicamente pazienti nelle loro vendette.

    Un caro saluto.
    Francesca

  9. Il segreto non rivelato lascia aperte tutte le porte, invita il lettore a speculare sulle varie possibilità. Molto bella l’evoluzione dei personaggi, complimenti Francesca.

  10. Cara Francesca, il tuo racconto mi ha preso dalla prima all’ultima parola che precede il punto finale. La trama è intrigante, la rivalità in amore che distrugge l’amicizia è un tema ricorrente in letteratura e nei films, ma il tuo racconto è delicato e sornione nel tracciare i caratteri, è pungente e acuto nel descrivere i sentimenti. Ci sarebbe da parlare delle donne, non nel modo in cui gli uomini sono soliti fare al bar, ma sui comportamenti delle nostre mogli, compagne e figlie che sono il prodotto dei neuroni e delle emozioni elaborate in migliaia di anni e anche del ruolo della donna nella Storia che non è poi subalterno come si ritiene. La tua penna arguta e sensibile ci ha coinvolto e fatto apprezzare la vicenda. Ti auguro che questo racconto figuri tra i venticinque racconti premiati.
    Emanuele

  11. Grazie a tutti per i commenti, siete davvero impagabili.

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