Premio Racconti nella Rete 2014 “Maschile singolare concreto” di Ivan Brentari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Le palme sudate cigolarono sulla sbarra.
Alessio sentì i grandi dorsali spingere verso l’alto. Il mento sfiorò l’asta della spalliera messa di traverso, parallela al pavimento. La barba volutamente, scientificamente trasandata crepitò. Si accompagnò ancora una volta verso terra. I deltoidi vibrarono. All’ultima serie, la discesa si faceva quasi più faticosa della salita.
Francesca copre i seni col lenzuolo, come se d’improvviso si vergognasse. Ci sono delle volte che non riesco a capirti, mi dice. In che senso? Nel senso che c’è qualcosa di te che mi sfugge. Mi guarda attraverso la gabbia di ciglia. Il sesso ha ammorbidito il rimmel.
Ancora due.
Fase di rilassamento, appeso come una scimmia, due secondi, poi lo strappo. Di nuovo i grandi dorsali a innalzarlo. I trapezi tiravano, deformati dalla loro stessa forza. I tendini, lame d’acciaio, gli tagliavano la pelle. Espirò solo quando la testa era oltre la sbarra, nell’iperuranio, al di sopra del comune senso delle cose. Inspirazione a scendere.
L’ultima. L’ultima la faceva sempre a occhi chiusi. Come un orgasmo.
Riprese contatto col suolo gradatamente. Dalle punte ai tacchi. I grandi rotondi pulsavano come cuori. Sciolse i muscoli delle braccia e fece roteare il capo alcune volte, prima in senso orario, poi antiorario. La sabbia nelle prime vertebre scricchiolò sonoramente. Alessio inghiottì la sensazione densa dell’albume delle sette uova che aveva ingurgitato un’ora prima, la respinse in fondo all’esofago. Estrasse dalle tasche dei calzoncini un paio di mandorle. Le masticò piano.
Il frastuono del corso di cardio-fitness aerobica invadeva anche la sala attrezzi. Alessio gettò un occhio oltre il plexiglass che vibrava per i bassi. Vecchie, principalmente vecchie, o di mezza età, cioè vecchie. Anche qualche ragazza giovane. Dalla larghezza dei fianchi non dovevano aver cominciato il corso da molto. Forse addirittura erano alla prima lezione, quella gratis di prova, prima di firmare il contratto.
Francesca si accarezza il collo. Io guardo sua madre che cucina per noi. Ma tu ci vuoi andare a casa di Mattia stasera? È la voce di Francesca. Il tono dice che lei da Mattia non ci vorrebbe andare, lo so. So che sa che io invece da Mattia ci andrei, con Mattia siamo amici. Le devo rispondere attentamente. No, non andiamoci. Stasera sono stanco. Francesca mi guarda, dovrebbe essere contenta, e invece aggronda la fronte.
La sala attrezzi brulicava di sospiri. Corpi scintillanti di sudore danzavano una coreografia occulta. I profumi femminili venivano dal reparto dei tapis roulant.
Raccolse un bilanciere da terra. Due pesi di ghisa da venti chili per parte. Stese l’asciugamano sulla panca. Si sdraiò e strinse la sbarra in corrispondenza delle impugnature zigrinate. Alla sua destra un immenso bodybuilder stava lavorando con una kettlebell ciclopica, girava voce che se la fosse fatta costruire su misura. Alessio ne studiò il corpo mentre le sue braccia avevano già cominciato a stantuffare silenziosamente l’aria. Gli arti deformi dell’uomo, i suoi ridicoli baffi alla Hulkmania, i suoi sbuffi gutturali, lo fecero sorridere.
«Alessio, hai sistemato i dorsali?»
«Ho appena finito,» sibilò a labbra strette Alessio, compresso dallo sforzo.
Il personal trainer generico addetto alla sala lo osservava a braccia conserte. Era massiccio, anche lui troppo grosso. Faccia da topo.
«Quando hai finito vai al ring, Coach ti sta aspettando. Tu e Christian siete gli ultimi oggi. Tre riprese d’allenamento e te ne vai a casa.»
«Lo so.»
Dopo la quarta serie ripose il bilanciere sui sostegni, raccolse l’asciugamano, e si diresse verso il ring, in fondo al salone. Coach se ne stava seduto su una sedia pieghevole d’acciaio. Quell’idiota di Christian invece era già al centro del ring vestito di tutto punto. Si era infilato il paradenti e saltellava, come se la piattaforma scottasse. Gettava un’ombra enorme fino a fuori il perimetro del ring.
La luce che filtra dalla finestra disegna il corpo di Francesca. Mi acceca la sua pelle bianca. Rivoli di capelli le scorrono sulle spalle. La bocca rossa brucia in mezzo al viso. Perché mi guardi così, Francesca?
Alessio infilò la canottiera e i pantaloncini della Everlast. Coach gli fasciò mani e polsi e lo aiutò a infilare i guantoni. Poi gli schiacciò sulla testa il casco imbottito che sapeva di cuoio finto. Lo spinse lievemente sul ring.
«Tre riprese, ragazzi.»
«E il gong?» fece Christian in un crocidìo stupido.
Coach lo guardò come si guarda un tetraplegico scivolato dalla carrozzina. «Gong,» mormorò, fingendo di suonare un campanaccio in aria.
Alessio seguiva sempre la stessa tattica.
All’avversario ci si deve adattare. Lavorare di testa, risparmiare energie.
Nel corso degli anni aveva individuato varie categorie di pugili.
Il pavido. Tira su la guardia, ma indietreggia. Fa mulinare le gambe, però lo fa in maniera insicura, a volte perde anche l’equilibrio perché gli gira la testa. Non libera mai completamente il braccio, sembra lo voglia trattenere. Si batte velocemente riducendo le distanze appena l’incontro inizia, in modo da impedirgli di mettersi a girare. Una decina di colpi giusti ed è finita.
Poi c’è il mariuolo. Come il pavido, però bara, dà le testate ed è di gran lunga più pericoloso, nonché moralmente riprovevole. Si batte se non si attacca per primi, se lo si invita senza farglielo capire, se gli si fa balenare davanti la possibilità di una vittoria onesta ed epica, recitata da condottiero all’attacco. Una vittoria che il mariuolo molto raramente ha ottenuto nella sua vita e che, in fondo, desidera più di ogni altra cosa. A quel punto si scopre.
Il terzo è il parà. Eccitato, più che dalla violenza vera e propria, dall’idea della violenza, che coltiva amorevolmente nel proprio cervello come il ricordo di una nonna morta. Parte all’attacco immediatamente. È potente e brutale, di solito muscolarmente dotato, di solito lento. Si batte facendolo sfogare per una ripresa. Alla seconda gli si danno un paio di colpi duri per farlo incazzare. Da lì è una discesa. Il parà perde la testa, i suoi fendenti vanno tutti fuori bersaglio, controlla malamente il respiro che gli si spezza di continuo offuscandogli la vista. Va giù tra la metà e la fine della terza.
Quattro, lo stilista. Grande cura formale delle tecniche, poca velocità, poca potenza. I suoi pugni sono lettere di posta ordinaria. Nel gesto cerca la poesia. Pratica il pugilato come il tai chi chuan; lo fa per pochi mesi, poi si iscrive al corso di tai chi. Si batte in svariati modi, ognuno ha il suo.
L’ultimo è il democristiano, combattente raro ma non rarissimo. Il democristiano osserva molto. È uno specchio, ma deformante. Prende ciò che gli serve dall’avversario. Può mandarlo giù per sfinimento, ma anche no, può anche chiudere tutto alla prima ripresa. Due terzi dei colpi che porta sono i colpi che ci si aspettano da lui, colpi tranquillizzanti. L’altro terzo sono i colpi che, a rigore di logica, il democristiano non dovrebbe avere, e che invece ha. Con quelli vince gli incontri. Si può battere.
In verità dal democristiano si apre un cassetto, una sottocategoria: l’überdemocristiano o democristiano liquido. È il malleabile in senso assoluto. Se entra in acqua è lui a cambiare forma. Per gli avversari è dura. I fuochi fatui non si colpiscono. L’überdemocristiano governa il mimetismo. Questo gli consente una serie di vantaggi. L’überdemocristiano è l’unico che riesce a battere anche il democristiano. L’überdemocristiano, lui sì, è molto raro.
Ecco. L’überdemocristiano sono io.
Christian era un parà. Si fece sotto con tutto il corpo. Alessio si lasciò schiacciare all’angolo. Il peso dei muscoli gonfi d’acqua e steroidi non gli dava possibilità di movimento. Poteva percepire l’euforia di Christian e il suo ego montare come cavalli al galoppo. Ne sentiva il respiro affannoso sulle guance. Lo abbracciò per avere un po’ di tregua. Poi qualche flebile colpo, solo per dovere di firma.
Seconda ripresa, un gancio duro, dritto al setto nasale. Il volto di Christian scattò di lato. Una frustata di sangue schioccò sul pavimento. Christian gli offrì due pupille dilatate. Occhi di un cavallo a cui hanno messo sotto le froge un secchio di creolina. Gli si gettò addosso sbavando.
Li ho contati. Almeno cinque secondi. Aspetti sempre cinque secondi prima di rispondermi. Tu pensi troppo alle cose che mi dici. Guardo la forchetta uscire immacolata dalla bocca di Francesca. Cinque secondi. Cosa vuoi dire, amore? Francesca sbuffa. Perché non mi rispondi mai di getto? Non so. Non capisco, Francesca. Ho detto «non capisco» apposta. Il non capire salva le vite di molte persone.
Ora Alessio doveva solo farlo stancare. Entrava e usciva dall’area di attacco di Christian con dei rapidi movimenti di gambe. Invitava e schivava. In fatto di agilità tra di loro non c’era paragone. Guardava l’avversario muggire, nitrire, leccare il sangue che dalle narici colava sulle labbra.
«Christian! Ragiona, ragiona!» sbraitava inutilmente Coach da sotto il ring.
Alla fine della seconda ripresa Christian sputava pezzi di polmone. Il suo corpo fremeva, gonfio, intarsiato di sudore.
Cominciato il terzo round, Alessio lo colpì subito con un montante preciso. Il collo del toro si piegò all’indietro. Ancora un diretto al volto, poi un gancio basso sulla milza. Scansò una zampata imprecisa dell’animale, poi gli somministrò un gancio sinistro al fegato. L’ultimo.
La bestia si afferrò il ventre come se gliel’avessero squarciato. Crollò ansante sulle ginocchia.
«Buona così,» disse Coach.
Christian contraeva i muscoli addominali per fermare il dolore. Espirava rumorosamente dal naso sanguinolento. La canotta si coprì di minuscole efelidi di plasma.
Coach mise una mano sulla spalla di Alessio che stava scendendo dal ring.
«Gli incontri chiudili con l’uppercut, è inutile che porti questa tecnica a metà incontro. Con l’uppercut si chiude. Le cose che vanno in alto sono sempre le ultime, ricordatelo.»
Alessio guardò il mucchio di carne al centro del ring. Christian gli sorrise allegro.
Appena uscito dalla palestra una brezza tiepida lo abbracciò. I muscoli fremevano come un campo scosso dal vento, attraversati da una calda onda metacronale.
La bocca si torse in un ovale di stupore. Francesca lo aspettava seduta sul motorino. Le sorrise. Baciò la sua bocca immobile.
«Alessio. Ci ho pensato… Non…»
«Cosa?»
Francesca gli infisse lo sguardo negli iridi.
«Alessio, tu vuoi sempre vincere. Per vincere calcoli tutto, ti adatti a tutto. Non riesco mai a capire cosa pensi davvero. Quando finisci tu e quando inizia la tua voglia di affermarti contro tutti. Contro di me. Così non condivideremo mai niente. Non si amano gli avversari.»
Cinque secondi.
«Francesca…»
Tagliente e diretto.
Ruvido e ricercato.
Racconto notevole.
C’è del talento.
Bravo.
Le palme?
“Palme” è corretto. Si ritrova spesso nella letteratura classica: “Mostrar la palma aperta e ’l pugno chiuso” (Petrarca). “Palmo” in passato si utilizzava solo per indicare l’unità di misura, poi nel linguaggio moderno ha preso il sopravvento.
Il racconto è scritto benissimo, con un’abilità e una tecnica narrativa nettamente superiori alla media. Devo ammettere però che il tema non mi ha coinvolto, non ha toccato le mie corde. Ma è una questione puramente soggettiva che nulla toglie al valore dello scritto.
Complimenti Ivan, mi piace molto questo stile secco, con frasi brevi ma con delle parole scelte non a caso e mai banali. Hai trasformato un incontro di boxe in qualcosa di poetico e metaforico.
Bello l’intreccio,
racconto non male.
@ Maurizio: Grazie!
@ Maria Cristina: È una forma alternativa per dire i palmi delle mani.
@Mara/Serena/Bonnevilleblu: Grazie mille!
Flashback durante una seduta in palestra con tanto d’incontro di pugilato. Il racconto è bilanciato nel contenuto, con la descrizione, opportunamente, maniacale dei muscoli e dei movimenti, dei presenti e delle tipologie di pugili, che è interessante ma un po’ lunga e distrae. Mi pare di sentire i profumi femminili provenire dal tapis roulant. Francesca è la ragazza di Alessio che compare nei flashback e che dimostra di vivere il rapporto con ansia. Anche lei è tosta. Le ultime righe svelano il dramma della ragazza e confermano l’abitudine del ragazzo, i cinque secondi di attesa prima di rispondere. Il rapporto d’amore non necessita di calcolo e non si regge su posizioni di forza o di competizione. Complimenti.
Emanuele.
Bella scrittura, Ivan.
provaci ancora, bravo.
Un abbraccio anche per te.
😉