Premio Racconti nella Rete 2014 “L’alba di mezzanotte” di Stefano Barbero
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014A quel tempo, per guadagnar qualcosa, venni assunto in uno studio tecnico. Così, finiti gli studi, cominciai a dimenarmi tra l’infinità di burocrazia necessaria ai cittadini, per poter essere ancor più agevolati e controllati dalle autorità competenti.
Il nostro era un piccolo ufficio, posto su di una piazza di un piccolo paese pedemontano. Il mio capo, Valerio, era rispettato da tutti i cittadini, poiché per loro rappresentava il punto di riferimento a cui rivolgersi per qualsiasi evenienza. E non c’era da meravigliarsi! In quella stanzetta poco illuminata, ci occupavamo d’ogni genere di cosa che in parte potesse riguardare il nostro mestiere. Possedevamo soltanto due computer, ormai obsoleti, ed una fotocopiatrice; tutto intorno plichi enormi di cartacce compilate. Ce n’erano ovunque sulle scrivanie, negli scaffali, sopra i mobili. Ne eravamo sommersi. Ma infondo, non era nient’altro che il risultato del nostro operare. Già, un continuo esaurimento nervoso. Contemporaneamente seguivi tre o quattro pratiche, una più insensata dell’altra, e toccava darsi una mossa per non finirne oppresso. Persino l’orario era assurdo. Si cominciava ogni mattina verso le nove e mezza, per poi finire la sera chissà quando.
Così ogni dannato giorno partivo, cosciente del fatto che avrei terminato soltanto al calar del sole, mi chiudevo tra quelle quattro mura e speravo che il tempo trascorresse il più velocemente possibile. Cercavo persino di inventarmi ogni genere di passatempo, come la musica o l’immaginazione, e di tanto in tanto fungeva pure il mio piano, ma restava sempre una tortura.
Purtroppo però, vi erano giorni in cui nulla mi salvava, ritrovandomi a far cose delle quali non mi importava nulla ed il tempo trascorreva lento e inesorabile, come lo sgretolarsi di una montagna. Un supplizio per mente e corpo, credendo di impazzire se non avessi mantenuto la calma.
Intanto era un’occupazione come le altre e, visti i miei guadagni, qualcosa dovevo pur fare in vista dei miei progetti futuri.
Nonostante il lavoro fosse pressoché devastante, con Valerio mi trovavo bene. Era nato e cresciuto in quel piccolo paese, ma rispetto agli atri, durante il corso della sua vita, comprese qualcosa in più. Il che lo rendeva un personaggio di spicco e afferrato sulla maggior parte degli avvenimenti che accadevano ogni giorno. Fondamentalmente era una persona tranquilla, che passava parte delle giornate ad allenarsi con la sua bicicletta e non mancava mai alle opportunità di far festa con gli amici. L’unico suo problema era appunto il lavoro. Non staccava mai, manco per andare a cagare, pareva ossessionato, quando in realtà non gli importasse più di quanto importava a me, ma era la via più facile per lui di farsi una buona paga. In effetti andavamo d’accordo, ed alcune volte parlavamo seriamente di faccende personali. Comprendeva molto di ciò che dicevo, ma non fui mai convinto di spingermi oltre una certa linea immaginaria. Non so perché, ma sapevo che non avrebbe colto del tutto ciò che gli avrei detto. Altrettanto lui, non si sbilanciò mai troppo e non seppi mai il vero sogno della sua vita. Era come se nascondesse sempre qualcosa.
Come ogni giorno, la sveglia suonava, aprivo gli occhi ed immediatamente mi accorgevo del mal di testa dovuto alle poche ore dormite. In quel periodo bevevo molto e la sera prima tornai verso le quattro, dopo esser stato con un’amica, una buona compagna di bevute. Per cui sceso dal letto presi subito un antidolorifico e mi cambiai. Quel paesino distanziava da casa una quindicina di chilometri, ma non era male, poiché in tal modo avevo il tempo di ascoltare un po’ di musica e di riprendermi durante il tragitto.
Era un martedì, e in giro non vi era nessuno, se non quei soliti pensionati che gironzolano qua e là con le loro utilitarie che non raggiungevano mai più dei sessanta. Superati i primi inceppi giornalieri, giunsi in ufficio. Aprii ed accesi le luci ed i computer.
Come mio solito, prendevo un caffè e fumavo una sigaretta, ormai era divenuto un rito mattiniero.
Valerio sopraggiunse poco dopo con tutta la sua furia lavorativa, che dopo avermi salutato iniziò ad impartir ordini per la giornata.
-Oggi dobbiamo andare da Mauro e subito dopo da suo padre, hai già preparato le scartoffie?-
Tiravo sempre un lungo sospiro, dopodiché, accumulata tutta l’energia necessaria, mi buttavo a capofitto dietro di lui in tutto quel affanno.
-Sì, è tutto sulla scrivania.-
Non era poi così difficile a volte, basta mettere in standby il cervello ed iniziare a produrre, ed era anche l’unico modo per non chiedersi quale senso avesse farlo.
-Bene, allora ti faccio vedere il prossimo passo.-
Sospiro.
-Bene!-
E cominciavano in tal modo la maggior parte delle giornate, sedendomi al mio posto, innanzi al terminale.
Battevo i tasti in continuazione, stampando e consegnando documenti vari; il tutto con l’aggiunta delle innumerevoli interruzioni da parte sua, che con un “per favore” od un “per piacere”, mi portava a compiere centinaia di altre attività contemporaneamente. Così, tornando poi sui miei passi, perdevo il punto in cui ero rimasto.
La mattina però, nonostante tutto, trascorreva sempre piuttosto velocemente, un paio d’ore di pausa, dopodiché si riprendeva il turno.
Valerio inoltre, era un tipo piuttosto suscettibile, per cui saltava su sovente, non facilitando il mio già esasperante compito, ma nonostante gli insulti e gli esaurimenti, la giornata si concludeva sempre.
Dovevi starci attento a tutto quel “ora et labora”, altrimenti, come capitava spesso, ti ritrovavi in uno stato di falsa-depressione causata dallo stress accumulato. Perso e svogliato più che mai di proseguire. Veniva quasi da lasciar tutto e andarsene.
Ma come ho detto, Valerio non era male come persona e, finito il lavoro, si andava sempre a bere qualcosa al bar, ed ormai eravamo clienti abituali. Come tutti, del resto, in quel paese.
In effetti, molti dicono che la gente di montagna è gente strana, ma non l’ho mai pensato. Erano semplicemente una versione più cocciuta di quella di pianura e la maggior parte beveva come se non ci fosse un domani, ogni giorno. Per cui, entrando in una qualsiasi bettola od osteria, trovavi sempre qualcuno ormai ubriaco, disposto ad esporti ogni sua più recondita filosofia sulla vita.
Ci sedevamo al bancone ed ordinavamo birra fino a quando sua moglie non gli ordinava di tornarsene a casa.
-Vedi, anche io come te non avevo al minima intenzione di far questo lavoro.-
Mi disse, ed aggiunse.
-Infatti ai primi tempi ne ho fatte di cazzate, rimettendoci quasi tutto a causa dei debiti.-
-Ma allora perché lo hai fatto?-
Non ebbi però la fortuna di sentire la risposta, in quanto alcune persone continuavano a disturbarlo, chiedendogli informazioni tecniche su questa o quell’altra pratica.
Rassegnato allora, me ne andavo fuori per respirare un po’ d’aria fresca ed accendermi una sigaretta.
La socievolezza dei cittadini però era alta, per cui mi ritrovavo sempre a discutere dei soliti argomenti che la maggior parte dei paesani ritiene interessanti, ma perlomeno il tempo trascorreva veloce tra un bicchiere e l’altro.
Tornato poi da lui, come se niente fosse, cominciava a raccontar dei suoi viaggi intorno al mondo.
-Mi ricordo quella volta in brasile, in cui nessuno perdeva l’occasione di festeggiare abbandonando il proprio lavoro. –
-Eh eh! Non credo accadrebbe qui dalle nostre parti.-
-No di sicuro, ma il Brasile è così.-
Detto questo, pagò l’intero conto e salutando di fretta se ne andò, ed io feci lo stesso.
Presi la macchina ed andai a trovare degli amici che non vedevo da qualche tempo. Ben poco avevo di cui parlare con loro, ma una visita ogni tanto mi toccava.
In effetti non pareva manco gli interessasse la mia presenza. Continuavano semplicemente a sputar sentenze sul nuovo fidanzato di una certa ragazza e decretando quale programma televisivo fosse migliore.
Purtroppo su quegli argomento non ero molto afferrato, così rimontai in auto alla svelta e filai via.
-Buonanotte a tutti!-
Gridai prima di partire con aria entusiasta. Rivoltai gli occhi verso l’alto e me andai.
Era una sera di novembre. Quell’anno le giornate che precedevano l’inverno non sapevano di freddo e umidità, erano soleggiate, ed anche se le temperature stavano calando si stava bene.
Non si era mai visto un autunno così, pensai fra me e me.
Tirai l’ultimo sospiro della giornata, infondo un’altra era finita, ed era stata forse più vuota di molte altre.
Accesi la radio e misi uno po’ di buona Classica. “Adagio for Strings”. La notte era limpida e la luna piena. Infinità di stelle riempivano l’oscurità sopra di me e si potevano addirittura distinguere chiaramente i monti. La neve era appena caduta su di essi, e tutta quella luce stellare si rifletteva, illuminando il cielo al di sopra di loro. Per un attimo credetti che l’alba stesse sorgendo a mezzanotte.
In quel preciso istante, compresi che tutto quell’ inutile muoversi e dannarsi senza motivo, non poteva causarmi dello stress o del male, poiché non valeva nulla; ma ciò che al mio interno era assopito e celato valeva davvero qualcosa di più. Non era una speranza, era un idea, un pensiero.
E guardando per l’ultima volta quel panorama pensai:
– La bellezza esisterà sempre. –
Triste. E’ ben tratteggiata l’esistenza del personaggio e interessanti, se si vuole, sono le argomentazioni circa questo lavoro che assorbe tutto. Le ragioni d’esistere vanno cercate in altre cose. Il libero professionista (geometra, architetto, ingegnere, avvocato ecc. ) corre il rischio di bruciarsi l’esistenza rincorrendo il guadagno o la ricchezza o la gloria e, se non ha gli affetti, muore d’infarto o perde la vita per malattia. Forse ci voleva più ritmo per dare l’effetto devastante del lavoro.
Emanuele.
Non scrivo da molto, per cui il tuo consiglio è ben accetto. Ti ringrazio Emanuele.
Stefano.