Premio Racconti nella Rete 2014 “Le cinque versioni” di Matteo Pipitone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Era una fresca sera come tante altre; una giovane ragazza molto attraente con un look da discoteca si stava dirigendo verso la casa di un suo amico, che aveva organizzato una grande festa. Durante il tragitto attraversò una zona della città non molto frequentata. Proprio qui un uomo sui venticinque anni, di colore, abbastanza grosso e con una felpa nera col cappuccio, la aggredì: la afferrò per le spalle e la spinse contro il muro, mentre lei urlava sperando di ricevere aiuto. Per sua fortuna un giovane ragazzo di colore passava da quelle parti. Vide cosa stava accadendo e non aspettò un secondo; corse verso l’aggressore, urlandogli di fermarsi. Quest’ultimo, sorpreso dall’urlo, lasciò perdere la ragazza e scappò via; non aveva avuto il tempo di rubarle niente, ne di farle qualcosa di peggio, per fortuna. Il giovine si accorse che non era più solo: cinque individui avevano assistito all’accaduto e stavano guardando la scena dell’aggressione. Lui controllò il battito della ragazza che era sdraiata a terra priva di sensi: era svenuta, ma ancora viva.
“Chiamate la polizia ed un’ambulanza; la ragazza sta bene ma è meglio non rischiare.”
Subito uno dei cinque, un signore distinto e vestito in modo elegante, prese il cellulare e chiamò la polizia.
Dopo dieci minuti il posto si era riempito: ambulanza, macchine della polizia, poliziotti e medici.
La ragazza stava bene, ma era ancora sotto shock. Il giovane fu interrogato e raccontò tutto l’accaduto nei dettagli. In seguito due poliziotti dovettero interrogare gli unici cinque testimoni, che non erano entrate in contatto tra loro e che parevano sconvolte dall’accaduto.
Andarono ad interrogare per primo colui che aveva chiamato la polizia: il professore Giacomo, laureato in sociologia.
Giacomo ragionò molto prima di esporre i fatti. Pensò:
“Quello che ho visto è orribile, certo. Ma non è incredibile a pensarci bene. Al giorno d’oggi la società offre ben poco ai giovani e questi che possono fare per campare? Rubare in giro, ovvio. Sinceramente penso che questa persona non fosse cattiva o crudele, ma che sia stata in qualche modo costretta a fare ciò che ha fatto. Certo: se la società ci desse un’alternativa alla violenza …ma no! Anzi, ci dicono che è sbagliato fare queste cose e poi ci costringono a farlo per sopravvivere. La TV, il computer con tutti quei siti stupidi, i telefonini e le applicazioni stanno rovinando la gioventù con messaggi sbagliati. Non dico che non siano utili; io stesso ho un cellulare e guardo il telegiornale tutte le sere. Ma questi giovani non hanno altro da fare, gli importano solo queste cavolate. Non ci sono più modelli per loro; forse perché non ci sono le possibilità per mostrarsi. La società odierna non ci mostra qualcuno da prendere ad esempio; ci mostra “Il grande fratello“, oppure “Uomini e donne”, o ancora peggio Facebook e Twitter. Questo ci mostra la società di oggi. E cosa si impara? Meglio il computer alla vita vera; ecco cosa. Non mi stupisco se è accaduta una cosa del genere; il mondo ormai è malato dentro. E poi non c’è lavoro ormai. Cosa si ci può aspettare? Che quel poveraccio muoia di fame aspettando che gli venga trovato un posto di lavoro? Certo che no: andrà in giro a rubare, per ottenere almeno un tozzo di pane, per campare. Povero cristo. Era di pelle scura ma non conta minimamente ne il colore della pelle, ne l’etnia, ne la religione. Poteva essere tranquillamente un bianco, un cristiano, un islamico, un ebreo, chiunque si trovi in una società morta come questa. E poi quella giovinetta che camminava con fare da modella, con quei vestiti cortissimi ed attillati, tutta truccata. Sono assolutamente contro ogni tipo di violenza sessuale, ma andarsela a cercare è proprio da sceme. Ma la capisco: la società le dice che o fa così o non è nessuno. E lei segue l’unico modello che trova: le attrici, rifatte, drogate, anoressiche, vittime della TV. Che mondo orribile è mai questo?!”
Poi, quando gli fu chiesto di esporre i fatti, disse:
“Un uomo con cappuccio ha aggredito la ragazza, che a parer mio se l’è cercata uscendo così di casa, e poi quel giovine di colore è corso a salvarla. Certo, è stato uno spettacolo orribile; quel tipo poteva derubarla, stuprarla o peggio. Ma bisogna capire che non è colpa sua; la società odierna lo ha portato a questo. Lui è diventato un’animale perché il suo ambiente lo ha costretto; non ha potuto fare altro. Come tanti giovani d’oggi, non trova lavoro e necessita di rubare per vivere. Ha sbagliato certo, ma non si può accusare solo lui. In confronto alla causa, quel tipo non ha fatto nulla. Inoltre l’altro giovane è un eroe; senza pensare al rischio ha salvato la ragazza. Per fortuna c’è ancora qualche anima buona nel mondo.”
I poliziotti andarono poi ad interrogare il secondo testimone: un tipo strano, rasato, vestito di nero, non molto giovane. Si chiamava Joe, ed era un meccanico.
“Bastardi negri” pensò tra se,“sono tutti uguali. Creature inferiori, crudeli, mostri. Non mi stupisce che aggrediscano la gente per strada. Questa povera ragazza voleva solo andare alla festa e divertirsi con gli amici. Invece è quasi morta perché aggredita da un depravato nero. Quel mostro la avrebbe torturata, stuprata, derubata ed uccisa; ne sono certo. Che figlio di puttana. Quella gente nera sta avvelenando la nostra civiltà; la corrompe dall’interno e la distrugge. Era meglio ai tempi, quando i negri non erano accettati. Ora, con sta cavolata che siamo tutti uguali, … ma uguali cosa? Noi bianchi siamo migliori di quella feccia inferiore capace solo di fare del male. Mi ricordo bene quella volta; tre giovani, di cui due neri, mi hanno fregato la macchina e sono scappati via come razzi. Quei due negri hanno convinto certamente il terzo, bianco, a fargli da complice; mi hanno derubato solo per divertirsi. Feccia dell’umanità, ecco ciò che sono i neri.”
Alla stessa domanda della polizia rispose:
“Un negro depravato l’ha aggredita, quella povera bambina, tentando di violentarla. Non occorre dire cosa intendeva fare; ma i neri sono tutti uguali. Che feccia inutile avvelena il nostro mondo!”
“Ma è stato uno di colore a salvare la giovine.”
“Be … c’è sempre un’eccezione che conferma la regola. E poi quel tipo non la racconta giusta: stava seguendo la ragazza per gli stessi scopi ed è intervenuto solo per non perdere la preda; se non ci fossimo stati noi come testimoni, adesso lei sarebbe morta chissà dove. E poi ho notato che aveva un coltello; adesso lo avrà nascosto, ma prima lo aveva. Ha agito per se stesso, come tutti i neri del resto.”
L’indagine si spostò sulla terza testimone: Annalisa, una buona donna che lavorava come babysitter e donna delle pulizie. Mentre aspettava la polizia pensò all’accaduto:
“Incredibile ciò che avviene nelle strade. Però capisco le ragioni di quel tipo: capisco perché ha fatto una cosa simile. Sicuramente ha avuto una vita difficile, senza amore. Forse in orfanotrofio o peggio; forse non aveva altre possibilità per vivere. Lui potrebbe essere mio figlio.
Il mio bambino, concepito al liceo; non potevo fare altro che abortire. Non avevo soldi, il padre mi avrebbe ucciso se lo avesse saputo, la mia famiglia mi avrebbe diseredato. Ho scelto di abortire, ma se lo avessi fatto nascere e poi abbandonato davanti ad una chiesa? La sua vita come sarebbe stata? Sarebbe esattamente così: furti ed aggressioni per vivere. Non mi sento di colpevolizzare quel poveretto, ne la ragazza: lei non ha alcuna colpa e lui … non conoscendo la sua storia, non posso dire che è cattivo.”
Ricevette la solita domanda e rispose:
“Guardate, agenti; è tutta un’incomprensione. Non è successo nulla; il giovane ha creduto che la stesse violentando e lui è corso via per paura di essere accusato di una cosa non vera. Probabilmente la giovine era svenuta e lui la stava solo aiutando. Non avendo testimoni è scappato. Non c’è nessuno da accusare; nessun colpevole ne alcuna vittima.”
Si passò alla quarta: Emma, giovane e bella, studentessa in teologia e lavoratrice presso una gelateria. Prima di parlare con loro aveva pensato:
“Ciò che ho studiato è vero; il male vive tra noi. Satana ha usato quel povero uomo per i suoi crudeli scopi. La possessione esiste, purtroppo. Per grazia di Dio quel giovane è passato di lì ed è intervenuto. Senza di lui, Satana avrebbe potuto … far nascere l’Anticristo. Non voglio nemmeno pensarci. Spero solo che Dio riesca, prima o poi, a fermarlo del tutto. Se ha salvato il mio fratellino dalla leucemia, allora riuscirà a fermare anche il male puro.”
Alla domanda, con calma rispose:
“Ciò che è accaduto è, come sempre, opera di uno scontro millenario e temo infinito tra Dio e Satana. Quest’ultimo ha assunto il controllo di un uomo per aggredire una giovane ragazza; Dio però ha fatto in modo che quel baldo giovane fosse lì. L’unico da accusare è il signore dell’Inferno, nessun altro.”
I due agenti si diressero verso il quinto ed ultimo testimone; Harry, avvocato laureato in legge.
Costui aveva già pensato:
“Nulla è come sembra! Questo è sempre stato il mio credo. Già più volte mi è accaduto di vedere il mio credo realizzato:
Quella volta, per esempio, il mio cane abbaiava contro un uomo di tutto rispetto; credevo avesse in tasca del cibo. Invece il mio brava cagnone aveva fiutato della droga. Quello’uomo tanto rispettabile era uno spacciatore; chi lo avrebbe mai sospettato?
E poi quella volta che la vecchia signora che abita davanti a casa mia accusava un giovane di aver ucciso il suo gatto? Effettivamente il ragazzo dark e fumatore odiava quel micio e più volte aveva minacciato di ucciderlo. Inoltre aveva i pantaloni graffiati. Alla fine il gatto era vivo e vegeto, sdraiato sul divano in soggiorno dove la padrona non aveva guardato ed il giovane aveva acquistato pantaloni strappati seguendo la moda.
Quindi è possibile che l’aggressione non sia davvero avvenuta. Io ho visto soltanto un giovane correre verso il vicolo; l’uomo vicino alla ragazza svenuta è corso via. Non so cosa possa essere accaduto davvero. Quindi non intendo colpevolizzare qualcuno senza la certezza che sia colpevole.”
Alla domanda rispose:
“Mi dispiace tanto ma non posso dirvi niente. Non avendo visto tutto l’accaduto dall’inizio, non posso nemmeno affermare che un’aggressione è avvenuta; ne che il giovane di colore sia un eroe, ne che l’uomo scappato sia un depravato o un malvivente. Non ho prove ne certezze. La mia testimonianza sarebbe soltanto una grande supposizione. Troppo spesso la verità non è l’apparenza. Niente è come sembra; ricordatelo.”
La polizia lasciò liberi i cinque testimoni dopo aver preso i numeri di telefono, poi fece portare i due giovani all’ospedale e tornò alla centrale. Il capo si trovò davanti cinque testimonianze incongruenti e niente di utile. Il caso fu archiviato.
Credo che il racconto voglia dimostrare come la “verità non esista” perché, come nel caso descritto, ognuno prescinde dal fatto osservato e mette del suo, condizionato dallo sguardo critico dipendente dal proprio vissuto. E’ una prova difficile da superare in quanto la narrazione risente delle cinque testimonianze, diverse tra loro che la frammentano.
Emanuele.
Salve, mi piace molto l’idea di questa struttura fatta di punti di vista.