Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Lagnarsi al Café Jolies Mémés” di Francesco Saccà

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Da un paio di anni a questa parte ho accolto nella mia vita un nuovo oggetto, o forse è solo una scusa, che rende le mie giornate sempre un po’ più piacevoli: il mio bastone. E da ieri sera, per colpa del mio bravo medico che ha curato la mia ulcera al piede destro dovrò tornare a farne a meno, come ho fatto per gran parte della mia esistenza.
Il mio bastone…
Ne ho scoperto i pregi la prima volta che l’ho usato per andare a ritirare la pensione. In quel momento ho finalmente provato la soddisfazione che si può avere nel poter essere trattato per quello che sono, un vecchio Pépé. Ha un che di masochistico forse, ma alla mia età tutto diventa così monotono che, per avere un po’ di pepe nelle 16 ore che passo lontano dal mio letto, sarei disposto persino ad indossare un paio di scarpe più piccole di una misura se questo significherebbe tornare a casa con un nuovo
callo. Un nuovo dispiacere. Che diviene un piacere. Se mi dà la possibilità di lamentarmene.
Chino sulla mia terza gamba, quella di legno, cammino a testa bassa. Gobbo per scelta. Da questa prospettiva la vita appare lo stesso come una rottura, ma perlomeno è una rottura un po’ diversa.

E’ iniziato tutto quando un giovane impiegato dell’ufficio postale, vedendomi tanto incurvato da non poter osservare altro che il pavimento, mi ha consegnato il regalo che ogni mese ricevo da Babbo Statale, ma con una banconota da 50 in meno, convinto che io non mi fossi accorto di nulla. Gliel’ho lasciato fare, come fosse un regalo al mio nipotino, il nipotino che non ho. Se la memoria non mi inganna, e in questo caso sarebbe l’unica cosa da cui non mi faccio ingannare da un bel po’ di tempo, fu in quel giorno che decisi di tramandare le mie sventure e i relativi piagnistei alle mie generazioni future, generazioni future che, come è facile immaginare, non ho.

Il pubblico preferito delle mie lagne sono sempre state le persone che sono solite aiutarmi, ad attraversare la strada, a portare le buste della spesa, a lavarmi il culo… insomma quelle persone che mi chiederebbero volentieri la mancia che, purtroppo per loro, ormai do regolarmente al mio nipotino ogni primo giovedì del mese, senza nemmeno il bisogno che passi un soldo dalle mie tasche.

Negli ultimi tempi però, in città deve essere girata la voce, fra le persone più buone e sensibili di Lille, che “quel vecchio pazzo di Pépé François si fa abbordare volontariamente solo per rompere un po’ i coglioni”.
Già, beccato. Prima mi cerco le grane e poi cerco le persone a cui raccontarle, per aver grane anche con loro. Non mi basta mica camminare guardando terra e prendermela con un muro se decido di sbatterci contro, o con un cane se decido di restare fermo impalato a fargli da orinatoio.
Ho bisogno di orecchie che mi ascoltino io! Ed è sempre grazie al mio bastone che un mese fa fortunatamente ne ho trovato un paio nuove. Al Café Jolies Mémés.

Una domenica pomeriggio, dopo aver frignato contro le oche del laghetto nel Jardin Vauban, per niente disposte a mangiare le mie briciole di pane integrale, ho vagato per almeno un kilometro su strati di cemento fino ad allora sconosciuti ai miei occhi innamorati dell’asfalto, con l’intento di dar fastidio ai locali che superavano i 40 decibel di rumore. Per l’occasione avevo anche aumentato la potenza del mio apparecchio acustico, in modo da sviluppare un’ipersensibilità da Uomo Ragno tale da sentire una mamma bisbigliare al suo bambino a 10 metri da me per poterla rimproverare con un sonorosissimo colpo di tosse. E magari rubare il biberon dal passeggino,
No. Niente mamma, né bambino nel passeggino. Così decido di inciampare su un marciapiede, e lo faccio così bene che quasi perdo i sensi. Disteso sulle piastrelle osservo l’insegna sopra di me per scoprire che i falsi schiamazzi che mi hanno portato lì sono opera di due nonnine sorridenti dalla faccia tonda e dai capelli bianchi pieni di bigodini. Neanche il tempo di mettere a fuoco il nome del bar che una giovane donna con la parrucca (lei la metto subito a fuoco) mi tira su lentamente e mi chiede: “Tutto bene?”

Annuisco distrattamente. Sono già pronto a recitare il mio pezzo “Quando mi lamento il mondo è ai miei piedi” quando la ragazza ottantenne, dopo avermi fatto accomodare dentro, ad un tavolo in ombra, si siede di fronte a me e mi osserva al di là di un paio di occhiali spessi quanto fondi di bottiglia che mi impediscono di vedere che colori nasconde al di là delle lenti.
Tanto meglio. E’ l’ideale per un attore come me non sentirsi addosso gli occhi della platea. Di solito sono costretto guardare un punto indefinito all’orizzonte.

Le ordino subito un cafè noisette da poter sorseggiare nelle pause fra un brontolio e l’altro e, inspiegabilmente, dopo averle raccontato tre storie su come l’umanità intera mi remi contro (e io gli dia una mano a farlo), lei è ancora lì ad ascoltarmi. Le ho detto di quella volta che mi sono travestito da vecchia e mi sono fatto scippare la borsetta. E lei si è messa a ridere ed è rimasta lì. Le ho raccontato del mio mese da finto paralitico in cui ho voluto lasciare a casa il mio bastone, girare in sedia a rotelle e dare qualche bella lezione in quei luoghi dove non ci sono rampe per disabili. E lei si è messa a ridere ed è rimasta lì. Le ho detto persino di quella volta che nell’intervallo di “Blue Jasmine” al cinema Lumière ho fatto abbassare il volume degli altoparlanti, sebbene in realtà il mio apparecchio fosse spento e mi stavo godendo solo le immagini. Quest’ultimo particolare non gliel’ho detto ma lei si è messa a ridere ed è rimasta lì.

Ora, io non sono mai stato bravo a capire le persone che non fossero me, ma mi sembrava proprio di non poterla prendere in giro quella lì. Anzi più di una volta ho pensato fosse lei a prendere in giro me.
Quale sia la verità non lo so. Sta di fatto che ormai da un mese sono cliente fisso al Jolies Mémés ed è sempre la stessa giovane Mémé ad accogliermi ogni giorno con un “tutto bene?”, a tenere occupato il mio solito tavolo e a dedicarmi almeno mezz’ora del suo tempo sulla sedia perennemente libera davanti a me, in un religioso silenzio rotto solo dal peccato delle sue fragorose risate o dal picchiettare del mio bastone per terra che richiama la sua attenzione.
Il mio bastone…

Niente mi impedirà di lagnarmi nel mio Café anche oggi, nonostante il mio bastone non ci sia più. Sono le otto e mezza di sabato mattina, l’ora e il giorno di punta di Pépé François e di nessun altro. Metà Lille rimane chiusa in casa per non incontrarmi. L’altra metà evita semplicemente il numero 69 di Boulevard de la Liberté.
Il campanello all’entrata annuncia il mio arrivo. Faccio uno sforzo incredibile a camminare a testa alta soprattutto perché non voglio farmi scoprire, ma fortunatamente la giovane Mémé non c’è. Sarà nel retro o forse in ritardo. Non è mia intenzione farle sapere che non porto più il mio bastone, le persone non sono gentili e non fanno nemmeno finta di esserlo se sembra che tu riesca
a camminare con le tue gambe.

Siedo al solito posto e ordino il solito café noisette, stavolta alla vecchia Mémé dietro il bancone. Ora che ci penso dev’essere lei la proprietaria. La tazzina calda sembra arrivare da sola, tanto sono assorto nell’attesa della mia cameriera preferita. Sull’attenti, pronto a scolarmela tutta d’un sorso e a berne un’altra insieme a lei. Ora che ci penso lei si è sempre seduta con me ma
non ha mai bevuto niente.
Dopo una noiosissima mezz’ora il campanello risuona e dalla porta entra una giovane ragazza dai capelli lunghi e biondi, un ciuffo immobile a coprirle metà fronte, gli occhi azzurri che si vedrebbero anche se soffrissi di cataratte. Si dirige velocemente nel retro e dopo pochi minuti interminabili ne esce con la sua solita chioma grigia, la sua gonna a quadretti bianchi e blu, la camicetta bianca e le maniche rivoltate fin sopra i gomiti.

“Tutto bene, François?” Ha già in mano una tazza di café noisette, la giovane Mémé mi conosce. E non si é accorta che non ho più il mio bastone.
Sono contento. Così contento che le racconto di quando ieri nella sala d’attesa del medico sono rimasto in piedi finché tutti i posti non si sono occupati e poi ho fatto alzare un bambino dandogli del maleducato. Così contento che le dico che ieri sera tornando a casa ho sgridato il portiere che aveva perso la mia posta, quando in realtà l’avevo già presa io. Così contento che le rivelo di aver
spento il mio apparecchio acustico quella sera al cinema Lumière, e tutto senza aver nemmeno toccato la mia seconda dose di café noisette.

Niente. Neanche l’ombra di un sorriso. Le sue labbra sembrano provarci ma il suo viso le blocca in una smorfia di dolore. Lo spettacolo è andato male, il mio pubblico torna insoddisfatto dietro il bancone. Eppure é rimasto fino alla fine delle mie tre storie qui di fronte a me.
Che succede giovane Mémé? Perché tiri su col naso? Cosa scivola al di sotto dei tuoi occhiali a fondo di bottiglia? Non possono essere lacrime. No, Mémé. Non stai piangendo. Non è possibile. Non ti ho mai vista piangere. Piangi forse perché non ho più il mio bastone?

Merda! Il mio bastone! Proprio quando serve non ce l’ho più. Dannato il mio bravo medico!
Non preoccuparti giovane Mémé. Torno a casa a prenderlo. La giovane Mémé ha bisogno di lamentarsi. La giovane Mémé ha bisogno di piangere.
Aspetta, non piangere! Aspetta che ti porti il mio bastone, in modo che tu possa piangere per terra. Piangi per terra, giovane Mémé, confonditi con la pioggia. Non piangerti addosso. Rovinerai il tuo bel nome dorato, scritto in corsivo sulla tua camicetta.

Ora che ci penso, qual è il tuo nome, giovane Mémé?
L’ho sempre avuto davanti agli occhi ma tu, tu non me lo hai mai detto.

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18 commenti »

  1. Il lamento come unica forma di comunicazione rimasta, l’ultimo disperato tentativo di ricordare agli altri la propria esistenza e affrancarsi dalla solitudine. “Un nuovo dispiacere. Che diviene un piacere. Se mi dà la possibilità di lamentarmene.” Bellissimo soggetto, scrittura fluida e coinvolgente.
    La ragazza con la parrucca è un mistero che non necessita di essere svelato.
    Mi è piaciuto moltissimo.

  2. Non so se vale anche per altri, ma trovo elementi che rimandano a Svevo e Pirandello, con sfumature di Kafka. Complimenti.

  3. Bravo!!

  4. Intrigante,
    crepuscolare.
    Bel racconto.

  5. Grazie mille a tutti, grazie per il rimando a Pirandello (mi onora), per l’intrigante, per il crepuscolare…
    Mara, sono davvero contento che ti sia piaciuto tanto da leggerci più di quanto c’è scritto. Le parole sono sempre le stesse, sono gli spazi fra le righe che gli danno una vita ogni volta diversa da quella di un qualsiasi altra persona che la legge. La tua interpretazione, ovviamente, mi ha fatto molto piacere.

  6. Davvero un buon racconto.
    “Negli ultimi tempi, in città deve essere girata la voce, fra le persone più buone e sensibili di Lille, che ‘quel vecchio pazzo di Pépé François si fa abbordare volontariamente solo per rompere un po’ i coglioni’ ”: questa è una frase che brilla e forse io la storia l’avrei fatta partire da qui, ma… è questione di gusti. Il racconto è molto originale, anche nello stile.
    Complimenti!

  7. Un vecchio burbero e rompicoglioni con l’animo buono verso il “nipote” dell’ufficio postale e con la Mémé che non sopporta di veder piangere e verso la quale si scopre affezionato, tanto da voler correre a casa per riprendere il suo bastone magico. Un gran personaggio, tratteggiato con cura. Mi è proprio piaciuto.

  8. @Carmen Devo ammettere che la frase in questione è proprio da incipit, però penso che avrebbe delineato il personaggio un po’ troppo presto, il che non è assolutamente un male (soprattutto nei racconti brevi). Non so motivarti precisamente la mia scelta, ma credo possa derivare dalla speranza di un progetto sempre più ampio, la speranza che una storia possa continuare oltre la fine, e perché no, magari continuare anche prima dell’inizio.
    Cito e ringrazio @Roberto per darti un ulteriore motivazione della mia scelta, pur essendo d’accordo sulla tua idea. Forse è un modo che il protagonista stesso usa per prendere spazio nell’ambiente che lo circonda, e un vecchio burbero, rompicoglioni che pensa solo a se stesso (e in seguito si affeziona a un personaggio silenzioso) non permetterebbe mai che qualcuno parli male di lui, senza prima averlo fatto lui stesso.

  9. Racconto originale che incuriosisce.
    Ben scritto,
    narra di un antipatico
    che in fondo ispira…simpatia
    🙂

  10. Grazie mille Maurizio! In fondo chi sa di essere antipatico e vuole esserlo non può che desiderare di “ispirare” simpatia, perché simpatico non lo sarà mai. Non può che desiderare di piacere per quello che è, o forse nonostante quello che è. Perché non esaudire questo semplice desiderio?

  11. Sono venuto a farti visita per ricambiare la tua. E ti ringrazio di averlo fatto… per le giuste critiche al mio racconto e per avermi dato la possibilità di leggerne uno davvero bello. I vecchietti bisbetici mi sono sempre stati simpatici !!!

  12. Francesco complimenti, mi è piaciuta tantissimo la descrizione del protagonista attraverso le sue bizzarre azioni, paradossale la figura della “giovane ottantenne” che si mette la parrucca. Racconto molto particolare e originalissimo.

  13. Sono tutti personaggi reali che incontri al bar, nella sala d’attesa del medico o alle poste dove finora non ho trovato dipendenti corrotti per fortuna. Primo tra tutti quest’uomo che vive la vecchiaia come recriminazione per ciò che non ha avuto o per la considerazione pretestuosa che vecchio/a voglia dire saggio/a. Quanti cercano un bastone, un oggetto che dia loro sicurezza in questa società anche se non serve?
    Francesco, bravo per il soggetto e le belle espressioni, per la narrazione scorrevole.
    Emanuele.

  14. Grazie Ugo e grazie Francesca, i complimenti sul personaggio che si è creato a volte valgono più degli apprezzamenti sul metodo di scrittura. Ti danno la sensazione di aver dato vita a qualcosa di reale, a una persona, in questo caso a un vecchio bisbetico, che rimane nascosto chissà dove e per chissà quanto tempo finché non sei tu a raccontare di lui. Nasce alla veneranda età di 80 anni e nonostante sia già prossimo alla fine tu hai la possibilità di dargli migliaia di pagine da vivere.

    E grazie Emanuele, sia per il commento a questo racconto che a “Lo spazzolino in attesa”. Sono contento che ti sia piaciuta la narrazione e le “belle espressioni” ma soprattutto che tu condivida perfettamente con me l’idea che ti sei fatto del protagonista. È sicuramente piacevole creare nel lettore sensazioni e impressioni nuove, che possano anche non avvicinarsi a quelle di chi ha scritto, ma più di ogni altra cosa fa piacere sapere che c’è chi, leggendo quello che hai scritto, prova impressioni talmente simili alle tue da pensare che ti abbia tolto le parole di bocca.

  15. Bene bene!!!

  16. Un racconto scritto molto bene con protagonista un “burbero” che alla fine, così burbero non è! … 😉

  17. Scusa Francesco se ti leggo solo ora ma era una lettura troppo impegnativa, un testo irto di particolari per cui mi ci voleva un po’ più di tempo del solito.
    Pepè in fin dei conti non è “il solito rompicoglioni” perché quelli sono duri, non si impietosiscono per qualche lacrimuccia, viene sempre prima il loro malanno.
    Mi hai fatto venire voglia di andare a Lille al 69 di Boulevard de la Liberté… Però verso le nove di sera!!
    Ciao

  18. Anche i cattivi hanno un cuore! …..che aspetta solo di funzionare.
    Angela

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