Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Nonna Jole e le parole” di Serena Schiavon

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Noventina era un paese di provincia incastrato tra due città della Pianura Padana.

Nella piazzetta centrale del paese c’erano la chiesa, il bar, il Municipio e il “casolino”, che vendeva pane latte e generi di prima necessità. Le case attorno si accavallavano l’una sopra l’altra come se non ci fosse spazio dove infilarsi. Ma qualcuno si poteva anche permettere un fazzoletto di giardino dove coltivare le erbe aromatiche e far giocare i figli.

Tutti si conoscevano, le porte delle case rimanevano sempre aperte e se vedevi qualcuno sotto la pioggia potevi caricarlo in macchina senza paura di essere rapinato.

La vita trascorreva leggera come il canto degli uccelli all’inizio della primavera, anche se da qualche tempo tutti si interrogavano sul misterioso comportamento di nonna Jole.

Era l’argomento principale tra gli avventori del bar di Beppi e tra le frequentatrici della parrucchiera Monica, che aveva trasformato una piccola ala della sua casa in un covo di donne pronte a sguinzagliare la lingua su qualsiasi argomento.

Così come da Beppi gli uomini chiacchieravano, infilando qualche bestemmia come contorno davanti a un gotto di vino e una partita a briscola, presso Monica le donne sovrapponevano le loro voci squillanti tra bigodini e riviste di gossip.

L’argomento di discussione degli ultimi mesi erano, appunto, le varie ipotesi sul perché nonna Jole avesse preso quella decisione. Il figlio Matteo e la nuora evitavano qualsiasi domanda sull’argomento distogliendo lo sguardo e cambiando discorso. Solo la nipote, Alice, ne parlava con gioia, dicendo che la nonna era in cerca delle parole perdute.

Tutto ebbe inizio il giorno in cui nonna Jole cominciò a parlare in maniera strana. Stava imburrando una teglia per adagiare la pastella dei biscotti facendo vedere alla nipotina come fare e disse: «Adesso devi integliare la burra». Disse proprio così. Scoppiarono entrambe a ridere, ma non fu affatto un episodio isolato. Da quel giorno nonna Jole spesso sbagliava a parlare e non riusciva a dire la frase in maniera corretta. Così il risotto con zucca e funghi diventò funga e zucchi e la cotoletta alla milanese si trasformò in motoletta alla cilanese.

Nonna Jole abitava al piano inferiore di una casa bifamiliare color giallo sabbia. Al piano superiore viveva il figlio Matteo con la famiglia. La casa aveva un giardino antistante con un grande giuggiolo, che celava in parte alla vista il portone d’ingresso color verde olivastro. Si trovava nella strada chiusa proprio dietro al bar di Beppi. Quando Paride, il marito di nonna Jole, era in vita, ogni sera prima di cena si recava al bar per fare quattro chiacchiere e un paio di partite a briscola.

Appena entravi in casa di nonna Jole il profumo di cibo che aleggiava nell’aria ti investiva come la brezza dell’estate. La cucina era piccola e aveva dei classici mobili in legno scuro: era il suo regno.

A volte Alice correva in cucina a salutarla, e se c’erano gli gnocchi adagiati sul tavolo infarinato si bloccava per toccarli con l’indice e saggiarne la consistenza. La nonna indossava sempre degli occhiali spessi con la montatura pesante anni sessanta e aveva i capelli rosso-marrone, proprio come quelli di Alice. Quando cucinava indossava un grembiule color panna, punteggiato da vivaci macchie che mille lavaggi non volevano del tutto eliminare; la nipote la osservava, rapita da quelle mani affusolate ed esperte che creavano magie culinarie.

Almeno una volta al mese, dopo cena, la nonna chiamava Alice in cucina e tirava fuori dal frigo una coppetta di crema mascarpone, avanzata dalla preparazione del tiramisù (che faceva rigorosamente con i biscotti secchi). La teneva solo per lei.

D’inverno prendeva una tazza, ci metteva il cacao, la farina, lo zucchero e mescolava energica. Appena si fermava per prendere qualche ingrediente Alice immergeva il dito nella tazza per assaggiare. La nonna aggiungeva il latte e poi poneva il tutto in un pentolino sul fuoco. La nipote aspettava senza staccare gli occhi dalla nonna che mescolava continuamente con un cucchiaio di legno, poi le porgeva la tazza bollente di cioccolata calda dicendole di stare attenta a non scottarsi. Alice aspettava che facesse la “buccia” sulla superficie, annusando l’aroma di cioccolato. Poi la rompeva col cucchiaino e si gustava la pozione del buon umore.

Dal momento in cui nonna Jole cominciò a parlare in maniera strana, passarono alcune settimane, fino alla sera in cui il figlio Matteo, preoccupato del protrarsi dell’accaduto,  le suggerì di andare a farsi visitare dal Dottor Antonio. Nel pomeriggio a nonna Jole era sfuggita una frase riferita alle pietanze talmente contorta che Alice si era bloccata con la bocca spalancata a fissarla.

Le due si erano guardate, senza ridere, poi Alice aveva rotto il silenzio: «Nonna, non devi preoccuparti, la mia maestra dice che a volte le parole ci sfuggono perché non le sentiamo nostre. Ma leggendo dei buoni libri ed esplorando il mondo possiamo dare un senso a tutto ciò che non capiamo».

Alice era molto intelligente per i suoi nove anni, parlava poco, ma quando lo faceva non diceva mai cose a caso. Probabilmente aveva già capito il fascino delle parole.

La nonna e la nipotina finirono di preparare il tiramisù, Alice attenta a tutti i passaggi, nonna Jole persa in pensieri scivolosi, simili agli albumi che stava montando. La sera la bambina raccontò ai genitori l’accaduto del pomeriggio e Matteo decise di dire a sua madre di farsi visitare.

Trascorse una settimana prima che nonna Jole decidesse di andare dal dottore. In quei giorni aumentò la sua inquietudine per le frasi sconnesse che le uscivano involontarie, e talvolta taceva per non creare imbarazzo alla sua famiglia. In quei giorni non uscì neppure per fare la spesa e annullò l’appuntamento con Monica e i suoi bigodini, da cui era solita recarsi il venerdì alle dieci.

Il dottore la esaminò da cima a fondo ma non riscontrò nessuna malattia particolare. Nonna Jole, con i suoi settantacinque anni, stava bene, aveva solo un po’ di artrosi, perciò le suggerì di andare a fare delle cure specifiche alle terme.

A dir la verità, oltre a qualche dolore qua e là, aveva da qualche tempo una stanchezza che le toglieva la voglia di scendere dal letto la mattina. Ma questo non lo disse al dottore. È probabile però che lui avesse intuito il malessere quotidiano che avvolgeva la nonna.

Stupì tutti quando riferì alla famiglia che sarebbe andata una settimana alle terme per curarsi i dolori. Nonna Jole aveva sempre fatto la casalinga e non era mai andata in vacanza da sola da quando il marito Paride era morto.

«Non è una vacanza, vado a curarmi, il dottore mi ha consigliato un albergo carino dove alloggiare. Vi sto già preparando le lasagne, le parminzane alla melagiana e altri machinaretti» disse nonna Jole facendo finta di non aver sbagliato le ultime tre parole pronunciate. Il figlio, la cognata e la nipote la guardarono preoccupati.

Matteo ruppe il silenzio dicendo che forse aveva solo bisogno di riposarsi un po’ e che l’avrebbe accompagnata in macchina fino all’albergo.

Fu così che nonna Jole partì alla volta delle terme.

Conclusa la settimana di terapie decise di prendere il treno e andare a farsi un giretto a Trieste, da una cara amica che non vedeva da anni. Trascorsa un’altra settimana si recò alla stazione per acquistare il biglietto per tornare a casa, ma invece di dire Noventina le uscì Firenze e così si ritrovò in viaggio verso una città a lei sconosciuta.

Dopo Firenze si ritrovò a visitare Perugia, Roma, Napoli e osò pure prendere il traghetto per andare in Sicilia, dove trascorse i mesi estivi. Ogni volta che nonna Jole si recava alla stazione dei treni con l’intenzione di comprare il biglietto di ritorno, ripeteva ad alta voce il nome del suo paese, ma nel momento in cui si trovava davanti all’impiegato le scappava il nome di un’altra città e il cuore iniziava a fare le capriole per l’emozione.

Tutto il paese cominciò a spettegolare su di lei, dopo che erano trascorsi cinque mesi dalla sua partenza e non era ancora tornata.

Nonna Jole telefonava ogni due giorni al figlio, dato che non aveva un cellulare con sé, lo rassicurava sulla sua perfetta salute, si scusava molto ma aveva tanto bisogno di visitare nuove città per riacquisire la parola perduta. Matteo non ci capiva niente, era molto preoccupato e più volte le aveva detto che sarebbe andato a prenderla, ma lei non voleva e gli rispondeva che sarebbe tornata, prima o poi.

Nonna Jole aveva provato a sentirsi in colpa ma non ci era riuscita. Aveva trascorso la vita a badare alla casa, ai figli (uno era morto per un incidente a vent’anni) al marito e alla nipote. Ed ora si sentiva talmente felice che non aveva nessuna intenzione di tornare  a casa. Stava spendendo tutti i soldi che aveva messo da parte, ma d’altronde non c’era da preoccuparsi: avrebbe lasciato al figlio la casa e i risparmi avanzati.

Fu così che nonna Jole tornò solo dopo otto mesi dalla partenza.

La sua famiglia e il paese intero tirarono un sospiro di sollievo.

Ma nonna Jole dopo due settimane ripartì. Decise di comprarsi un cellulare per tranquillizzare il figlio, Alice le insegnò a mandare delle e-mail dal telefono, e prima di partire la nonna le disse, abbracciandola, che avrebbe scritto ogni settimana per raccontarle i luoghi visitati.

Nonna Jole ripartì un lunedì mattina dall’aeroporto di Venezia: aveva deciso di viaggiare in paesi lontani, provare l’ebbrezza di volare, e anche se non conosceva una sola parola straniera era convinta che si sarebbe fatta capire in qualche modo.

L’ultima e-mail che nonna Jole scrisse ad Alice la spedì dal deserto di Atacama, in Cile, un anno dopo la partenza. Scriveva tanto e raccontava ogni paesaggio ed ogni incontro con una minuzia di particolari che facevano sognare la bambina ad occhi aperti. Alice ebbe la prova che la nonna era guarita, aveva ritrovato la parola e l’aveva fatta propria, riuscendo a trasformare i suoi viaggi in racconti talmente gustosi che avrebbe voluto non finissero mai.

La nipote le rispondeva raccontandole la sua quotidianità e aggiungendo la trama del libro che stava leggendo quella settimana.

Nonna Jole morì in un giorno di splendido sole mentre visitava la Laguna Colorada, in Bolivia. Il cuore non aveva retto all’alta quota e alla visione di tale sconfinata e intaccata bellezza.

Il suo ultimo sguardo fu per un fenicottero rosa, il suo ultimo pensiero per Alice: nel diario di viaggio scritto a mano che portava sempre con sé da quando era partita, la nipote avrebbe trovato le parole per affrontare la vita come un sogno ad occhi aperti.

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9 commenti »

  1. bella favola sui bisogni profondi che si manifestano che lo vogliamo o no, e sul trovare la propria strada al vivere pienamente.
    Spero tu sia così fortunata da riferirti a una nonna realmente conosciuta. Auguri.

  2. Grazie Sergio, questo racconto è un omaggio a mia nonna, morta quando ero adolescente. Ho voluto donarle una vita e una morte migliori di quelle che ha avuto nella realtà.

  3. Serena, certi racconti che scriviamo, anche se non fedeli a quanto realmente accaduto, ci uniscono a chi non c’è più e ci portano a vedere “in un’altra dimensione”, è anche così che cresciamo e ci miglioriamo. È uno dei poteri della scrittura; l’hai utilizzato molto bene e, indipendentemente dall’esito del concorso (che ti auguro positivo), hai già vinto da sola.
    Secondo me è una storia che potrebbe anche rientrare nei racconti per bambini, si sente la ragazza che parla della nonna.
    Silvia

  4. Grazie Silvia, sono d’accordo con te sul potere della scrittura. In effetti ero indecisa se inserirlo nella sezione dei racconti per bambini, alla fine ho optato per gli adulti.

  5. Tenera e dolce come la crema al mascarpone della nonna. Si assapora l’amore e la complicità tra nonna e nipote.Bella l’idea di far viaggiare una nonna per il mondo cercando di recuperare il tempo perduto.Complimenti

  6. Grazie Francesca!

  7. Meravigliose nonne… Bel racconto, dolcissimo e scorrevole. Brava Serena.

  8. Racconto pulito,
    quasi una favola.
    Più che ai bambini,
    serve a noi, poveri adulti.
    Per riscoprire l’idea del viaggio
    e la sua magia.
    Ben fatto.
    Amo viaggiare.
    🙂

  9. Serena, ci ricordi che servono anche a noi adulti le favole. Dobbiamo tener presente i bisogni dei nostri genitori .. e suoceri rispettando le loro volontà. E’ la meravigliosa nonna, esperta di dolci e di pizzoccheri, come mia suocera e come sarebbe stata mia mamma.
    Emanuele

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