Premio Racconti nella Rete 2014 “Amabile incontro” di Paola Berti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Uno sguardo veloce all’orologio, sono le sette.
Esco frettolosamente dall’albergo con indosso il mio costume rosso, un pareo legato in vita, i vecchi e gloriosi occhiali da sole e i comodi infradito.
Pronta per la passeggiata mattutina.
Cammino a piedi scalzi in riva al mare.
La spiaggia è deserta, gli ombrelloni ordinatamente allineati, sono ancora chiusi.
Ascolto il rumore dell’acqua, mentre affondo i piedi nella sabbia; è fresca.
Osservo le mie impronte, impresse e cancellate nell’arco di un istante, come la mia vita fatta di emozioni e di amore, impresso e cancellato nell’arco di pochi momenti.
Respiro a pieni polmoni, vorrei mettere i miei ricordi migliori in una scatola e affidarla al mare.
Amo il mare, se solo potessi prosciugarlo, anche solo per qualche istante, ci troverei miliardi di sogni e di speranze, lui è il grande confidente.
Ad alcuni il mare riesce a tirare fuori del romanticismo, ad altri il desiderio di libertà e di fuga, a me entrambe le cose.
Mi chiamo Amanda, ho trent’anni, un lavoro precario e un compagno, Fabio, conosciuto due anni fa.
Nei giorni scorsi, ho usato tutti gli argomenti possibili per convincere Fabio a lasciarmi andare per il fine settimana, la scusa più efficace è stata la necessità di dover consumare alcuni giorni di ferie arretrate, che altrimenti avrei perso.
In realtà, dovevo allontanarmi da lui, prendere tempo e decidere cosa fare della mia vita.
Mentre cerco di mettere ordine miei pensieri, noto qualcosa di strano, mi fermo; osservo le impronte dei miei piedi sulla sabbia, il mare le copre ma nel momento in cui l’onda si ritrae, eccole apparire di nuovo.
Il battito del mio cuore accelera, gli occhi passano velocemente in rassegna ogni angolo della spiaggia, i lettini e gli ombrelloni sono improvvisamente scomparsi, stessa spiaggia ma con una sola sdraio aperta e una giovane donna seduta.
Comincio a correre, a imprimere le mie impronte con forza, camminando avanti e indietro, battendo i piedi sulla sabbia, nulla, tutto rimane impresso.
“Calmati”, mi grida la ragazza, “chi sei?”, le domando “cosa sta succedendo?”
“Siediti, posso spiegarti”, mi risponde con voce ferma, “spiegarmi cosa?”, replico innervosita.
La ragazza ha un attimo di esitazione, il vento gioca con i suoi lunghi capelli, la mano li ferma.
La sento prendere fiato, trattenerlo, per un istante che pare un secolo, poi liberarlo rumorosamente, accompagnandolo da un torrente di parole.
“So cosa ti sta succedendo e so anche di quell’uomo lasciato a casa che spesso alza le mani su di te, quell’uomo che credi sia così innamorato.
“Nessuno alza le mani!”, le rispondo “stai mentendo, conosci Fabio? Sei una sua amica? Mi sembri un po’ troppo giovane”.
“Il mio nome è Sara, sono la tua bambina mai nata, la tua bambina che un suo calcio ha ucciso, in uno dei quei momenti di folle amore per te. Ti amo mamma come non ho mai amato nessuno, non potevo più sopportare i tuoi pianti mentre mi pensavi, il tuo continuo senso di colpa verso di me, verso tutti, persino verso di lui. Il tuo sentirti inadeguata, sbagliata. Non lo sei, non lo sei mai stata, c’è tanta forza in te, la tua vita può cambiare. Io posso comunque nascere, se solo lo vorrai, se solo riuscirai a trovare in te stessa il coraggio di cui hai bisogno. Torna a casa, sai cosa fare”.
Sento un calore violento investirmi, attraversarmi il corpo e schiaffeggiarmi in viso. La testa mi gira.
“Che scherzo è questo” penso.
Mi siedo, esausta.
Osservo la ragazza; è bellissima, la somiglianza con mia madre è impressionante.
Le forze mi abbandonano, il contorno del viso di Sara sembra farsi sempre più indefinito, fino a scomparire. Sento freddo.
”Signora, chiamo un’ambulanza? Si sente male?”
Apro gli occhi, mi guardo attorno, sono stesa in riva al mare, un uomo piegato su di me mi parla. Con fatica, cerco di alzarmi.
L’uomo mi afferra per le braccia; ”stia tranquilla l’aiuto io, stavo correndo quando all’improvviso l’ho vista agitarsi e cadere, mi dia retta, venga con me, l’accompagno dal dottore”.
“No grazie”, replico “non ce n’è bisogno, sto meglio, è stato un semplice mancamento, grazie, torno in albergo”, “è sicura? Non mi costa nulla accompagnarla”, “si grazie ancora, è molto gentile ma credo di farcela.”
Devo rientrare, conosco la causa dello svenimento, qualche giorno prima di partire ho fatto il test di gravidanza: esito positivo.
Arrivata all’albergo, mi giro, nel rivolgere un ultimo sguardo al mare, socchiudo gli occhi e annuso l’aria; è stato tutto un sogno, penso, mentre m’incammino.
Me ne devo andare, mi sento impaurita e spaventata.
Arrivata in camera, preparo velocemente la valigia, sistemo alla rinfusa la mia roba, accertandomi di non dimenticare nulla.
Il rumore deciso della porta che si chiude dietro di me mi fa sobbalzare.
Arrivata davanti alla reception, chiedo di saldare il conto, giustificando la mia partenza anticipata.
“Non si è trovava bene?”, mi domanda il direttore, mostrandosi dispiaciuto, “no assolutamente, una zia che purtroppo si è aggravata e devo raggiungere in fretta”. “Mi dispiace”, replica. Gli sorrido ed esco.
Il taxi tarda pochi minuti, “alla stazione grazie”.
I pensieri corrono, si accavallano, sento di avere sufficiente determinazione per portare a termine ciò che da molto tempo volevo fare.
Arrivata in stazione, mi dirigo verso la biglietteria; “mi dica”, mi domanda la bionda signora allo sportello, sfoggiandomi un bel sorriso, “mi scusi, vorrei cambiare il biglietto di ritorno: anziché Milano, Verona”.
“Vedo cosa posso fare.” Mi risponde. Passano alcuni secondi, “ci sarebbe un posto in prima classe, il treno parte fra dieci minuti, se si affretta, riesce a prenderlo, posso scontarle il biglietto ma le costerà comunque”.
“Va benissimo”, porgo il bancomat e pago.
Corro verso il binario, arrivo in tempo per sentire l’annuncio del treno.
Salgo, trascinando a fatica la valigia, mi sento ancora molto debole.
Trattengo con forza il biglietto tra le mani, il posto a sedere è lato finestrino.
Sistemata la valigia, mi siedo, stringo le spalle alzando il bavero della camicetta. L’aria è carica degli stati d’animo dei passeggeri.
Respira il treno, si potrebbe paragonare a un polmone, inspira arrivi ed espira partenza.
Il cellulare che squilla mi distoglie dalle fantasie è il numero di Fabio, ho un attimo di esitazione, poi decido di spegnerlo.
Il signore di fronte a me alza per un istante lo sguardo dal giornale, mi abbozza un sorriso di circostanza e continua nella sua lettura.
Mi accorgo che sul tavolino a fianco è posata una locandina con gli orari dei treni, la apro distrattamente, un foglietto vola fuori, è scritto a mano con una calligrafia importante, in alcuni tratti si avverte indecisione nella scrittura, piccole imprecisioni dovute, sembrerebbe, a un tremolio della mano; comincio a leggere:
Vivo …
o forse sopravvivo.
Mi cerco e mi nascondo.
Faccio un passo,
vorrei uscire …
ma se poi penso a cosa vado incontro,
indietreggio e torno.
Mi cerco un nuovo posto …
e ricomincio a morire.
Sento un brivido salire lungo la schiena.
Infilo nervosamente il foglietto in tasca.
Chiunque l’abbia scritto non doveva attraversare un bel momento.
Certo, nemmeno la mia vita è il massimo. Non assomiglia per niente a ciò che desideravo.
Prima, quello strano sogno e poi questo biglietto …
Il mio pensiero corre al primo appuntamento con Fabio.
Quando lo conobbi, rimasi abbagliata dalla sua simpatia e sicurezza, era brillante, sempre con la battuta pronta, i suoi amici lo adoravano.
Me ne innamorai.
Vicino a lui mi sentivo sicura.
Non passò molto tempo che dovetti ricredermi.
Nel primo mese, tutto era magico, mai un litigio, Fabio era dolcissimo.
Pensavo fosse il grande amore, quello che ogni ragazza sogna, ero orgogliosa fosse capitato a me.
Questo senso di appagamento mi spinse a lasciare la mia casa e a trasferirmi da lui.
Avevo grandi progetti.
Ben presto mi accorsi della volubilità del suo carattere, bastava poco per farlo innervosire. Provava una gelosia ossessiva nei miei confronti, mi ripeteva che appartenevo a lui, che mi avrebbe protetta.
Il primo schiaffo che ricevetti, seguito da una valanga di scuse, mi lasciò senza parole, ciò nonostante, gli diedi poca importanza, mi sentivo ferita ma ero convinta che lui mi amasse.
Purtroppo ne seguirono altri, per i più svariati motivi.
La paura, ben presto, occupò il posto dell’amore.
Il fischio annuncia la partenza, reclino il capo, sono stanca, mi appoggio alla finta e appiccicosa pelle della poltrona, chiudo gli occhi.
Mi riposo solo un attimo.
Il viale, che porta alla grande casa bianca, è costeggiato da
rigogliosi cespugli di lavanda.
M’incammino trascinando la valigia divenuta all’improvviso leggera, l’aria profuma di rose.
In fondo alla strada, una donna di spalle è intenta ad annaffiare il prato.
Il rumore delle rotelle sul selciato la distrae, la vedo voltarsi di scatto.
La luce le illumina i capelli bianchi, la chiamo: “Mamma”,
“Amanda, tesoro, che cosa è successo? Come mai sei qui, ti credevamo al mare” mi risponde, mentre mio padre corre verso me.
“Sono tornata per restare, ho una cosa importante da dirvi e ho bisogno di voi”.
Entrammo in casa. La porta si chiuse, nei giorni a seguire spiegai tutto ai miei genitori, li avvisai della mia scelta di lasciare Fabio e di tenere il bambino.
Dopo un primo momento d’incredulità, compresero e si organizzarono.
Ero la loro unica figlia, capirono la situazione, un bimbo, in fondo, era per loro motivo di felicità.
Nei mesi che seguirono, Fabio cercò di farmi cambiare idea, minacciandomi e utilizzando ogni mezzo.
Non ci riuscì.
Non mi voltai mai indietro.
Le rose del vialetto hanno messo le foglioline nuove, da lì a poco sbocceranno. La piccola Sara sta dormendo, la guardo, è bellissima, ha gli stessi occhi della nonna.
si legge con ritmo serrato brava mi piace
Grazie Carla, ho letto con piacere anche il tuo racconto, scorrevole e ben scritto.
Bel racconto, brava.
A presto.
M
Bel ritmo, mi è piaciuto. Una speranza per tutte le donne che subiscono tragedie familiari e non hanno il coraggio di liberarsene, brava.
Grazie, sono contenta che vi sia piaciuto. Un piccolo pensiero di speranza dedicato a tutte le donne che soffrono.
Racconto commovente, che tratta un argomento terribile, con la leggerezza delle nuove foglioline che sbocceranno anche nel cuore della protagonista. Scrittura scorrevole e delicata. Molto bello.
Molto bello. Le premonizioni sono un dono divino che l’uomo ha perso per il cattivo uso. Chi le ha è un bravo individuo o Dio lo vuole aiutare. Le impronte che non si cancellano? Il nostro passaggio, anche quello della persona più derelitta, “l’ultimo”, ha un senso per noi e gli altri e, convinti di questo, dovremmo essere attenti sopratutto ai bisogni degli altri.
Emanuele.