Racconti nella Rete 2009 “Il club dei portatori di doni” di Patti Turetta
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
Ogni anno, il 16 dicembre, i soci più influenti del club dei portatori di doni si incontravano sotto il sole del Messico.
“Guardate tutti quei Babbi Natale!”, esclamò il gran consigliere.
La congrega delle renne ruotò la testa con calma in modo che il piccolo ventilatore a pile incollato al collare non perdesse l’efficacia e osservò il portatore australiano insieme a sei canguri bianchi, quello di New Orleans nella piroga alla testa di tre alligatori a loro volta capitanati da un licantropo dal naso rosso. Il brasilero accovacciato sul dorso di un cavallo bianco, l’islandese sulle ali di una pernice bianca e l’italico scalpitare per dirigersi a Roma prima che a Castel Sant’Angelo sparasse il colpo di cannone che dava inizio alle feste. C’era anche Mrs Claus la moglie di Santa Claus svizzero, Lucia, in sostituzione del marito a letto con il raffreddore, c’era Nonno Gelo accovacciato sull’apertura di un freezer portatile, e, seduto all’ombra di un enorme cactus con due enormi occhiali da sole sul muso, sonnecchiava il cammello che Gesù Bambino la notte dei Magi di tanto tempo fa aveva reso immortale.
Il gran consigliere si riavvicinò al microfono.
“Niente canne fumarie quest’anno. Solo pianerottoli”, annunciò, “Quest’anno a vincere l’ambito oscar di marzapane sarà il portatore di doni che per primo riempirà tutte le scarpe della propria giurisdizione.”
“Scusi signore; potrei avere degli aiutanti quest’anno?”, lo interruppe il cammello, a cui era stato dato il compito di portare i doni ai bambini del Medio Oriente.
“Qualche problema mio caro?”
“Nulla più della vecchiaia”, rispose il quadrupede.
“Sai che novità!” protestarono in coro gli altri portatori.
Il capo renna spostò lentamente il capo su di un lato in modo che il ventilatore gli rinfrescasse la narice destra prima di borbottare:
“Ci risiamo; grane anche quest’anno!”
Quando si fece sera gli abitanti del Messico accesero le farolitas e una fila di lanterne di carta delimitò i bordi dell’oceano, i contorni delle montagne e ogni paese sugli altopiani del Messico.
Il cammello non voleva saperne di allontanarsi dal suo cactus.
“Ha lo sguardo come abbagliato”, disse il capo renna.
“Che tutte le farolitas siano spente!”, ordinò allora il gran consigliere.
Il Messico di colpo piombò nel buio, ma il cammello non si mosse.
“Che sia l’incenso proveniente dalle chiese a bruciargli gli occhi? Dovrebbe esserci abituato, sono millenni che Gasparre lo usa!”, disse il capo renna.
“Che le chiese socchiudano i portoni!”, ordinò il gran consigliere.
Ma il cammello non reagiva.
2
“Che sia la mirra? Baldassarre dovrà decidersi prima o poi a profumarla di meno. Che le fabbriche dei profumi ne sospendano la produzione all’istante!”, ordinò il gran consigliere.
Il cammello restava a testa bassa.
“Che sia quindi l’oro? Checché ne dica Melchiorre è un dono pericoloso; i Magi lo presero dal tempio del re d’Arabia, Maria se lo perse nella fuga in Egitto e Giuda per poche monete vendette Gesù. Che questa notte tutte le miniere siano interdette!”, ordinò il gran consigliere.
Ma il vice renna si avvicinò al naso del cammello.
“Non si tratta di incenso, di mirra, né di oro, ma ti tequila!”, svelò l’arcano.
“Che stramberia è questa? Vergognati, il mondo non ha mai avuto un portatore di doni ubriaco. Come la prederebbero i tuoi bambini se lo scoprissero?”, lo rimproverò il gran consigliere.
“Io non ci voglio andare sui pianerottoli, non ne posso più di folletti dispettosi; in questo periodo ne girano troppi”, il cammello confessò remissivo.
“E normale che i folletti siano arrabbiati per le celebrazioni natalizie, ma in tutto il mondo gli uomini hanno sviluppato rituali per tenerli a bada.”
“Fai presto a parlare tu che sei umano, ma ogni anno io ci rimetto i peli della coda; me la tirano e me la pizzicano, guardate come è spelacchiata!”
Il cammello frustò debolmente l’aria.
Il gran consigliere e il capo renna si allontanarono per confabulare e decisero che c’era un unico modo per convincere il cammello a raggiungere i pianerottoli d’Oriente.
La notte trascorreva lenta e silenziosa, indaffarato il gran consigliere che era il più vecchio portatore di doni del mondo e data l’età oramai a riposo, ordinò al suo capo renna di un tempo di riformare la squadra. Da anni lui viveva in Messico e del vento, del gelo, della nebbia, della pioggia e della neve ne aveva cancellato i ricordi. Odiava il maltempo ma non era il caso di fare storie, si preparò un caffè doppio, mangiò una barretta di cioccolato fondente, indossò un panciotto di lana pesante e si spazzolò la barba bianca. Si recò in garage e tirò fuori la sua vecchia slitta, sganciò i piccoli ventilatori a pile dai collari delle renne e li sostituì con degli scaldacollo in goretex. Agganciò le renne alla slitta e le collocò in pole position e al suo ordine dietro di loro l’intero club dei portatori di doni si sollevò da terra in stato di assedio.
“Mamma mia!”, esclamò il cammello nel notare una nuvola gigante puntare il suo cactus, “Aspettate, aspettate; altro che coda spelacchiata, finirete per livellarmi le gobbe!”
Si alzò di scatto, raggiunse la mangiatoia dietro la chiesa, si rimpinzò di stoppie, si abbeverò e prima che i colleghi toccassero terra si mimetizzò nella fila.
3
Sui monti della Grecia il cammello si fermò in una locanda ai piedi del monte Parnaso e ordinò una bibita fatta con gocce di zenzero, ottima per i postumi della sbornia. Stava per concedersi un sonnellino quando una civetta urlò:
“Aiuto i Callicantzari!”
Il paese era invaso da tanti brutti folletti con gli occhi fuori dalle orbite, la bocca senza labbra, calvi, senza orecchie con una lunga ciocca di crine attaccata al fondo schiena. Tutti nudi con un berretto più grande della loro testa.
I Callicantzari! ripeté il cammello.
Come aveva fatto a dimenticarsi che quello era il loro territorio e che proprio nel mese dell’ Avvento lasciavano le loro anfore di terracotta per razzolare quante più pietanze possibili.
I Callicantzari mettevano a soqquadro il villaggio, entravano nelle case, capovolgevano le statuine dei presepi, strappavano le decorazioni sugli abeti, pizzicavano le gambe dei bambini, rovesciavano le pentole della minestra e facevano la pipì sul fuoco dei camini.
E adesso cosa faccio? Si domandava il cammello. Prima dell’arrivo del canto del gallo distruggeranno l’intero villaggio! E coraggioso si lanciò su di loro, ma i Callicantzari erano veloci, gli montavano in groppa, gli mordicchiavano il collo, gli graffiavano il muso, gli pizzicavano il sotto pancia e in tre contemporaneamente si erano attaccati alla sua coda e gli strappavano con le mani e con la bocca i pochi peli rimasti.
Povero me, urlava il cammello, lo sapevo, i rituali degli uomini non sono mai proporzionali al numero dei folletti dispettosi che si risvegliano in questi giorni!
Per fortuna in cima al monte in una casetta di legno immersa nelle nuvole abitava “Nonnino Polvere”, il mercante di sabbia che addormentava i bambini gettando nei loro occhi polvere di stelle e che a dicembre agevolava il lavoro di Babbo Natale raddoppiando agli uomini la razione di tisane.
Nessuno lo aveva mai visto avvolto com’era da una cortina di nubi, il suo sguardo era immerso in una folta capigliatura e in un’immensa barba bianca, vestiva con una tunica bianca, calze blu e scarpe giallo paglia orlane da una lanugine sottile, ma tutti sapevano che era l’unico essere a tenere a bada i turbolenti Callicantzari .
“Nonnino Polvere” stava bevendo la sua solita tisana di camomilla, quando sentì le urla del cammello, posò la tazza sul tavolo e aprì la finestra.
“Chi sei?”, urlò portando le mani ad imbuto.
“Sono il cammello di Gesù Bambino! I Callicantzari mi hanno attaccato, vieni giù, ti prego!”
“E come faccio? Non ho ancora finito di stipare nella carretta i decotti e le tisane!”
“Vieni con quello che hai, ti prego!”
Il vecchietto raggiunse la sua pesante carretta e la spinse oltre la nuvola che lo ospitava, poi, una volta a terra prese a lanciare fiocchi di camomilla contro quei monelli emaciati che oltre a forzare porte e ostruire i camini per affumicare le cucine martoriavano il corpo del cammello fifone.
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“Fai centro, ti prego, prima che la mia coda si trasformi in una striscia di niente”, il ruminante lo pregava.
“Più di così non mi è possibile, amico, più veloce di così non si può”, e cantilenando, nonnino polvere proseguì la battaglia finché l’aurora arrivò.
Così, anche quell’anno il cammello compì il proprio dovere e, come ogni anno, alla dodicesima notte delle feste, anche lui come tutti gli altri portatori di doni, fece ritorno in riva all’oceano.
“Non c’è mai motivo di temere gli spiriti malvagi. Gli uomini, sanno sempre come proteggerci”, asserì esultante al microfono il gran consigliere.
Gli uomini?, pensava il cammello, avrebbe voluto raccontare di un vecchio nonno alto quaranta centimetri capace di sconfiggere i monelli con fiocchi di camomilla, ma lasciò correre.
“Questo è il tanto atteso momento del trofeo, e quest’anno grazie al cammello di Gesù Bambino abbiamo avuto un Natale originale; dato che per aiutarlo a sconfiggere le proprie paure ogni portatore ha messo da parte ambizioni e prestigio sarete tutti premiati.”
Si alzò un applauso.
“Quest’anno il premio consiste in un enorme puzzle realizzato con il marzapane più buono del mondo, i cui tasselli, creati nello stile di Lubeca, con le migliori mandorle e i più freschi bianchi d’uova sbattuti allo zucchero più fine, sono stati cotti nei forni di tutto il Messico.”
I portatori alzarono i calici verso le file di farolitas accese, solo il cammello preferiva restarsene in disparte.
Gruhf, uomini, bisbigliava ruminando stoppie.
Gli abitanti di Lubeca sostenevano di essere gli inventori del marzapane, ma mentivano; la vera origine risaliva al Medio Oriente, furono i Mori spagnoli a distribuirlo in giro.
Gruhf, uomini, bisbigliò una volta ancora, la raccontano sempre come piace a loro.
Alzò il muso e convinto che nessuno guardasse arretrò verso il suo cactus.
“Eh no, mio caro, dove credi di andare?”
Accidenti, il capo renna lo aveva beccato.
“Chi io?”
“Non vorrai replicare con le stramberie, spero.”
“Cercavo solo i miei occhiali da sole”
“A quest’ora?”
Il cammello li indicò appesi alle spine del cactus.
“Anche di sera stanno meglio a me che a lui”, commentò.
“Su questo non ci piove”, rispose la renna.
“Nemmeno una goccia”, precisò il cammello.
decisamente meglio natale in messico che in lapponia.
mi sono divertita….BRAVA!!
Una bella fantasia, non c’è che dire. Forse troppa. Il fatto è che sono (mi considero) adulto, per cui la mia mente non ha la capacità di recepire così tante ‘novità’. Se però provo a tornare bambino mi faccio grasse risate, e mi immagino i tanti bimbi a cui (spero) un giorno verrà raccontata questa storia. Me li immagino seduto in cerchio, felici di ascoltare.