Premio Racconti nella Rete 2014 “Domani è domenica” di Serena Schiavon
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Mi giro tra le lenzuola, sorrido di piacere e lo guardo: i suoi occhi marroni mi scrutano, come se volessero estrarre i miei pensieri. È solo un attimo, poi li distoglie.
«Hai una sigaretta?» mi chiede accarezzandomi le spalle.
«No».
«Anch’io le ho finite, faccio un salto giù a prenderle, aspettami qui».
Si alza e io ammiro il suo corpo snello con i muscoli in evidenza, si aggira per la stanza con fare pratico ma con gesti eleganti, per nulla inibito dalla sua nudità. Trova i vestiti, li indossa e poi esce.
Mi giro tra le lenzuola, sorrido di piacere e lo vedo: un capello, biondo. Io sono mora. Mi metto seduta con il capello tra le dita e lo guardo meglio. È ondulato, lungo. Rimango a fissarlo mentre lo stomaco mi si stringe e prende fuoco, la testa mi rimbomba, il sangue scorre veloce.
Mi alzo di scatto e prendo la scatola di latta che è sopra il comodino, la apro e conto i preservativi, ce ne sono quattro. Tre giorni fa ce n’erano sette.
Lo sento rientrare, chiudo la scatola e mi stendo sul letto. Lui entra in camera con la sigaretta accesa, mi lancia il pacchetto e l’accendino.
«Mi faccio un caffè, lo vuoi anche tu? Fra mezz’ora devo uscire, è meglio se ti sbrighi» mi dice con un sorriso. I suoi denti bianchi sono perfetti. Io annuisco cercando di domare il battito cardiaco, mi metto la maglia e le mutande, prendo le sigarette e lo raggiungo in cucina.
Sopra al tavolo un vaso con delle gerbere fresche: una rossa, una arancione e una gialla. Continuo a fissarle, si avvicinano e si allontanano.
«Zucchero, latte, grappa?» mi chiede.
«Mezzo cucchiaino di zucchero, grazie». La mia voce esce lontana, da una caverna in fondo alla pancia. Mi porge la tazzina, gli sfioro la mano e gli sorrido.
Bevo il caffè e mi accendo una sigaretta mentre lui si fa una doccia. Un ronzio, come una mosca fastidiosa, si insinua dentro di me e sbatte le ali in continuazione. Lui è mio, solo mio. Avvicino la sigaretta alla coscia nuda, mi fermo un attimo prima.
Mi alzo e vado in camera a cercare i pantaloni, si sta vestendo anche lui.
«Ci vediamo domani?» gli chiedo come se fosse la domanda più facile da fare.
«Domani è domenica, ti chiamo lunedì».
«Ok, buona giornata» gli dico avvicinandomi. Lo guardo fisso negli occhi e poi mi aggrappo a lui, respiro il suo profumo, lo vorrei ancora ma è tardi. «Facciamo un bambino?» gli sussurro. Mi allontana e mi guarda, scoppio a ridere e lui si rilassa.
Esco da casa sua, salgo in macchina e mentre guido mi tiro i capelli, cercando di togliermi i pensieri che mi assillano la testa.
Eccola lì che mi aspetta impettita, con un la bocca incrinata di disappunto e i capelli appena sfornati.
«Sei in ritardo, sono uscita dalla parrucchiera dieci minuti fa, si può sapere dov’eri? Sei spettinata» mi dice mia madre appena sale in macchina.
«Ero con il mio fidanzato, mamma, dovevamo parlare di cose importanti».
«Beh me lo presentai prima o poi no? Non l’ho ancora visto, ma esiste davvero questo fidanzato?».
«Abbiamo fatto un anno oggi, mi ha regalato tre rose: una rossa, una arancione e una gialla. Presto faremo un bambino» le dico mentre guido a scatti verso casa sua.
Poi cambio discorso e le chiedo come stanno i miei nipoti. Sfondo una porta aperta: quanto sono belli, bravi e mia sorella ha appena avuto una promozione, è brillante come nostro padre, non come me che arranco, lei lavora in banca, ha già due figli e fa carriera. Il suo chiacchiericcio una zanzara molesta, il suo profumo mi violenta le narici, la mia gola geme in un sospiro di sollievo quando arriviamo a destinazione.
Ci salutiamo e mi dirigo verso casa, mentre la sera avvolge le strade, accompagnata da una nebbia bramosa di avvinghiare la città.
Passo la serata ad eliminare tutti i microbi che proliferano per la casa, sembra quasi che vogliano invadere il mio cervello e non farmi dormire per tutta la notte.
La domenica mattina mi alzo dal letto stanca, apro le finestre e scruto tra la nebbia la città ancora addormentata. Mi aggiro per casa come un animale intrappolato, vorrei essere con lui, odio la domenica, vorrei che scivolasse via veloce e invece il ticchettio dell’orologio scandisce i minuti che passano. Mi pensa anche quando è con lei? Starà aspettando come me che arrivi presto domani, quando ci rivedremo? Le gerbere saranno ancora fresche?
La sigaretta che sto fumando è quasi finita, la avvicino al braccio e mentre la pelle brucia io lancio un urlo, i pensieri si allontanano e arriva un po’ di pace.
Come ogni lunedì arrivo a lavoro con due occhiaie profonde. Lo chiamo verso l’una, non risponde. Devo risolvere questa situazione, una volta per tutte.
Lo chiamo a metà pomeriggio, non mi risponde. Vorrei che fosse mio, solo mio.
Esco dall’ufficio e un freddo umido mi agguanta, salgo in macchina e guido nella nebbia, la stessa che c’è da una settimana, a tutte le ore.
Vado sotto casa sua e passa un’ora prima di vederlo arrivare. Esce dalla macchina e poi scende anche lei. Un cappotto nero elegante, più bassa di me, i capelli ricci e biondi che ondeggiano. Si prendono per mano, entrano in casa.
Non sento più il freddo, un retrogusto acido mi opprime, accendo una sigaretta, la appoggio al polso e guardo il tizzone che mi brucia la pelle, non grido. Faccio partire la macchina e vado verso casa, so cosa fare.
Torno dopo un’ora e mi apposto sotto casa sua, bevo caffè da un thermos e aspetto.
Eccola che esce, con il suo cappotto perfetto e il passo sicuro della donna appagata, ha una borsa da palestra, entra in macchina e se ne va.
La nebbia si insinua attorno alla mia auto, non riesco a scacciarla.
Mi arriva un messaggio sul cellulare. È lui. Mi chiede di vederci domani a pranzo. Aspetto mezz’ora prima di rispondere, poi gli scrivo che mi va bene. Vorrei essere a casa in sua compagnia, starà preparando la cena, le gerbere saranno appassite? Cosa starà cucinando? Una carbonara forse, a lui piace tanto, lo vedo che gira per la cucina, così sexy, così preciso nei gesti, non smetterei mai di guardarlo.
Scruto nella nebbia, la luce dei lampioni si perde nell’aria grigia, opprimente e carica di goccioline. Arriva la macchina che stavo aspettando. Infilo i guanti di pelle, controllo non ci sia nessuno, scendo e cammino verso di lei. Il cuore va al galoppo, la mia testa è avvolta dall’umidità, gocce insidiose nuotano nel cervello, respiro a fondo.
Lei scende dall’auto e quando apre il portellone posteriore per prendere la borsa io mi avvicino, come un predatore che fiuta il suo pasto dai capelli biondi legati in una coda. Miro alla base del cranio e poi la colpisco con il bastone che mi sono portata da casa. Le esce un rumore soffocato dalla gola, sbatte sulla macchina e cade per terra. La colpisco ancora un paio di volte sulla testa. Prendo la sua borsetta, scatto verso la mia macchina, salgo e infilo il bastone in una busta di plastica.
Guido verso casa, a metà strada mi fermo. Scendo dall’auto, prendo la borsetta e tolgo i soldi dal portafoglio, poi la butto nei bidoni della spazzatura insieme al bastone insanguinato avvolto nel sacchetto.
Appena entrata in casa mi infilo sotto la doccia, acqua bollente che fa scivolare via la nebbia, le bruciature di sigaretta mi fanno bestemmiare dal dolore, mi sento viva.
Dormo talmente bene che la mattina rischio di arrivare tardi al lavoro, ho il viso riposato e chiacchiero con i colleghi.
Mezz’ora prima del mio appuntamento con lui mando un messaggio per dirgli che sto arrivando. Mi chiama subito. Mi dice che non possiamo vederci, è in ospedale perché dei malviventi hanno aggredito sua moglie sotto casa. Io fingo sorpresa e rammarico, chiedo come sta. Mi racconta che l’hanno operata d’urgenza per ridurre un edema cerebrale ed ora è in coma.
«Posso fare qualcosa per te?» gli dico con la voce carica d’amore e comprensione.
«No, non so, io non lo so» sta per mettersi a piangere.
«Voglio starti vicina, vediamoci stasera, lascia che io ti stia vicina, mi dispiace tanto, vedrai che si risveglierà».
«Ok ci sentiamo stasera, ti aggiorno dopo».
Chiudo la telefonata e un tepore mi avvolge. Ci sono io adesso, amore mio.
Sei mio, solo mio.
Il racconto ben descrive l’angoscia dei sentimenti provata da una donna innamorata e non ricambiata. Bello il titolo, mi è piaciuto.
Grazie Elena, ho cercato di immedesimarmi nel ruolo dell’amante e più in generale in una donna che si rovina la vita per un amore non ricambiato.
Racconto drammatico. E’ l’amore non corrisposto che può portare a uccidere, sopratutto sono le donne ad essere uccise da chi è vittima di questo furore. Come è possibile dividere l’amore di un uomo o di una donna rinunciando a passare insieme la domenica, destinata al legittimo consorte? L’amore? Quanto è complesso l’animo umano! Complimenti.
Emanuele.