Premio Racconti per Corti 2014 “8 marzo” di Barbara Cuoco
Categoria: Premio Racconti per Corti 2014Eccomi qua. 8 marzo. Festa della donna.
Vorrei che qualcuno mi aiutasse, mi dicesse cosa fare.
Nessuno mi aiuterà, nessuno mi suggerirà cosa fare.
Quando hanno accennato a qualcosa che probabilmente non andava, sono precipitata in un pozzo scuro, nero, buio, profondo, senza fondo.
Non è possibile, questo è il figlio del miracolo e i miracoli non sono sbagliati. Pietro ci è rimasto male. Anche lui non se lo aspettava. Non ha detto nulla. Ma lui non dice mai nulla. Stavolta è stato fin troppo ciarliero: tocca a te decidere. Quattro parole lapidarie, dure come pietre, come il nome che porta.
Sono sola e non so cosa fare. Io lo voglio questo figlio. Lo vorrei. Non lo vorrei diverso. Non lo vorrei. Forse sì. Forse no. Forse sì. Forse…
Io e Pietro, mio marito, ci abbiamo provato per anni. L’inizio del nostro matrimonio, quanto eravamo giovani! Volevamo divertirci, viaggiare, vivere spensierati.
Un giorno ci siamo detti: facciamo un figlio.
Pensavamo fosse facile. Abbiamo intensificato i nostri rapporti già abbondantemente frequenti. Lo facevamo sempre, tutte le volte che potevamo.
Non fu così facile. Il ginecologo ci disse che dovevamo farlo nel periodo fertile. E via a far conti, a provare la temperatura in quei fatidici giorni, ad accoppiarci come gli animali. Niente da fare.
Il passo successivo: screening completo per verificare la fertilità, o la sterilità, di entrambi. Risultato: tutto a posto.
Proposta (mia): inseminazione artificiale. L’abbiamo provata tutte le volte che ce l’hanno consentito. L’ultima ho rischiato la vita. Ormai li avevo tutti contro: marito, madre, suocera, fratelli, sorelle e cognati vari.
Accanimento psicologico, così disse il medico.
Ultima strada: l’adozione. Altro tempo. Altri mesi. Oltre un anno. Finalmente il decreto che ci nominava genitori idonei. Mio Dio, che brutta frase, ma intanto era quella di cui avevamo bisogno. Ci aspettava una traversata transoceanica per incontrare nostro figlio o nostra figlia. Non lo sapevano.
Era la fine? No. Un mese prima della partenza mi accorsi di essere rimasta incinta. Roba da non crederci. E infatti non ci credevamo. Solo quando l’ecografia ci ha mostrato quel fagiolino che cresceva in me ci siamo convinti. Stop all’adozione. Non per nostra volontà. Ce lo impose il giudice che ci aveva nominati genitori.
Sono seduta in questa stanza, né grande né piccola.
Quando alla televisione vedi scene simili, ci sono altre donne. Si guardano, silenziosamente si parlano, qualcuna s’informa. E per una strana alchimia si fanno coraggio l’una con l’altra.
Oggi qui non c’è nessuno. Sono sola. Pietro ha detto che si sarebbe sentito in imbarazzo in un posto dove ci sarebbero state altre signore come me. Mio Dio, che ipocrita. Sento ancora nelle orecchie le sue parole: non so perché sei così fissata nel volere un figlio.
Già, il figlio. In un istante indefinito mi ero accorta di volerlo io, non noi.
E ora da sola devo decidere se voglio andare avanti. Ho paura. Ho tanta paura. Non so se riuscirò a essere forte per due, per me e questo figlio già malato. No. Non ci riesco. Non posso. Non sono così forte, così tenace. Ho paura. Il cuore mi sta cedendo, sento venir meno le forze, la mia volontà è totalmente assente.
Non ho altra scelta.
Questo mondo non perdona.
Perdonami almeno tu, figlio mio mai nato.
In questo giorno che celebra la donna, la sua libertà di essere, di esistere, di scegliere, io ho scelto di rinunciare a te.
Dolorosissimo. Spero non sia autobiografico…
Certo che ce ne hai messi di elementi dentro ‘sta storia! Che poi tanta storia non è perchè come la rigiri i punti di vista non sono solo femminili;
anche per noi maschi l’argomento non ci sfiora solo ma ci travolge, spesso. Te lo dice un padre adottivo (e fortunato). Comunque spunti ce ne
sono ma, come spesso dico, un racconto in prima persona poi diventa difficile da mettere in pratica. Comunque mi è piaciuto.
No Claudileia, non per me, per una persona a me vicina…
Sai, Massimo Campoli, a volte le storie sono complicate. Non serve discriminare sulla sensibilità dei sessi. La storia è in prima persona per chi la sta raccontando. In terza persona non avrebbe avuto lo stesso effetto. Lieta comunque che ti sia piaciuta.
Ciao Barbara, ho letto il tuo racconto e ne sono rimasto colpito. Dalle tue parole si può trarre un insegnamento, evitando così di commettere leggerezze che altri possono pagare a caro prezzo.Brava!!!
Ciao Barbara, capisco esattamente cosa si prova, io ho scelto di lottare per la vita, contro tutto e tutti. Non è stato per niente facile ma non ho mai rimpianto la decisione che ho preso. E’ una storia che fa riflettere e il titolo è perfetto.
Penso che ogni donna abbia in sé il senso della vita; quello che esige il rispetto di sé stesse e degli altri e quello che è di generare. Se fosse dipeso dalle donne non ci sarebbero state guerre perché hanno sperimentato la violenza su di loro e sui loro figli e rifiutano la morte del combattente, a cui una di loro ha dato la vita e cresciuto. Tante sofferenze. Nella situazione proposta da Barbara che ci fa sentire la solitudine e il dramma della protagonista, la donna sa che deve sopportare tutto il peso della decisione. Noi mariti e compagni, cosa possiamo fare per nostra moglie? Io non saprei; la mia “forma mentis” mi impedisce di decidere per casi ipotetici. Per i casi che riguardano gli altri, io rispetto qualsiasi soluzione scelta da loro cogliendo la loro difficoltà e sofferenza.