Premio Racconti per Corti 2014 “Bambole di pezza” di Silvia Tufano
Categoria: Premio Racconti per Corti 2014Sono giorni e giorni che cammino, forse settimane, forse mesi. Sono stremato, distrutto, non so dove sto andando ma soprattutto non so da dove vengo. Non ricordo quasi nulla di ciò che è stato; ogni tanto nella mente si affacciano visioni deliranti di una vita forse immaginata che faccio fatica a ricomporre e questo mi lascia addosso una profonda inquietudine. Le persone che incontro per strada sono tutte uguali, sembrano delle pecore, perfettamente incolonnate, anch’esse con il loro pastore che le guida e dice loro come comportarsi. Questi individui mi sfiorano soltanto, sembrano non vedermi, non desto in loro nessun interesse, nessun compatimento. Eppure non devo avere un aspetto gradevole, sono sporco, dimagrito, sconvolto e stralunato. Come fanno a non accorgersi di me! Vorrei tanto vedermi, almeno io, vedere come sono diventato, se mi riconosco e se ancora mi piaccio. Ma non ci sono specchi in questa enorme città, non ci sono vetrine o altri occhi da incrociare e nei quali specchiarmi. Intorno a me è tutto asettico, privo di colore, spento. Non odo rumori assordanti ne sento profumi particolari che mi ridestino un po’ i sensi. Questa fitta pioggerellina che non mi lascia tregua è l’unica cosa che rompe la monotonia di questo lungo cammino verso il nulla alla ricerca di ricordi che non mi appartengono più. Da lontano vedo una panchina, non c’è nessuno. Finalmente posso sedermi, far riposare il mio corpo stanco e pensare. Il contatto con questa gelida panchina mi dà, non so dire perché, una sensazione piacevole, sento di riuscire a provare qualcosa , ad avere ancora delle sensazioni anche se l’unica cosa che sento adesso, è un gran freddo dentro l’anima. Il mio primo ricordo sbiadito mi viene a far visita proprio mentre sono sdraiato qui. Sono sulla spiaggia. Tra le mani cerco di trattenere la sabbia , stringendola in un pugno. Ma lei sfugge via, proprio come tutte le cose effimere ed impalpabili. Di fronte a me, un’immensa e sterminata distesa verde e cristallina. Il rumore delle onde che lambiscono gli scogli, lo sento ancora adesso, così vivo, così presente. Adesso come allora provo pace, serenità. Vengo cullato dal suono di quei flutti come se ascoltassi una dolcissima cantilena e mi sento perfino felice. Mi sono rimesso in piedi. Non posso fermarmi, devo continuare a camminare. Prima o poi arriverò lì dove il destino ha deciso di condurmi, prendendomi per mano, proprio come fidanzatini fedeli. Mentre riprendo a passeggiare, lasciando che la pioggia mi attraversi, ritrovo tra i ricordi un altro momento, quasi cancellato ma adesso così vivido e chiaro dinanzi a me. C’è mia madre, le sue carezze sul viso e i suoi rimproveri bonari. Poi c’è anche lui, mio padre, con il suo desiderio di una vita decente, i suoi mille sacrifici. Sta lì ,attanagliato dai suoi innumerevoli fallimenti, oramai arresosi sotto il peso dell’esistenza, con le spalle curve di chi non ha più voglia di provarci . Poi lo rivedo, sempre lui, lì in quel palazzo bianco, sdraiato,, con il corpo avvolto da tanti fili, è diventato come un robot. Mi sta guardando, si commuove; vorrei abbracciarlo ma tutti quei fili non mi consentono di avere un contatto forte con il suo corpo. Poi improvvisamente rivedo me stesso che, con impeto e rabbia, gli strappo tutti quei fili, lo libero, lo restituisco alla vita. Gli ridò quella dignità tanto cercata e gli consento di scegliere per sé. Così lui va via, non mi abbraccia per l’ultima volta e non mi ringrazia. Non so perché , non so dove sia adesso, so solo di avergli fatto il regalo più grande: la libertà. Una profonda angoscia viene a farmi visita adesso e sempre quando meno me l’aspetto. A volte arriva al mattino, appena apro gli occhi. A volte durante le ore del pomeriggio mentro fingo di ascoltare persone che con me non hanno nulla in comune. Altre volte arriva di sera; la porto a dormire con me, sperando si stanchi e non si faccia più vedere . Ma lei è sempre lì, torna a trovarmi ogni giorno, non ne vuole proprio sapere e ho pensato che, forse, la terrò con me, che non ho più tutto questo desiderio di mandarla via. Di fronte a me vedo finalmente una persona che mi guarda. Non ci posso credere. È un uomo alto e corpulento, con un cappotto grigio e sporco di terriccio. Ha un volto pallido ed emaciato. Sembra non sorridere da tempo. Mi accosto a lui. Non posso credere che qualcuno mi abbia finalmente notato. Gli chiedo che ore sono, ho perso la cognizione del tempo. Sembra notte fonda ma non ne sono del tutto certo. Lui mi guarda stupito, mi fissa e scappa via senza nemmeno dirmi in che ora del giorno ci troviamo. La gente è proprio strana. Ha sempre paura delle cose che non conosce; non si fida. L’essere umano è pieno di pregiudizi, non riesce ad andare oltre. Non si interroga e troppo spesso si ferma all’apparenza. Che tristezza il genere umano, mi ritrovo a riflettere. Mi verrebbe voglia di non farne parte più. Del resto io non ne ho mai fatto del tutto parte; sono sempre stato diverso io, ho vissuto in maniera differente, ho sofferto in maniera differente. Forse è per questo che oggi sono tanto solo, per questo gli altri non mi vedono neppure. Non riconoscono in me un essere come loro. Non trovano in me nulla di cui possano interessarsi perchè non parlo solo di calcio o di belle donne io ma perchè amo la poesia, l’arte, la filosofia. Sento di essere una creatura eletta, speciale, prescelta e ne sono felice anche se questo debba portarmi alla sofferenza più atroce. Ma è anche per questo che sono diverso io.
Mentre penso a tutto questo, un volto di donna fa capolino tra i meandri del mio cervello. E’ bella questa donna, caspita se lo è. Mi guarda con una tenerezza che farebbe sciogliere perfino un ghiacciaio millenario. Si vede che ha per me un sentimento profondo ma io non ricordo chi è. Ad un tratto mi sfugge, non la ritrovo più. Cerco di sforzarmi. E’ l’unico volto che pone tregua al mio tormento; forse per questo non viene a trovarmi mai e forse è proprio per questo che lo desidero così tanto. C’è una donna anziana adesso dinanzi a me. Ha un passo lento e traballante ma , nonostante questo, cammina senza bastone. Ha lunghi capelli grigi, scompigliati e dei vestiti forse troppo leggeri per il periodo. Sono incerto se sorpassarla, se rivolgere anche a lei la parola come ho fatto poco fa. Ma non voglio avere la stessa delusione di prima; farò finta di non averla vista. Così, con passo spedito e sicuro, la sorpasso senza nemmeno voltarmi a guardarle il volto ma, stranamente, lei mi chiama, si fa notare. Non riesco a trattenere la curiosità, voglio guardarla, parlarle, ho un bisogno estremo di comunicare, del resto siamo venuti al mondo per questo. Mi volto e scorgo in questa donna attempata, gli stessi tratti delicati ma decisi tipici delle donne del sud, esattamente come quelli di mia madre. Mi avvicino a lei, le sfioro un braccio ma la donna si ritrae. Mi chiede se voglio accompagnarla, ha smarrito la strada anch’ella e io non so proprio dove possano andare due anime così smarrite come noi. Ma le dico comunque di si, non mi sento di abbandonarla, mi incute tenerezza e decido di aiutarla. Non so come mai, ma ho una forte sensazione che io e questa povera donna, stiamo andando esattamente nello stesso posto ma non so ancora qual è, troppe cose non mi sono ancora chiare, brancolo nel buio; non avevo mai provato nulla di simile in vita mia, è tutto così atipico, un’esperienza unica, rara dalla quale, di certo, non ne uscirò mai più come vi sono entrato. La donna non ha tutta quella voglia di parlare che tanto speravo, sembra muta, chiusa nei suoi ricordi. Ha solo tanta voglia di arrivare, è molto stanca anche lei e non so come faccia ancora a reggersi in piedi su due gambe sottili come quelle di un fenicottero. E’ la volontà che la guida, la stessa che rivoluziona il mondo e le persone, è quella grazie alla quale riesci ad essere migliore di quello che gli altri vorrebbero che tu fossi. E’ quella che io non ho più; mi limito a trascinarmi per inerzia e non so nemmeno se arriverò mai alla fine di questo lungo viaggio. Di nuovo il volto di donna, lo stesso di prima, mi si riaffaccia alla mente. Stavolta è più nitido , ne colgo ogni tratto, ogni particolare, perfino le sfumature. Sono in una camera d’albergo. Sto sistemando i miei vestiti e una risata, rumorosa ma elegante, mi fa voltare incuriosito. La vedo benissimo adesso. E’ stesa sul letto, lunghissimi capelli color grano e occhi grandi dentro ai quali rischi di perdere la strada. Forse è lì che mi sono perso adesso, negli occhi di questa donna incantevole? E’ tra quella ciglia nere e folte che sto camminando da tanti giorni e dentro i quali rivivo tutta la mia esistenza? Mi siedo sul letto accanto a lei che mi avvolge in un abbraccio lungo e caloroso. Non riesco a staccarmene, è meraviglioso ciò che provo, non so come chiamarlo ma è ciò che di più piacevolmente devastante mi sia mai capitato. Improvvisamente lei cambia volto, è meno bella adesso, forse perché è arrabbiata o triste, non riesco a comprenderlo. Si alza con uno scatto funesto, mi aggredisce violentemente. Cosa è successo? Cosa le ho fatto? Perché ho permesso che quest’incanto finisse? Vengo ridestato dalla voce dell’anziana donna che mi dice che siamo arrivati o che, almeno lei, lo è. Mi guardo intorno e non riesco a capire dove siamo. E’ tutto buio in questo posto, c’è nebbia e un odore acre e pungente che non mi lascia addosso una sensazione di piacere. Ad un certo punto la signora si allontana, non si volta e non mi dice nulla. La perdo nella nebbia, vorrei seguirla ma non riesco a riconoscere la strada, non ne odo i passi allontanarsi. Cerco di capire dove sono, in quale posto sono finito e alla fine capisco che in realtà non sono stato io a condurre qui la donna anziana ma è lei che ha portato me. Sono smarrito, perso, ho paura. Il tormento interiore che mi ha da sempre accompagnato, si fa più intenso perché proprio non riesco a capire e piano piano non riesco nemmeno più a ragionare.
Sento un gracchiare insistente di corvi adesso; è tutto così cupo e oscuro qui, mi rigiro su me stesso in una sorta di macabro girotondo cercando di scorgere questi uccelli magnifici, funerei e poi finalmente li vedo. Sono tutti li che mi osservano, compiaciuti del mio arrivo. Su di loro mi sembra di scorgere tutti i volti delle figure a me più care, quelle che hanno accompagnato la mia vita e che adesso sono tutte li, in attesa di un qualcosa che ancora non mi è dato di conoscere. Poi, come colto da una luce abbagliante, finalmente lo capisco. Sono in attesa che io guardi in faccia e accetti il mio destino che è scritto qui dinanzi a me, su questa lapide che quasi fuoriesce dal terreno.
“Qui riposa Fabio Villa
Nato il 31 Gennaio1973
Morto il 21 Marzo 2013”
Sono io Fabio Villa e sono morto un anno fa. Il mio viaggio finisce qui, finalmente sono arrivato.