Premio Racconti nella Rete 2014 “Vasetti di pomodoro” di Chiarastella Grande
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014I fiori, via Alice, le ruote della bicicletta…si svegliò sudata ed ansimante. L’incubo era ritornato, quello che aveva infestato per molti anni le notti di Noemi, da quando aveva fatto quell’incidente con la bici nell’estate dell’86.
Sfrecciava con la bicicletta sulla via verso casa. Non ricordava perché andasse così veloce, ma ricordava benissimo che era così concentrata nella sua corsa da non accorgersi del palo della luce, verso il quale si stava schiantando.
SBAM.
L’urto piegò la ruota anteriore della bicicletta, mentre lei cadde sullo sterrato, facendosi solo qualche graffio. Forse la salvò la frenata provvidenziale alcuni secondi prima dell’ impatto o forse un intervento divino. Fatto sta che a subire i danni peggiori fu la bicicletta nuova, ormai inutilizzabile.
Noemi però non pianse, tenne tutto dentro ed entrò in casa senza la bici.
Rubata.
Questa fu la bugia con cui Noemi liquidò il ricordo di quella brutta giornata d’agosto.
Era periodo di salsa al sud.
Nonna Emma ad agosto coinvolgeva tutta la famiglia nel rito della salsa. Tutto iniziava già alla fine di luglio, quando faceva più caldo e i pomodori erano belli pieni di sole. Noemi e sua sorella Carla seguivano la nonna per il paese, che di casa in casa, andava alla ricerca dell’offerta migliore per l’acquisto dei pomodori. A Lido Specchiato, infatti, non esistevano dei veri e propri negozi di verdure, ma semplicemente le famiglie mettevano fuori dalle loro case delle casse piene di verdura di stagione, cicorie, cicorielle, pomodori, pircochi, fichi, muluni bianchi e muluni rossi, pipi e marangiane, che raccoglievano direttamente dalle loro terre. A Lido Specchiato il km zero era una realtà già dagli anni 80.
Nonna Emma, dunque, faceva finta di fare delle ricerche di mercato, ma le nipotine sapevano in anticipo che la sua scelta sarebbe caduta sul fruttivendolo di fiducia della nonna, il signor Maggiosabato. Noemi e Carla non avevano mai capito quale fosse il nome e il cognome, come non lo aveva capito forse neanche la nonna che lo chiamava sempre Signor Maggiosabato, pronunciato tutto d’un fiato.
Il Signor Maggiosabato e la nonna, ogni anno, quando era il momento della contrattazione, seguivano sempre lo stesso canovaccio: la nonna iniziava col chiedere al signor Maggiosabato se avesse qualche quintale di pomodori, lui le mostrava la merce, che puntualmente Emma disprezzava con un “io questi pomodori non li compro nemmeno a 100 L al chilo”. MaggioSabato, punto sull’onore, strabuzzava gli occhi e scandalizzato difendeva i suoi pomodori come se fossero i suoi figli, che pomodori così non ce ne erano con questo sapore e con questo profumo e che a meno di 500 L non si potevano vendere! Al che la nonna faceva la solita battuta “500 L? Ma son di oro forse?” e poi,come una diva provetta, si girava stizzita, facendo finta di andare via. Al che, Maggiosabato la fermava dicendo: “Come? Signuria se ne va di già? Che ne dice di fare 400?” La nonna allora si fermava e con studiata maestria si voltava, mostrando il segno della vittoria, muovendo alternativamente avanti e indietro il medio e l’indice. Maggiosabato scuoteva la testa e poi scendeva a 350, la nonna lanciava a 250 fino a che Maggiosabato concludeva con un “facciamo 300 e amici come prima”. E il siparietto si concludeva felicemente, con buona pace per tutti.
Le donne del sud che erano abituate a fare tutto in casa avevano il terrore degli agi e delle comodità dell’era del consumismo: alle domanda del perché bisognasse fare la salsa se la vendevano già pronta al supermercato, la risposta era sempre perché non sai mai cosa ci mettono dentro. Di fronte a questa inappellabile constatazione, tutta la famiglia, chi più chi meno, dava una mano ad Emma col rito della salsa : d’altronde tutti i palati della famiglia avrebbero poi goduto del risultato.
Quando quel pomeriggio d’agosto Noemi varcò il cancello di casa, pensò che forse il lavoro l’avrebbe aiutata a riprendersi dall’incidente e che così non avrebbe attirato l’attenzione della famiglia sull’improvvisa scomparsa della bicicletta. Entrò in cucina, si mise il grembiule, riempì una bacinella di pomodori e iniziò a spezzettarli a mani nude, come le aveva insegnato la nonna,conficcando i pollici nella pancia del pomodoro e svuotarlo della sua semenza,come se si stesse sventrando un pesce.
Nonna Emma si chiese come mai Noemi la aiutasse senza dover ricorrere all’uso delle minacce: non le piaceva quella ruga in mezzo agli occhi della nipote…presagiva soltanto guai. “Che hai?” le chiese, ma Noemi rispose con un alzata di spalle e continuò a sventrare i pomodori, gettandoli nella bacinella, come se volesse fare loro del male. La nonna non approfondì la faccenda, sapendo che dalla nipote non avrebbe ottenuto nient’altro che grugniti.
Noemi continuava in silenzio, come un automa, nella sua opera pomorocida, poi, quando si accorse, quasi con delusione, di aver finito, prese i vasetti e iniziò a riempirli con i pomodori spezzetati, schiacciandoli con una tale veemenza che la nonna, per scherzare, le disse che se avesse continuato così in quei vasetti ci avrebbe cacciato anche così tanta rabbia che li avrebbe fatti poi scoppiare. Ma Noemi non rise, perchè nonna Emma, come al solito, ci aveva preso: lei non stava riempiendo i vasetti con i pomodori, ma con la sua vergogna, la sua rabbia, e il suo senso di colpa. Riempì ben 50 vasetti, poi si tolse il grembiule e se ne andò a letto per cancellare quella giornata d’agosto nel rosso della salsa di pomodoro. Di quel 5 d’agosto rimase solo il ricordo di quell’urto e di come se la fosse cavata. Solo che Noemi non si era salvata da un palo, ma da un mostro che le notti ritornava nelle vesti di un incubo angosciante.
Via Alice D. faceva angolo con via dello Storione dove si trovava la vecchia casa al mare della famiglia Grasco. La marina di Lido Specchiato era uno di quei piccoli paeselli affacciati sul mare, dove la gente dei paesi vicini di solito costruiva una piccola casa, in cui i bravi uomini del sud, il sud quello vero, quello con due d, alloggiavano moglie, figli e, soprattutto, suocera per gli afosi mesi estivi, mentre loro rimanevano in “paese” a lavorare per la famiglia.
I Grasco però non avevano una piccola casa, un semplice pied-a-terre per sfuggire la calura estiva, ma avevano una vera e propria villa, con giardino, ampia cucina e sala da pranzo, cinque camere da letto, spaziosa veranda e discreto giardino in cui troneggiava un albero di fico, in tutta la sua prepotente bellezza. Lì si erano arrampicati generazioni di Grasco, sotto le sue fronde avevano campeggiato ospiti inattesi quando la casa era piena. Già, perché, a volte, 5 stanze non riuscivano a contenere la numerosa famiglia Grasco.
Erano passati vent’anni dall’ultima volta in cui Noemi era stata in quella casa. Aveva sedici anni quando vi trascorse l’ultima estate, l’ultima con la nonna, che insieme al marito aveva voluto quella villa, in cui tutti i membri della famiglia avevano lasciato un pezzo di cuore. E come si fa a buttare giù un pezzo di cuore? Noemi e sua sorella avevano deciso per questo di ristrutturarla, per ridare alla famiglia un porto accogliente per tutti, quando fossero tornati al sud dal dovunque essi fossero.
“Ti ricordi Noemi quando scoppiarono tutti i barattoli della salsa che avevi riempito?”
Noemi si diresse in cucina dove si trovava la sorella e vide dietro il tavolo col piano di marmo una macchia di un rosa sbiadito sulla parete. “Oh si che mi ricordo! Mi ricordo soprattutto le maleparole della nonna che echeggiavano per tutto il paese : “50 varattuli scoppiarono! Tutti quelli che ha riempito figghiuta, scoppiarono! Gliel’avia dittu ieu! Non riempirli con troppa forza che poi scoppiano!”
Carla rideva con le lacrime agli occhi per l’imitazione perfetta di Emma, ridevano come due bambine, da sole in quella cucina, sporca e abbandonata ma viva dei ricordi della loro infanzia.
Per questi motivi nessuno aveva il coraggio di vendere quella casa, nessuno se la sentiva a dire addio a quell’albero di fico o a quella macchia sul muro: un rudere e un albero erano il collante che ancora teneva salda quella famiglia.
Carla e Noemi, così, dopo vent’anni, si trovarono di nuovo a Lido Specchiato per fare una ricognizione dei lavori di ristrutturazione per la casa. Decisero di fare una passeggiata e incrociarono via Alice, una strada sterrata secondaria che immetteva in una delle arterie principali del paesello: vent’anni prima i terreni che oggi erano occupati da nuove case erano coperti da canneti e sterpaglia che davano al paesaggio un che di selvaggio.
Tutte le vie di Lido Specchiato erano intitolate ad un un pesce: ma via Alice, ex via dell’Aragosta, anche se il nome poteva trarre in inganno, era in realtà intitolata ad una persona .
“Ti ricordi quando accadde?” chiese Carla alla sorella.
“Si, lo avevo quasi rimosso. Via Alice D. …che tragedia fu. Sai che la conoscevo Alice? Ogni tanto giocavamo insieme sulla spiaggia. Era una bambina così allegra, con quella treccia bionda lungo la schiena..”
“Beh magari lo è ancora. In fondo il corpo non è stato mai trovato.”
“Lo spero per lei.”rispose Noemi, con poca convinzione.
Alice aveva riempito le cronache di Lido Specchiato per tutta l’estate, da quando in quell’afoso agosto dell’86 all’improvviso scomparve. La sua bici fu ritrovata dietro i canneti che davano sulla strada, che ora porta il suo nome. Era andata a fare un giro in bicicletta e non era più tornata.
Sulla via del ritorno passarono vicino al palo contro cui Noemi si era scontrata più di 20 anni addietro. Noemi lo fissò a lungo e sentì dietro la nuca un brivido leggero. Le ritornò in mente l’ incubo ricorrente di lei che pedalava su una strada sterrata, a perdifiato, come se stesse scappando da chissà quale pericolo. Pedalava con tutte le sue forze, ma rimaneva sempre nello stesso punto. Voleva urlare per chiedere aiuto, ma la voce rimaneva bloccata nella gola fino a che le sue stesse urla la facevano svegliare sudata, ansimante, e in preda alla confusione.
Proprio come accadde quella stessa notte.
L’incubo la risvegliò.
Noemi ringraziò il cielo di trovarsi al sicuro a casa. Aveva un terribile mal di testa e decise di prendere un calmante per cercare di riaddormentarsi
Il sonno arrivò insieme ad un altro incubo: questa volta Noemi pedalava felice su una strada sterrata. Sentiva il rumore dei sassolini che picchiavano contro i raggi delle ruote, sentiva il vento che le graffiava la faccia, mentre volava sulla sua bicicletta nuova fiammante. Poi arriva all’incrocio di due strade isolate poco lontane da casa, ma nascoste dai canneti, che invadono i campi ai lati della strada. Si ferma, perché papà le dice sempre che quando si arriva ad un incrocio bisogna prima guardare a destra e poi a sinistra : da destra arriva una macchina bianca, come quella di suo padre. Sta per girare e Noemi si prepara a passare, ma l’auto le blocca il passaggio.
E’ controra, nessuno passa perché è estate e la gente dopo il pranzo riposa per ripararsi dalla canicola del pomeriggio. Un uomo scende dall’auto, è sui 50 o giù di lì, e dice qualcosa. Nel sogno apre la bocca ma non emette suono, forse chiede un’informazione, lei si gira indicando qualcosa in fondo alla strada, e all’improvviso se lo trova vicino a chiederle un bacio. Noemi è piccola, ubbidisce, pensando che sia una richiesta d’affetto come quella che è solita chiederle il nonno, ma poi lui la guarda strano, sorride e si porta le dita alle labbra. Sa che quello che chiede non è giusto, ma prima che Noemi possa fare qualcosa si ritrova la sua bocca sulla sua, umida, sudata, metallica, viscida. Noemi vede rosso, è la luce accecante del sole che ha di fronte: l’immagine è così vivida che sente il calore sulle palpebre. Lui parla ma la sua bocca continua a non emettere suono, Noemi se ne vuole solo andare, lui la tira per il braccio ma lei imprime forza nel suo piede e riesce a liberarsi, se ne va con la bici tra le canne che stavano sul bordo della strada, quella maledetta strada sterrata e non fa niente se ci sono insetti bisce e serpenti l’importante è andare, scappare, casa è vicina…
Riprende la strada, passa una bicicletta, una lunga treccia bionda oscilla davanti ai suoi occhi e poi SBAM…
“Noemi, Noemi, sono qui…” le urla di Noemi questa volta avevano svegliato anche Carla
Noemi era sconvolta perchè ora ricordava tutto. La sua corsa infinita in bicicletta aveva raggiunto finalmente il traguardo.
Noemi era un fiume in piena e raccontò tutto di quella maledetta giornata d’agosto.
“…Io pedalavo pedalavo pedalavo più forte che potevo, e l’ho vista,l’ho incrociata, era lei!!”
“Chi hai incontrato?”
“Lei ! Alice in bicicletta, ricordo che mi voltai a guardarla, la sua lunga treccia bionda, volevo chiamarla dirle di non girare all’incrocio, di scappare ma non mi usciva la voce pensavo solo a pedalare fino a che non mi sono fermata…”
“Dove ti sei fermata?”
“Contro il palo della Luce.”
“Cosa?”
“Non lo dissi a nessuno per paura delle domande… andai a sbattere contro il palo della luce, ruppi la bici e dissi che era stata rubata.”
Carla abbracciò istintivamente la sorella che continuava a parlare:
“Mi vergognavo, pensavo fosse colpa mia se quell’uomo….e poi il giorno dopo quando si sparse la notizia della scomparsa di Alice, non so…ho rimosso mi sentivo responsabile per Alice e….”
Le parole morirono sulle sue labbra.
Si sciolsero nelle lacrime e nei singhiozzi di una bambina di 10 anni che in quel 5 agosto dell’86 aveva cercato di schiacciare la sua vergogna, la sua rabbia e il suo senso di colpa dentro a dei vasetti di pomodoro.
Mi è piaciuto. Bella l’immagine della rabbia ficcata nei vasetti di conserva.