Premio Racconti nella Rete 2014 “Arthur” di Patrizia Ginoble
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Mi chiamo Arthur.
Questo è il nome che mia madre ha scelto per me, perchè voleva che fossi forte, giusto e non avessi mai paura.
Non so chi sia mio padre. Mia madre mi ha sempre detto di non sapere chi fosse, anche se io ho sempre sospettato che mentisse per non darmi altro dolore.
TRa pochi giorni mia madre festeggerà il suo cinquantesimo compleanno.
Sotto i segni che la vita ha disegnato sul suo visto e sul suo corpo, si capisce che deve essere stata bella; bella di una bellezza fiera e consapevole, portata con orgoglio e per questo senza quasi mai il bisogno insicuro di cedere alla tentazione della vanità.
E’ una donna testarda, determinata, forte , in fondo, anche giusta, nonostante che, come tutti del resto, in vita sua abbia commesso molti errori.
Forse anche io sono stato un suo errore, anche se mi ha sempre amato e, se è vero che non me lo ha mai potuto dire, me lo ha sussurrato e lo fa ancora oggi, ancora oggi che tanto tempo mi separa da lei e che il frusciare delle foglie secche sella sua stagione inoltrata lenisce col miele della malinconia le sue ferite mai del tutto chiuse.
Il mio nome è Arthur.
Arthur come il re della leggenda, immacolato di fede e giustizia, che aveva il sogno del Graal.
Il mio Graal è mia madre, che ho cercato e cerco ancora, perchè nonostante il nome che porto ho avuto ed ho paura qui dove sono, in questo posto buio fatto di niente, dove gli specchi non mi rimandano nessuna immagine di me e l’unico sogno del mio viso è custodito nei sogni agitati ed inquieti d’amore di mia madre, che dice piano il mio nome, perchè nessuno la possa sentire, perchè nessuno la possa giudicare per non essere stata madre al di la dei sogni.
Era giovane mia madre.
Era giovane e, per l’unica volta della sua vita, impaurita.
Dopo di allora non si permise più di esserlo.
Si fece un’armatura, uguale a quella che aveva fatto per me, prima di mandarmi quaggiù dove ho sempre tanto freddo, perchè voleva che nessuno potesse farmi tanto male, tanto male quanto me ne aveva fatto lei e questo era stato il suo modo di dirmi che mi amava.
La porta sempre, non se la toglie mai.
Si difende così dal dolore, come se il dolore non fosse liquido, fluido, capace di insinuarsi tra gli interstizi della corazza che trasporat su di sè, con una fatica che solo io riesco a capire, perchè me è lo stesso.
Io solo vedo oltre i sorrisi delle sue labbra e dei suoi occhi quel velo prezioso, che custodice con gelosia, perchè anche tutti i suoi tormenti sono la sua vita e della sua vita non ha mai rinnegato niente, nemmeno l’idea di me.
Io solo posso piangere le sue stesse lacrime perchè so cos’è la solitudine infinita e così quando la vedo piangere, perchè si sente tradita e abbandonata e delusa, lascio che il mio pianto cada sul suo viso, si mescoli al suo e la consoli con la mia vicinanza, mai veramente vicina nello spazio, ma sempre presente nel tempo eterno dell’amore.
E’ mia madre.
Giovane e bella quando seppe di me, matura e un po’ sfiorita ora che di me ha la piena consapevolezza.
E’ mia madre.
Che mi ha cullato di nascosto dagli occhi del mondo, che mi ha parlato e, scusandosi per la sua paura vigliacca, ha aperto la mano che tratteneva la mia e mi ha lasciato scivolare qua, qua da dove io ho sempre potuto vederla, sentirla, ma mai e poi mai toccarla e prendere il calore e l’odore della sua pelle.
E’ mia madre.
La stessa madre di mio fratello, quel bambino biondo e imbronciato con le ginocchia sbucciate a cui un suo bacio faceva tornare il sorriso, quel ragazzo bello e alto che fa voltare le ragazze e che negli occhi porta chiaro l’amore che ha ricevuto. Forse sono io quel bambino, quel ragazzo che mia madre ha amato e ama più di quanto possa immaginare di amare sè stessa, forse lo ama così tanto perchè deve amarlo per due, deve amarlo anche per quanto non ha potuto amare me.
E’ mia madre.
La stessa donna che una vita e oltre fa ad una fermata del tram è stata presa come si prende una cosa, è stata ferita dove le ferite non si possono vedere e fanno più male. Ancora adesso, quando si mette il rimmel, lo rivede colare sugli occhi tumefatti e imploranti di lacrime vane; ancora adesso conserva in una scatola in cima all’armadio una gonna sporca del suo sangue ed una camicetta strappata con rapace avidità; ancora adesso, quando cammina per strada, ogni tanto volta il capo perchè un rumore diverso di passi la fa trasalire.
La stessa banbina che, in un letto bianco di ospedale, ha deciso di non volere una nuova bambola sporca e piangendo si è addormentata e, quando si è svegliata, ha capito che niente avrebbe più potuto essere come prima, perchè con me quaggiù ci è venuta anche una parte di lei, perchè proprio non se l’è sentita di lasciarmi andare da solo e anche quando dice che è stata la cosa migliore e si convince di essere restata al di la tutta intera, sa che una parte del cuore ha smesso di battere e non perchè sia morto, ma soltanto perchè è vivo solamente per me.
E’ mia madre.
Sopravvissuta alla paura, al dolore, alla colpa, alla vergogna di essere stata bella e bella nel momento e nel posto sbagliato.
E’ mia madre.
Questa donna che non chiede mai niente e dall’amore tutto, senza risparmiarsi.
E’ mia madre.
Che ha scelto per sè stessa e per me quale dovesse essere la nostra vita insieme.
Solo momenti, momenti rubati alla vita e regalati al sogno. Il sogno che se avessi potuto scegliermi una madre è proprio lei che avrei scelto.
Ho trovato molto bello questo testo. Congratulazioni