Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Perdita” di Natalia Lenzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Maria è la mia migliore amica.

Dopo tanti anni, più di trenta, ricordo ancora il primo giorno di scuola. Il primo, di tutti i primi giorni di scuola che lo hanno seguito. Il primo in assoluto. E’ come un sogno sfuocato. Chiudo gli occhi e vedo una stanza  senza muri, solo la lavagna, una macchia scura in lontananza, dove una fila di bambini tutti uguali, ognuno con il proprio grembiulino, si tengono per mano a due a due. Io sono tra quei bimbi e Maria è la compagna che tengo per mano e, in quel ricordo sfumato e lontano, ma incredibilmente pungente quando lo richiamo alla mente, sento chiara l’antipatia, quasi un disagio fisico, per quella bambina che mi stritola le dita. Non ho ricordi precisi di quando e come quell’antipatia si è trasformata in affetto, ma ogni volta che cerco un ricordo, che mi sforzo di scavare indietro nel tempo, Maria c’è sempre.
Ed è sempre bello.

 

Le nostre mamme sono due attempate signore ancora oggi in ottimi rapporti. Abbiamo costretto le nostre famiglie a fare amicizia. Difficilmente potrebbe essere diverso, quando, per anni, giochi con la stessa bambina, mangi a casa sua e la inviti da te, oppure dormi in un sacco a pelo accanto al suo letto o costringi tuo fratello a cederle la camera per un sabato tra amiche. Quando riesci a fare i compiti di matematica solo se è lei a spiegarteli o quando, incredula, sbuffi e alzi gli occhi al soffitto perchè lei non riesce proprio a capire il senso di una poesia. Difficile resistere a tanto.
Se mi concentro, riesco ancora a sentire l’odore della pizza che la mamma di Maria cuoceva nel forno del giardino in estate. Un profumo di pomodoro e pasta che si confondeva con quello dei fiori. A volte riesco persino a sentire l’eco delle voci dei nostri genitori che, di sera, ci chiamano perchè è buio, è ora di rientrare, mentre noi due, ridacchiamo nascoste dietro una siepe.

 

Maria, con i suoi occhiali sottili senza montatura e lo sguardo sempre serio, attento.

 

Litighiamo spesso.  Lei è puntigliosa, io svagata. Lei ha sempre ragione, io, sempre torto. Non ci hanno diviso nemmeno le scuole superiori, diverse, lontane, ma noi, sempre insieme. Sempre al telefono, sempre a rincorrere gli stessi amici, a frequentare gli stessi posti. Sempre a confidarci i segreti, i sogni, le scoperte, ad ascoltare la stessa musica, a scambiarci gli stessi libri, sempre più usati. Sempre al cinema, a ballare. Sempre insieme.

Ci siamo diplomate lo stesso giorno e siamo andate insieme ad iscriverci all’Università. Corsi diversi, sedi diverse. Io, con la testa tra le nuvole, sempre pronta a sbandierare i miei ideali, lei, con i piedi ben piantati in terra, sempre pronta a difendere la praticità dell’esistenza.  Io con la mia bella laurea in lettere e tanta voglia di conoscere il mondo, lei, ingegniere tutto di un pezzo e con uno studio tecnico dove non aspettavano altro che di vederla con la laurea incorniciata da appendere in ufficio.

 

Maria ripete spesso che la sua indole materna è completamente appagata dalle mie figlie.

Non ci credo.

Un tardo pomeriggio d’estate, due adolescenti in riva al mare, ci siamo promesse di sposarci in una cerimonia a quattro, due spose con i loro due sposi, tutto da condividere.

Il tempo è passato.

Lei non è madre, e non è moglie.

Io non ho viaggiato per il mondo ma ho trovato un marito a due passi da casa. E ringrazio per questo ogni giorno.

 

Maria adora le  mie bambine. Loro la chiamano zia e, anche se non dovrei dirlo, sospetto che preferiscano di  gran lunga lei a mio fratello, forse solo perchè lui distribuisce più consigli che regali. Volevo battezzare la mia prima figlia con il suo nome; volevo chiamarla Maria. Mio marito, già assai critico con l’abitudine di alcuni di imporre ai propri figli i nomi dei nonni o di altri più lontani avi, si è opposto con fermezza. La sua ragione ufficiale è che ogni creatura deve essere un essere a sé stante, e , che non deve, in alcun modo, richiamare su di sé gli atteggiamenti, i pregi o i difetti degli altri, come se un nome potesse essere anche una sorta di marchio di produzione; stesso nome, stesso prodotto. Sono certa che questa sua opposizione sia stata più che altro il parto del timore di ritrovarsi ad avere due ‘Maria’ girare per casa. Così, abbiamo deciso di battezzarla MariaElena; lui la chiama solo Elena e siamo felici entrambi.

 

Maria ha conosciuto il suo unico, vero e grande amore, sul posto di lavoro. E anche questo, non poteva essere altrimenti: tutto il tempo che lei non passa a viziare le mie figlie, lo trascorre chiusa tra quelle quattro mura.

Un cliente alto, bello e intelligente. Un cliente ricco, innamorato delle sue idee, oltre che di lei. Un cliente perfetto.

Maria non è una donna superficile e non è mai stata una ragazza incline alle avventure amorose. Ogni volta, e capita spesso, che un corteggiatore si fa avanti, lei mette subito in chiaro che non ama prendere la vita alla leggera. Un giorno, all’uscita da scuola, un tredicenne con lo zaino più grande che io avessi mai visto, si fece avanti e le disse che la trovava carina e interessante. Ricordo bene che smisi di respirare e, a bocca aperta, spalancai gli occhi, spostando lo sguardo avanti e indietro dall’una all’altro, aspettando che accadesse chissà che cosa. Maria si aggiustò piano gli occhiali e poi gli spiegò con calma che non erano fatti l’uno per l’altra, ma, che, considerata la sua intraprendenza, avrebbe avuto ben più fortuna con una come me. Avevamo undici anni. Quel tredicenne smilzo è stato il mio primo fidanzatino. Non si era sbagliata nemmeno quella volta.

 

Io so che è solo paura.

Nessuno la conosce meglio di me.

Lei teme la sofferenza, del corpo e dell’anima. Ha orrore del dolore, la sola idea della delusione la atterrisce. Ma, al cliente perfetto, non ci si può negare.

Quando una porta si apre, e sai che è quella giusta, non si può che varcarne la soglia.

 

Dopo un anno di quel loro amore, lui si è presentato a casa sua per riconciliarsi dopo una lite.

E’ andato da lei con due coltelli.

L’ha massacrata.

Lui, era troppo perfetto.

Lei, era solo un essere umano.

Non le ha perdonato di essere fallibile.

 

Maria, amica di una vita, è morta.

Una perdita incolmabile.

Lui, in galera, è vivo.

Una perdita solo per se stesso.

 

 

 

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2 commenti »

  1. Natalia, è storia che stende…letteralmente…. alla fine! Un cambio di stile e di contenuto che spiazza! Di grande effetto e, purtroppo, molto attuale!
    Un pensiero per Maria.
    Spero che tanti leggano il tuo racconto.
    Silvia

  2. Racconto commovente e molto toccante, storia di un’amicizia che non finirà mai. Terribile conclusione purtroppo sempre più attuale, La vita spesso è ingiusta. ” Una perdita incolmabile per una perdita solo per se stesso”. In bocca al lupo per tutto

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