Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Cuore nomade” di Mita Feri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Mi ero agghindata con cura, mi ero truccata con estrema meticolosità; ricordo di aver passato in rassegna tutto il guardaroba prima e di essere rimasta di fronte allo specchio un tempo interminabile, indecisa su cosa indossare. Avevo poi optato per un tubino al ginocchio, di colore blu elettrico, colore che in quella stagione andava per la maggiore. Era impreziosito da uno spacco laterale e ci avevo abbinato quelle scarpe dal tacco vertiginoso che senza dubbio mi avrebbero fatto maledire il giorno in cui le avevo acquistate. La scollatura dell’abito, profonda sulla schiena, lasciava intravedere l’abbronzatura dorata conquistata in maniera spensierata nel fine settimana di quell’inizio d’estate, ospite da amici in un borgo così incantevole, sulla costa della Versilia.

Potevo in qualche maniera mascherare la troppa magrezza? Non mi piaceva, per la prima volta i miei occhi erano ipercritici: mi sembrava non salutare. Uffa, mi sentivo uno straccio. Qualcosa dentro mi diceva che stavo maturando un imperdonabile errore! Sollevai le spalle, come per darmi una sorta di giustificazione e indossai la maschera della spavalderia, poi, mi caricai le pile di esuberanza, respirai profondamente, con quella vaga certezza che non fare la cosa giusta mi avrebbe ucciso l’anima e maledissi il grillo parlante che animava la mia sopita coscienza. Sempre lui: gli avrei tirato una martellata in testa, per non sentire più quella vocina interiore che mi tormentava. Feci una smorfia allo specchio e uscii in tutta fretta, pensando che lui, forse, l’avrei lasciato senza fiato.

Lo colsi nel suo sguardo il desiderio irrefrenabile, lo stesso che mi aveva attirata la prima volta che le nostre anime si erano scontrate in un fragoroso incendio.

Era stato un caso, gli ero caduta addosso per sbaglio, in quel nido di ristorante, il solo che fosse aperto di lunedì sera, in quel paesino che era una chicca e che avevo scoperto all’ultimo momento, per pura combinazione, per concludere un interessante contratto con i miei clienti. Forse era stato uno scherzo del destino, era successo tutto in modo così rocambolesco, proprio da non credere: a causa della fretta di entrare in bagno, mentre lui ne usciva, sbadatamente gli ero piombata fra le braccia, poggiando il mio seno prosperoso sul suo petto. Io per la vergogna mi ero prontamente scostata, mi sentivo il volto in fiamme. Lui, invece, sembrava divertito e mi sorrise in modo enigmatico, con ammirazione.

“Salve” mi disse, cercando di togliermi dall’imbarazzo, “anche lei è qui per lo spettacolo?”

Accennai ad un sì incerto con la testa, cercando di riprendere l’equilibrio perso e tentai di scappare, ma ormai il danno era compiuto: si era accesa una scintilla che mi aveva percorso tutta la schiena e dopo, quando tornai al mio tavolo, non feci altro che cercarlo con gli occhi, sperando che lui non se ne accorgesse.

Sentivo ancora il suo sguardo incuriosito e penetrante che si trasformava in mani, lasciandomi piacevolmente stordita e nuda all’istante. Sembrava sapesse già tutto di me: maledizione!

“Scappa, sei in pericolo!” mi intimava la vocina della coscienza, ma già non la sentivo più.

Non ricordo come fosse cominciata poi la nostra storia, non ricordo come ci scambiammo i numeri di telefono, né chi di noi fece il passo per primo, nel tentativo di allacciare un contatto. La volta che poi lo incontrai, accettando il suo appuntamento, fu ad una festa ed avevo mandato giù così tanti drink che a malapena riuscii a tornare a casa integra, in automobile, con lui alla guida.

Ero felice in quella mia follia e mi sentivo persa, al settimo cielo: anche dopo, per lungo tempo rimasi in quello stato euforico.

Per lui ero vulnerabile, in sua presenza mi girava sempre la testa, in preda a un’ondata di desiderio che mi faceva galoppare il cuore che ormai era diventato nomade, come uno zingaro che vaga senza meta.

Mi mancava il fiato al solo pensiero: lui era diventato la mia droga irrinunciabile.

Ricordo solamente che le sue labbra carnose erano succulente, i suoi baci così carichi di promesse, che sembravano singhiozzi d’amore. I nostri corpi in fiamme, reclamavano carezze sempre più audaci.

Ricordo soltanto l’urgenza delle sue mani che frugavano fra le mie vesti leggere, in quell’estate troppo breve per darsi ancora di più calore.

Con le sue dita lunghe e sinuose solleticava, pizzicava la mia pelle che ad ogni suo tocco si contorceva in brividi di piacere, appagando la mia urgenza d’amore.

Era il mio demonio, la sua tentazione mi condusse all’apice del peccato, fino al delirio, ma era impensabile per me farne a meno.

Mi tormentavo nella sua assenza, agonizzando nell’attesa di incontrarlo nuovamente.

E il mio nome, aveva un suono così dolce pronunciato da lui, che mi struggeva l’anima.

E in quei momenti, nell’indistinto e vorticoso intreccio di corpi e anima, mi sentivo completamente sua.

Continuava a ripetermi: “Quanto sei bella, non mi stancherò mai di te …..”.

Mi scioglievo sul suo fuoco lento, come fossi una noce di burro, mi lasciavo accarezzare con la sua calma avida, come chi sta investigando per scorgere la mappa di un tesoro rimasto inesplorato; mi lasciavo pizzicare ubriaca di passione, dimentica di chi fossi, di quale fosse il mio posto.

Mi riempivo l’anima assaporando la sua infinita dolcezza, sembrava che fossimo due ragazzini che cercano di scoprirsi a vicenda, nello sbocciare del loro primo amore, con quella bramosia, da far invidia al mondo.

Non mi bastò quella volta e continuai a desiderare quel giovane uomo nonostante i tanti ostacoli che si sovrapponevano ai nostri incontri strampalati, che mi avvicinavano sempre di più in direzione del baratro della perdizione. Ero completamente in sua balia, in preda al desiderio del raggiungimento della felicità dei nostri corpi insaziabili.

E lui, che appariva in compagnia degli altri così freddo e scostante, si arrendeva a me con una tale dolcezza, toccando le mie corde più sensibili al piacere, tanto che ogni volta mi faceva gridare fino al cielo. Adoravo quelle sue mani calde e avvolgenti come velluto, quelle dita affusolate che disegnavano ghirigori sulla mia pelle che ardeva di desiderio, come se la esplorasse ogni volta, per la prima volta.

Mappava i miei punti nevralgici cercando i più sensibili per condurmi sulle vette più alte del piacere e io ….. speravo che non la smettesse mai più.

Era tutto un sublimarsi verso un amore che a me sembrava unico e incontrastato e sentivo che dovevo viverlo senza reticenze, per goderne appieno.

“Contro certi sentimenti non si può lottare, ci si può solamente abbandonare, per poi risorgere più vivi” mi diceva soddisfatto, con la consapevolezza di quanto fossi in suo potere.

Con lui mi dimenticavo chi fossi, chi mi amasse e questo rappresentava l’ombra fra di noi. Ma non me ne curavo.

Poi ci fu quello schiaffo sonoro sulla guancia, che mi bruciava ancora, mi stordì.

“Scusa non volevo, mi spiace, perdonami!” disse lui prontamente, poi mi abbracciò stretta e proseguì:

“Non voglio che tu vada via così presto, o mi farai impazzire! Noi siamo fatti per amarci”.

“E’ una storia d’amore insana la nostra. Tu sei matto!”

L’ho capito solo allora. Lui era malato dentro, mi aveva plagiata per soddisfare il suo ego e io ci ero caduta come una pera cotta. Che cretina ero stata!

Ma ero ancora tremendamente sorda e cieca di passione, non riuscivo a staccarmi da lui e cancellarlo dalla mia vita, come se non ci fossimo mai stati, come se quella relazione non fosse mai esistita. Avrei dovuto scappare subito a gambe levate!

Quante donne perdonano e poi diventano vittime di questi uomini carnefici che ti considerano come una sua proprietà da usare, invece che una persona degna di pensare liberamente e vivere.

Sono uomini immaturi, che calpestano la dignità delle donne.

Spetta a noi insegnare loro a rispettarci. Nessun altro potrà farlo, se non noi.

Ma non avevo ancora toccato il fondo. Non pensai, come invece penso adesso che anche un solo gesto di violenza non è amore, ma è possesso, sopruso, prevaricazione, dominio.

E continuai a incontrarlo, in clandestinità, non riuscendo più a guardare negli occhi Tommaso. Del resto ci vedevamo così di rado adesso, quella che doveva rappresentare una pausa di riflessione scelta da entrambi, per superare quel periodo difficile, si stava trasformando in una vera e propria separazione per me.

L’altro aveva gettato su di me un’ombra nuova però, quella della paura. Non lo riconoscevo più: cercai di scostarmi da lui, non mi piaceva l’uso del turpiloquio che ultimamente usava con frequenza nell’intimità, oppure la brutalità con la quale mi tratteneva. E quella volta che con forza bestiale, contravvenendo al mio desiderio mi penetrò da dietro compiacendosi della sua esplosione di bomba atomica, come la chiamava lui, provai un tale ribrezzo, che mi vennero i conati di vomito.

Andai a rifugiarmi in bagno, mi chiusi a chiave e piansi, non so per quanto tempo ci restai, al buio, certa di aver sbagliato nel fidarmi delle sue richieste di perdono, del tutto vuote di un reale sentimento.

Volli che se ne andasse e uscii da quella stanza che era diventato il mio momentaneo rifugio, solamente quando fui certa che avesse tolto il disturbo.

Aveva usato nuovamente violenza contro di me e non lo accettavo, mi aveva stracciato il cuore! Quello non era più amore, ma lo era mai stato forse?

Ero sconvolta, mi era chiaro che mi avesse usata, ero per lui solamente un involucro esterno, qualsiasi altro corpo per il suo sfogo di istinti primordiali, credo sarebbe stato lo stesso. Mi faceva schifo e avevo pietà di me: come potevo essere arrivata a farmi trattare così?

Ne avevo abbastanza della sua prepotenza, delle sue pretese e questo tono di sfida che si era scelto, lo detestavo con tutta me stessa.

Era veramente troppo, aveva superato il limite. In quel momento lo odiai, ma odiai anche me stessa per non aver fatto nulla per impedirglielo. Ero stata un’ingenua, una sciocca ingenua.

Mi chiesi cosa mi avesse condotto fra le braccia di un tipo così. La mia colpa era l’essermi innamorata di lui, ma ero terribilmente vulnerabile di fronte alle sue imperfezioni e il sentimento di tenerezza che suscitava in me la sua malinconia, mi aveva resa cieca, attirandomi nella sua trappola mortale.

Forse avevo cercato momenti di evasione dall’incomprensione con Tommaso.

Ma da cos’altro volevo scappare? Dalla mia insicurezza, dalla sensazione di non essere perfetta, dall’incapacità di non riuscire a procreare, che mi faceva sentire donna a metà?

Quel bambino che non riuscivamo ad avere mi aveva allontanata ingiustamente da Tommaso, che non mi aveva mai negato il suo amore sincero. Io stessa mi ero resa egoista, mi ero stretta da sola nella trappola di sentimenti controversi che non mi davano pace. Sembravo in preda a spiriti ribelli.

Solo allora cercai di riallacciare i contatti con Tommaso, sperando che non tutto fosse perduto. Lui mi invitò una sera a cena, in quella che per anni era stato il nostro nido.

Quando aprii la porta dell’appartamento notai con sorpresa mista a piacere che lui aveva già apparecchiato e mi confermò di aver preparato una cenetta romantica da gustare a lume di candela: che tesoro! Mi prese una tale stretta allo stomaco: come avevo potuto lasciarlo andare via?

I profumi che mi stuzzicavano le narici e le papille gustative erano a suo dire, potenti afrodisiaci. Mi piaceva quell’atmosfera frizzantina e la sua attenzione verso di me.

Mi fece sedere, mi servì un aperitivo Bellini …… e lì, guardandolo muoversi attorno a me con quella cura, con quei gesti lenti e affettuosi, capii che lo amavo ancora e che avevo fatto un grande errore a lasciarmi abbindolare da quel giovane uomo, pazzo.

Avrei voluto confessargli il mio errore e chiederli perdono, ma forse la lezione mi aveva già maturata.

E poi non sarebbe stato piacevole sciupare quella serena atmosfera appena riconquistata: non potevo gettarlo nel dolore, non dovevo amareggiarlo per lavarmi la coscienza. No quella sera no, rimandai a un momento più propizio. Ma poi, per dichiarare un tradimento esiste mai un momento propizio, ammesso che il mio si potesse considerare un tradimento!?

Mi accolse in un lungo abbraccio, io tremavo tra le sue braccia, mi resi conto che non avevo mai smesso di amarlo anzi, lo amavo più di prima. Lui era il mio conforto, la mia roccia, la mia ancora di salvezza. Adesso ne avevo la certezza.

Mi sentivo una stronza, perché lui era sempre stato sincero con me e mi aveva aspettata in solitudine, fiducioso che le mie paturnie sarebbero trascorse e volate via.

Rimasi a dormire in quella che per lungo tempo era stata la nostra alcova.

Ci tenemmo stretti senza fare poi niente, ma felici di essersi ritrovati.

La mattina dopo, quando lentamente cominciai a risvegliarmi dal sonno, mi sentivo come se avessi vissuto un’altra esistenza, tutta in quella notte. Mi guardai un po’ stupita, per capire dove fossi. Piano, piano mi resi conto che era stato un lungo, tormentato sogno, un incubo e basta, che però mi aveva lasciato una sensazione di pace interiore, come se una parte di me, quella afflitta, mi avesse abbandonata. Meno male!

Mi stropicciai gli occhi, come fanno i bambini quando li chiamano e fanno fatica a tirarsi su e uscire dal calore delle coperte, per prepararsi per andare a scuola.

Il sole era già alto.

Mi alzai con fare lento e svogliato, Tommaso non c’era già più, ma lui la domenica mattina ne approfittava per farsi una corsa nel parco e pensai che fosse fuori.

Scostai leggermente le tende, per abituarmi pian pianino a quella luce accecante, come se la vedessi per la prima volta, poi le spalancai con fare deciso e aprii la finestra.

Respirai a pieni polmoni l’aria mattutina, lasciando che la leggera brezza mi accarezzasse il viso, per rinfrancarmi con il mio universo interiore.

Sentii un piacevole profumino che proveniva dalla cucina: caffè e paste calde appena sfornate.

Che tesoro pensai, è il mio Amore a prendersi cura di me.

In quel preciso istante maturai la decisione di non sovraccaricargli l’anima, né di appesantirgli il cuore con una confessione che avrebbe solamente liberato me dal rimorso, ma magari avrebbe minato la nostra riconquistata unione. Avrei tenuto per me quel segreto, non gli avrei mai confessato nulla, certa che non sarebbe più potuto succedere, perché non c’era uomo migliore per me, che non fosse Tommaso.

Scesi scalza le scale e lo trovai che armeggiava in cucina: lo raggiunsi pian pianino per coglierlo di sorpresa da dietro. Lo abbracciai e lo tenni stretto a me, non so quanto tempo.

Lui mi rispose con un lunghissimo e appassionato bacio.

Si stupì per la mia insolita dolcezza mattutina e mi chiese:

“Hai forse qualcosa da farti perdonare? O è che le tue paturnie ti hanno abbandonata per sempre?”

“Ho fatto un sogno brutto e lungo, come fosse un incubo e ho avuto il timore di perderti, ma adesso siamo qui, insieme e non contiamo che noi. Non voglio pensarci più . Ti ho mai detto ultimamente quanto ti Amo?”

“Sì. Lo so ….”

“Vieni, torniamo di sopra, ti desidero e …. Voglio provare ancora ad avere un figlio da te e, se anche questa volta non dovesse funzionare, allora vorrà dire che lo adotteremo: io sento che saremo due bravi genitori e sapremo donare il nostro amore a un bambino che è già in cerca di noi”.

“Allora non ci facciamo sfuggire il tempo che abbiamo! Corriamo a dare un nome al nostro bambino”.

Forse il cuore ha una memoria tutta sua, è come un treno che si muove su un binario sgangherato e che va verso una stazione, che altro non è, che un’illusione.

 

Loading

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.