Premio Racconti nella Rete 2014 ” La Maschera del Passato” di Daniela Jannuzzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Viola volse lo sguardo verso il finestrino, il panorama che offriva era alquanto monotono: nuvole bianche e cielo azzurro.
Guardò l’orologio, giocherellando nervosamente col cinturino. Tra meno di mezz’ora sarebbe arrivata a destinazione.
A distanza di anni tornava a Venezia, la sua città natìa, col morale a terra e il cuore a pezzi. Dopo due anni di convivenza e un matrimonio organizzato fin nei minimi dettagli, Paul l’aveva lasciata.
Il mondo le era crollato addosso come un castello di carte, così si era gettata a capofitto nel lavoro chiudendosi a riccio e rifuggendo ogni occasione di svago.
C’era voluto tutto il potere di persuasione di Demetra, suo capo nonché migliore amica, perché Viola si convincesse a staccare un po’ e prendersi alcuni giorni di ferie.
Poiché girare per casa come una zombie era fuori questione aveva, quasi d’impulso, acquistato un biglietto aereo per Venezia.
Dopo la morte dei suoi genitori aveva lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero in cerca di lavoro, da allora erano passati dieci lunghi anni e tutte le persone che avevano fatto parte della sua infanzia non vivevano più in quella città.
Stiracchiò la schiena indolenzita dalla scomoda seduta, sarebbero stati tre giorni di totale relax pensò dimenandosi sul sedile, sotto lo sguardo infastidito del suo vicino di posto.
Una volta recuperato il bagaglio, Viola si mise alla ricerca di un taxi.
Aveva prenotato una stanza in un piccolo albergo poco pretenzioso ma pulito, pagato il tassista si guardò attorno: Venezia non era affatto cambiata, conservava ancora quell’aura di mistero e antichità, sembrava quasi di essere in un’altra epoca.
Scrollò le spalle con un sorriso e si diresse verso l’albergo, era quasi arrivata davanti la porta che un bimbo travestito da sceriffo le finì contro.
«Giulio, vuoi fare attenzione? Chiedi scusa alla signora!» esclamò la madre del piccolo.
«Non lo sgridi, sono bambini è normale essere vivaci alla loro età.» Con un sorriso Viola congedò il piccolo e la madre ed entrò in albergo.
La stanza era comoda e accogliente e affacciava su un delizioso vicoletto, le strade erano piene di bambini e adulti in maschera, mancavano tre giorni al termine del carnevale.
“Certo che ho scelto proprio il periodo ideale per rilassarmi” pensò mentre disfava la valigia.
In bagno, si spogliò e fece una lunga doccia bollente. Ancora avvolta nell’asciugamano si guardò allo specchio: aveva trentotto anni e nessun legame affettivo, sul viso cominciavano a comparire le prime rughe e il fisico si stava appesantendo. La sua unica e ultima possibilità di avere una famiglia era sfumata, non credeva di poter trovare di nuovo l’amore. Sorrise mestamente a sé stessa, immaginandosi sola con un esercito di gatti.
«Basta! Non sei venuta fin qui per piangerti addosso» disse alla donna riflessa nello specchio.
Doveva uscire, vedere gente l’avrebbe aiutata a lasciarsi quella brutta storia alle spalle. Un cuore ferito poteva guarire, aveva solo bisogno di tempo.
Infilò il primo vestito a portata di mano e si fiondò fuori dall’albergo, era quasi ora di pranzo ma in giro c’era una gran confusione. Tornò con la mente a quando era bambina, il carnevale le era sempre piaciuto tantissimo con tutti quei costumi colorati e l’atmosfera magica.
Persa nei ricordi non si accorse di aver imboccato una strada conosciuta, se fosse andata avanti sarebbe arrivata davanti alla sua vecchia casa.
Proseguì decisa, ed eccola quella che per tanti anni era stata casa sua: era ancora in buone condizioni, sembrava che il tempo si fosse fermato. Alzò lo sguardo verso quella che un tempo era la finestra della sua stanza. Per un attimo ebbe persino l’impressione di udire la voce di sua madre che canticchiava in cucina.
Quanti ricordi: le risate con le amiche, sua madre intenta a sfornare biscotti e suo padre che leggeva il giornale seduto in poltrona. Con gli occhi lucidi si avvicinò alla porta, lì in un angolo c’era ancora un piccolo cuore che aveva disegnato il giorno in cui si era innamorata per la prima volta.
Prese un fazzoletto dalla borsa e si soffiò il naso, si sentiva già abbastanza triste senza bisogno di rituffarsi nel passato. Decise di allontanarsi, il suo stomaco reclamava cibo.
Camminò per vicoli e stradine, comprò un panino e decise di mangiarlo seduta sui gradini di una casa. Era impegnata a evitare che la maionese le colasse sul vestito, quando alzò gli occhi e si accorse del negozio di fronte. Era una graziosa boutique, l’insegna recava la scritta: Sartoria teatrale, vendita e noleggio.
Incuriosita si avvicinò alla vetrina, esposto su un manichino c’era il costume più bello che avesse mai visto. Era un abito di foggia vittoriana color blu notte con ricami d’argento e perline, le maniche a sbuffo e una vistosa scollatura.
«Perché non lo prova? Le starebbe bene.» Per poco Viola non si strozzò col panino, dalla soglia del negozio una simpatica vecchina la guardava sorridente.
«La ringrazio, ma non sono in vena di travestimenti» disse sorridendo a sua volta.
«Se dovesse cambiare idea…»
Viola le fece un cenno di saluto e tornò in albergo.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio, una strana agitazione non le permetteva di rilassarsi. Il letto, divenuto improvvisamente scomodo, la indusse ad alzarsi per prendere una boccata d’aria. Si infilò la vestaglia e aprì la finestra, la notte era illuminata dalla luce calda dei lampioni.
Le venne in mente il costume visto quel pomeriggio e un’idea le si affacciò alla mente.
“Perché no?” pensò. Dopotutto lì non la conosceva nessuno, e allora perché non fingere per una sera di essere un’altra? La parte razionale del suo cervello che le ricordava di essere un’adulta, venne messa a tacere.
Stringendosi nella vestaglia, chiuse la finestra e tornò a letto. Di lì a poco cadde in un sonno profondo.
«Venga fuori, vediamo come le sta» esclamò la negoziante.
Timidamente, Viola uscì dal camerino cercando di non inciampare nell’ampia gonna.
«Sembra fatto su misura per lei! Si guardi allo specchio.» L’anziana donna la guidò verso un grande specchio posto in un angolo.
Viola quasi non si riconobbe, l’abito le stava a pennello: il bustino le metteva in risalto il decolleté e minimizzava il punto vita, mentre la lunga gonna le fasciava dolcemente i fianchi ricadendo in morbide balze fino a terra.
«Mm…è bello ma manca qualcosa. Non avrebbe per caso una parrucca da abbinare e una maschera?» domandò.
Nel tardo pomeriggio, Viola tirò fuori dalla fodera il costume e l’indossò. Per completare il travestimento raccolse i capelli in uno chignon e li coprì con una parrucca dai lunghi boccoli rosso rame. Come ultimo tocco legò i nastri della maschera dietro la nuca e si guardò soddisfatta allo specchio. Così conciata era irriconoscibile, la maschera a forma di farfalla le dava un tocco quasi esotico.
La festa in strada era in pieno svolgimento e, come aveva sperato, nessuno la notava più di tanto. C’era musica nell’aria e risate di bambini, ma anche tanti adulti in variopinti costumi. In pochi attimi si mischiò alla folla. Girovagò a lungo per Piazza S. Marco tra costumi e maschere di tutti i tipi. Stava cominciando a imbrunire e decise di tornare in albergo, quando notò un uomo vestito da pierrot che distribuiva dei volantini. Curiosa gli andò vicino. L’uomo le diede un piccolo biglietto pieno di ghirigori e svolazzi: l’invito a una festa in maschera danzante. L’evento si sarebbe tenuto quella sera in una villa poco distante, messa a disposizione gratuitamente dai proprietari. Le bastò un attimo per decidere: avrebbe partecipato.
La sala, riccamente decorata con specchi e candelabri di cristallo, sembrava uscita dritta da un libro di fiabe. C’era molta gente e un’orchestra riempiva l’aria di musica soave. Viola si avvicinò al buffet dei rinfreschi, prese un cocktail analcolico e una tartina al salmone. Vagò per la sala e alla fine prese posto su una comoda sedia imbottita, molte coppie ballavano e per un attimo tornò con la mente a vecchi ricordi. Era andata spesso a feste danzanti con Gabriel, amavano ballare ogni tipo di musica.
L’immaginò stretto a un’altra donna e provò gelosia, una lacrima silenziosa le scese sulla guancia. Si alzò alla ricerca di un fazzoletto, non aveva alcuna borsa con sé e adesso doveva soffiarsi il naso. La tartina le cadde di mano, si abbassò a raccoglierla ma rialzandosi finì con l’andare a sbattere contro qualcuno.
«Mi scusi, sono talmente sbadata che…» Il suo sguardo incrociò gli occhi più belli che avesse mai visto.
«Non si preoccupi, è colpa mia. Si è fatta male?» chiese lo sconosciuto.
Viola rimase muta per lo stupore, aveva davanti un esemplare maschile davvero notevole: era alto, quasi sul metro e novanta, indossava un costume da cavaliere nero come la notte con un lungo mantello appuntato su una spalla da una spilla d’oro. Aveva i capelli ricci e scuri e gli occhi verdi, indossava una maschera color oro e la sua voce era profonda e calda.
«No…non mi son fatta nulla, grazie» balbettò, incapace di distogliere lo sguardo da quell’incredibile visione.
Lo sconosciuto rise, tendendole una mano.
«Io sono il cavaliere nero, è un piacere fare la vostra conoscenza incantevole dama» e così dicendo le baciò la mano.
Viola cominciò a sentire caldo.
«Posso avere l’onore di questo ballo?» le chiese guardandola intensamente negli occhi.
Senza pensarci due volte, Viola acconsentì e si diresse al centro della sala. Ballarono tutta la sera, chiacchierando e ridendo tra un valzer e una polka. Dopo poche battute passarono dal riservato voi a un più confidenziale tu.
Più volte, durante la serata, lei ebbe la sensazione di conoscerlo, alcuni gesti o il modo di muovere le mani e sorridere le venivano familiari.
“Che sciocchezza, se avessi incontrato uno così me lo ricorderei di sicuro” pensò.
Lo sconosciuto fu molto galante e in nessuna occasione tentò un approccio più intimo, la sua conversazione era brillante e sembrava conoscere esattamente tutto ciò che le piaceva. La serata purtroppo volse al termine, l’uomo le chiamò un taxi e aspettò finchè non vide l’autista partire.
Giunta in albergo, Viola si accorse che non sapeva neanche come si chiamava. Presa dall’entusiasmo della situazione aveva scordato di presentarsi.
«Poco male, tanto non l’incontrerò più» sussurrò all’immagine riflessa nello specchio.
Si tolse il costume e tutta la magia della serata sembrò svanire, chissà che faccia avrebbe fatto il suo misterioso cavaliere se l’avesse vista al naturale, con qualche chilo di troppo e la cellulite sulle cosce. Sorrise, forse anche lui nascondeva qualche difetto sotto quell’apparente perfezione. Non era donna da attirare quel tipo d’uomo, lo sapeva, non lo era mai stata. Piuttosto era una tipa da intellettuali, come Gabriel.
«Basta! Sarà meglio cha vada a letto» disse.
Si girò su un fianco e chiuse gli occhi, pregando di sognare il suo misterioso cavaliere.
L’indomani splendeva il sole, Viola si alzò dal letto piena di vitalità. Per tutto il tempo della colazione fantasticò sull’uomo misterioso, domandandosi se l’avrebbe incontrato un’ultima volta prima di lasciare Venezia. Quella sarebbe stata l’ultima sera di carnevale, l’indomani un aereo l’avrebbe riportata a casa. Con rammarico ripiegò con cura il costume e lo ripose nella fodera. Tra non molto l’avrebbe riportato al negozio.
Il giorno successivo avrebbe lasciato la città in tarda mattinata non avendo avuto tempo a disposizione per riconsegnarlo, così aveva deciso di farlo quel giorno.
“Vorrà dire che scenderò in piazza senza maschera” pensò.
Certo così le probabilità di incontrare nuovamente quell’uomo si azzeravano, ma doveva essere realistica e pensare che quello della sera precedente fosse stato solo un incontro fortuito senza conseguenze.
«Spero si sia divertita» esclamò la negoziante controllando che il costume fosse a posto.
«Sì, grazie. Ho passato davvero una serata indimenticabile» le rispose Viola.
Pagò il noleggio, salutò ancora una volta la gentile negoziante e uscì.
Faceva piuttosto caldo ma, nonostante la temperatura elevata, la gente non rinunciava al divertimento.
Viola pranzò in una trattoria vicino Piazza S. Marco, dopodichè tornò in albergo per preparare il bagaglio. Nella hall una coppia di giovani sposini in luna di miele, discuteva allegramente col receptionist. Viola provò una fitta d’invidia per la loro palese felicità, chissà come sarebbe stato il suo viaggio di nozze.
Trattenendo le lacrime salì in camera, la cameriera aveva pulito la stanza e rifatto il letto ma, nonostante l’allegro mazzolino di fiori sul tavolo, l’ambiente le sembrò vuoto e deprimente.
Diede un’occhiata all’orologio, non mancava molto allo “Svolo del Leon” che avrebbe suggellato la fine del carnevale.
Dopo aver sistemato la valigia, si spostò in bagno per darsi una sistemata e truccarsi un po’.
La piazza era gremita di gente, Viola faticava quasi a restare in equilibrio, spintonata com’era da una massa chiassosa di costumi e maschere.
Un applauso pose fine allo “Svolo del Leon”, presto il carnevale coi suoi colori sarebbe stato un ricordo. Viola decise di restare in strada ancora un po’, tanto non c’era nessuno ad aspettarla in albergo. Passeggiò a lungo per la piazza, i piedi cominciavano a protestare così decise di rientrare.
«La mia dama vuole andar via senza neanche dirmi addio?»
Viola si girò verso quella voce inconfondibile: a pochi passi da lei c’era il suo cavaliere misterioso. Portava lo stesso costume della sera precedente.
«Ma…cosa?» Viola non capiva come avesse potuto riconoscerla senza costume.
«Ieri alla festa eri bella, ma devo ammettere che oggi al naturale sei uno splendore» disse avvicinandosi rapidamente.
«Come hai fatto a riconoscermi?» chiese.
«Non dimentico mai una persona interessante. La festa non è ancora finita, ti andrebbe un bel giro in gondola?» Lo sconosciuto, senza attendere risposta, la prese per mano scortandola fino al canale.
A Viola tremavano le gambe mentre, sorretta dalle braccia forti dell’uomo, prendeva posto sui cuscini dell’imbarcazione.
Parlarono per tutta la sera, più tempo Viola passava con quell’uomo affascinante, più era convinta di conoscerlo. Aveva una risata contagiosa e il modo in cui le teneva la mano la faceva sentire a casa. Anche quel momento meraviglioso volse al termine, l’uomo l’aiutò a scendere dalla gondola e pagò il gondoliere. Sottobraccio camminarono lungo il canale, il silenzio tra loro era carico di elettricità. Era così presa dalla miriade di sensazioni che stava provando da non accorgersi che erano giunti in prossimità dell’albergo.
«E così dobbiamo salutarci» esclamò lui.
«Sì, pare proprio di sì» rispose lei in un sussurro.
L’uomo la guardò intensamente, prima di stringerla tra le braccia e baciarla con passione. Le sue labbra, il modo di baciarla tutto le sembrava così familiare, come un ricordo sbiadito dal tempo.
Dopo, la tenne stretta a sé a lungo.
Tremante, Viola si scostò da lui e si girò non potendo trattenere le lacrime.
«Penserai che sia una sciocca, dopotutto neanche ci conosciamo» disse, cercando un fazzoletto nella borsa.
«Penso che tu sia bellissima» le disse, asciugandole una lacrima col dorso della mano.
«Volevo ringraziarti, ho passato due giorni meravigliosi e solo ora realizzo che non ci siamo neanche presentati» disse Viola sorridendo.
«Oh ma io ti conosco bene, Viola.»
«Come sai il mio nome? Chi te l’ha detto?» domandò lei, stupita.
«Buona notte Contessa ti me ichi» le sussurrò all’orecchio prima di scomparire tra la gente.
Viola rimase impietrita, un ricordo lontano si affacciò alla mente: da piccola era solita lamentarsi per ogni cosa e Contessa ti me ichi era il suo soprannome.
C’era solo una persona che la chiamava così: Marco, il suo primo fidanzato.
Era stato il grande amore della sua vita, finchè il destino non si era messo in mezzo dividendoli.
«Marco!» gridò, cercandolo tra la folla ma non ne trovò traccia.
Rientrata in albergo si gettò sul letto e pianse tutta la notte.
Viola pagò la stanza, il taxi l’aspettava fuori dall’albergo. Quella mattina si sentiva diversa, quasi rinata.
«Può fare una deviazione più avanti, per favore?» chiese al tassista indicando un cartello scolorito lungo la strada.
«Come vuole signora, poi non si lamenti se perde l’aereo» le rispose sgarbatamente.
«Non si preoccupi, farò in un attimo» rispose.
L’auto si fermò davanti a un vecchio cancello arrugginito, una targa posta sul muro recitava: Villa Zanon.
«Aspetti qui e non spenga il motore, arrivo subito» disse prima di scomparire oltre il cancello.
Il vialetto era invaso da foglie secche, in lontananza si scorgeva il tetto della villa. Viola deviò verso il giardino e iniziò a salire un piccolo viottolo sterrato che conduceva a una grande quercia. L’albero dominava una piccola collinetta.
Giunta in cima, Viola accarezzò il tronco dell’albero su cui c’era inciso un cuore con due iniziali: M e V.
Girò intorno al tronco ed eccola: sepolta tra le erbacce spuntava una croce di marmo.
Col cuore in gola, Viola s’inginocchiò e cominciò a pulire la tomba.
Lo sguardo sorridente di un giovane fece capolino tra gli sterpi, poco sotto un nome: Marco Zanon.
Con la vista offuscata dalle lacrime, Viola poggiò una mano sulla tomba e le sue dita sfiorarono qualcosa. Tremando guardò l’oggetto che stringeva tra le dita: una maschera d’oro.
Il rumore insistente di un clacson la riscosse, ripose la maschera sulla tomba e sorrise asciugandosi gli occhi.
«Grazie…» sussurrò al ragazzo della foto.
Corse giù per la collina come faceva sempre da ragazzina, senza fiato tornò dal tassista che la guardò perplesso.
«All’aeroporto» disse, mentre con lo sguardo tornava al cancello di quella vecchia villa. Ora sapeva che avrebbe di nuovo conosciuto l’amore, lo stesso amore che aveva ingannato la morte e permesso a Marco di tornare da lei per mostrarle che c’era ancora speranza.
Nonostante io sia un uomo e non incline a commuovermi, devo dire che questo racconto ha fatto sognare anche me. Forse perchè anch’io ho incontrato il primo amore a Venezia e poi l’ho perduto per strada… Ma, certamente ,e sopratuttpo per la bravura dell’autrice del racconto. Brava!!!
Ringrazio Alfonso per aver letto e apprezzato il mio racconto.
Davvero bello e commovente. Brava nella scelta dell’ambientazione e nella descrizione anche psicologica della protagonista.
Un finale a sorpresa azzeccato.
Coinvolgente e ben scritto
Complimenti
marco
Bellissimo. Non c’è altro da dire.
Angela Lonardo
p.s. fammi sapere cosa pensi del mio racconto “Il ragazzo della frutta”