Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2014 “Nicknomen” di Sergio Sessini

Categoria: Premio Racconti per Corti 2014

In cabina, seduta accanto al finestrino mentre i vicini sistemano valigette e controllano le ultime email. Bea non ha fatto in tempo a bere un caffè, comprare un libro. La coda ai controlli è stata lunghissima: colpa dei nuovi scanner, delle lunghe conversazioni con il personale chiamato a spiegare come usarli, degli inceppamenti e casi imprevisti che hanno costretto più volte a tornare al vecchio sistema. La sua valigetta è passata tre volte all’interno del lettore, per poi essere aperta ed esaminata manualmente da una donna austera che soppesava nella mano coperta da un guanto di lattice, uno alla volta, tutti gli obiettivi, squadrandoli ad occhi serrati come se fossero insetti disgustosi.
“Fotografa, eh?”
Non restava che annuire stringendosi nelle spalle.

La donna che sta per sedersi accanto a lei ha zigomi turgidi e labbra puntute che possono trovare esistenza soltanto nella sfera della chirurgia estetica estrema e un’espressione unica, di rotonda sospensione e attesa, che rende difficile guardarla e impossibile non guardarla. Non sembra pentita, disturbata dalla propria trasformazione. Pare contenta di se stessa, non accorgersi dell’irreparabile errore commesso. Sembra sentirsi compiuta, esattamente come si immaginava e desiderava.
I tacchi altissimi le procurano un incedere morbido lateralmente e rigido frontalmente, piccoli scatti sulle ginocchia appena piegate fanno sobbalzare le ciocche chiare di capelli sulla fronte ma non il seno granitico. Appoggia le buste di acquisti col logo del duty free sul sedile e sembra infastidita e perduta al pensiero di doverli sistemare.
È sufficiente un sospiro e tre secondi di sguardo impotente, pur entro i limiti delle sue possibilità espressive. Un uomo costringe in un angolo il proprio trolley con un colpo energico, le fa segno di allungargli i pacchetti, li prende con un sorriso e li sistema sulla cappelliera. Mentre i due continuano a sorridersi, Bea toglie in fretta il telefono che aveva appoggiato sul sedile accanto e lo spegne. Dalla borsetta aperta al braccio della donna cade la carta di imbarco. Bea la raccoglie e gliela porge.

“Grazie, tesoro”, fa la donna sedendosi con un sorriso. Forse sulla cinquantina. Forse di più. Niente rughe per poterlo stabilire con più certezza. Americana. Cosa non sorprendente, in un volo Miami – Los Angeles.
“Come ti chiami?” Aggiunge.
“Beatrice. Bea”.
Bíatris. Bel nome! Da dove vieni, cara?”
“Italia”.
“Oh, italiana! Parli un fantastico inglese!”
“Grazie”.
“E questi capelli corti da maschietto non sono deliziosi? Posso toccarli?”
Le passa la mano sulla testa prima che possa protestare. Bea chiude gli occhi e si stringe nelle spalle come chi aspetti di essere colpito; alla fine accenna un sorriso rassegnato mentre la signora le assesta una carezza materna scompigliandole il ciuffo.
“Sono tutti tuoi? È naturale questo rosso?” Bea annuisce. Il sonnellino che aveva programmato sembra improbabile.
Molto bello. Profondo, cupo, insolito. Qui da noi le rosse sono diverse, hanno un’aria da maschietti selvatici. Eh, Italiani. Speciali in tutto”. Poi si porta la mano al cuore.”Scusami, non ti ho nemmeno detto il mio nome. Io sono Nick”.
“Nicky?”
“Nick. Anche mia mamma era mezza italiana. Mio padre, Irlandese. Lei: mezza italiana, mezza russa, mezza greca”, elenca incurante del totale. “Il mio nome intero è Nícola. In inglese Nick è un nome da uomo”.
“È un nome da uomo anche in Italia. Con l’accento sulla o, Nicòla”.
“Davvero?” Per un attimo sembra rifletterci seriamente, come se il dettaglio potesse aprire squarci freudiani sulla sua infanzia. “Be’, come ho detto, lei era mezza italiana. Sei in vacanza?”
“No”.
“Ah, lavoro?”
“Sì. Quasi. Mi hanno chiamata per un colloquio”.
Dall’Italia?” Bea annuisce; anche Nick annuisce imbronciando le labbra in un’espressione di apprezzamento. “Devi essere proprio brava”.
Bea scuote la testa mentre guarda fuori dal finestrino. Lo spaventoso temporale tropicale sembra finito. Oltre l’hangar, dalle cime delle palme ancora gronda acqua.
“Non sono niente di speciale”, dice col tono di chi vuole chiudere l’argomento.
“E il volo, l’albergo? Li paghi tu?”
“Loro, loro. Io non ho un soldo”.
Nick scuote la testa con gli occhi socchiusi, abbassa leggermente la voce. “Non per farmi gli affari tuoi, cara, ma quella”, e indica la valigetta di Bea incastrata sotto al sedile di fronte “Costa esattamente 4699 dollari. Ce l’ho uguale. E quelle scarpe basse, così discrete…”
“Regalo. La valigetta, le scarpe. Sono regali”. Stavolta afferra il piccolo cuscino, si gira dall’altra parte, si appoggia alla parete, chiude gli occhi.

Nick emette un piccolo sospiro e si guarda intorno. L’uomo che l’ha aiutata, ora legge il giornale. Avverte che lei la sta guardando, si volta, le sorride, ma torna immediatamente alla lettura, marcando la misura esatta del suo interesse. Carino. Più adatto a Bíatris che a me, pensa Nick. Si volta a osservare la sua compagna di viaggio, raggomitolata ad occhi chiusi. Questa ragazza, persino travestita da uomo è uno schianto, pensa poi, con un nuovo sospiro. L’aereo ha preso a muoversi a marcia indietro, le assistenti di volo incominciano senza entusiasmo la pantomima di sicurezza.

Bea si toglie le scarpe, appoggia i piedi alla morbida pelle della valigetta che contiene un MacBook, una videocamera Sony Red Epic e quattro obiettivi di alta qualità. Un regalo. Un regalo di Xavi, per toglierla dallo stato di depressione in cui stava ricadendo. Ricorda quando Xavi l’aveva sfilata senza cerimonie dalla grande busta di plastica bianca che si era portato dall’albergo e l’aveva appoggiata al tavolino nella terrazza di quel caffè a Nizza. “Questo è per la piccola Bea. Buon compleanno”.

Ricorda di aver pensato che la valigetta fosse il dono. Uno degli strani regali di Xavi. Di aver passato le dita su quella curiosa, morbidissima pelle, cercando le parole per ringraziare. Di aver sentito la voce impaziente di Xavi: “Avanti, aprila, che aspetti?”
Il regalo era dentro. Apparecchiature nere che le risultarono estranee. Computer a parte, subito non capì cosa fossero. Pezzi componibili di quella che sembrava una macchina fotografica assurdamente complicata. Alzò gli occhi verso Xavi, che stava ordinando brioches e caffè per entrambi.
“È il mio regalo. Per te, ma ancora di più per me”, prese a spiegare con aria soddisfatta e sorniona. “La migliore videocamera portatile sul mercato, mi dicono”, fece, alzando le spalle a significare che anche lui, di queste cose, non ne sapeva nulla.
Brioches e caffè furono appoggiati sul tavolo.
“Ho bisogno che tu registri i nostri weekend”, spiegò, addentando un pain au chocolat, e procurandosi, come al solito, una macchia scura sull’angolo del labbro. Bea non si curò di toglierla come faceva di solito. Ascoltava.
“Voglio che tu crei un piccolo film per ogni nostro viaggio. Che ne faccia una storia. E che le pubblichi su Internet. Fa una ricerca, trova tu il modo migliore, mi fido”.
“Perché?”
“Per due ragioni”, rispose lui facendole nel frattempo segno di bere, di mangiare, di non stare immobile a bocca aperta a rimirare le sue labbra macchiate di cioccolato.
“Primo: pubbliche relazioni. Penso che far vedere in giro Xavi Echeverría mentre acquista oggetti antichi e opere d’arte in giro per il mondo con la sua ragazza possa creare un buzz positivo, far bene alla mia immagine”.
“Vuoi che tutti vedano i pezzi costosissimi che ti concedi. Le cifre che spendi. La ragazza con la metà dei tuoi anni. Sei sicuro che questo piacerà? E le tasse?”
“Al diavolo le tasse. Non è affar tuo, non te ne preoccupare”, fece lui appoggiando la tazza sul piattino, un po’ troppo forte.
“La seconda ragione?”
Xavi le prese una mano e ci tenne sopra le sue per un po’. Beatrice credette che la risposta fosse tutta lì, quando infine lui disse semplicemente: “La seconda ragione: è per te”.
Non era necessario elaborare ulteriormente. Un giocattolo. Per distrarsi, uscire dalla depressione in cui stava per ripiombare. Un modo costoso, alla maniera di Xavi, per allontanare il peggio. Per aiutarla a guarire, forse.
La valigetta era ancora aperta davanti a loro. Bea ne accarezzò ancora una volta il contenuto.
“Non ho mai preso in mano una videocamera. Questa, sembra troppo…”
“Una ragazza intelligente come te”. Fece lui con un sorriso senza allegria. “Prima di sera ne dominerai tutti i segreti”.

Quel giorno Xavi doveva andare da solo da qualche parte e lei rientrò subito in albergo. Una volta nella suite aprì la valigia, appoggiò tutti i pezzi sul tavolo e cominciò a leggere le istruzioni.
Il segreto di quella macchina: una densità di fotogrammi senza precedenti. 320 al secondo. Consentono una definizione superba, e un rallentatore estremo, con immagini straordinariamente vivide. In grado di trasformare in una storia ricca di dettagli il percorso di un proiettile che procede avvitandosi fino a conficcarsi in un muro. Una vita, in un attimo.
Provò a tenerla in mano davanti allo specchio. Si guardò. Non era poi così ingombrante. La sentì leggera e facile a tenersi. Infine l’accese. Riprese il cesto pieno di frutta. Riprese il rettangolo di sole sul pavimento. Riprese se stessa; dapprima immobile, poi ricordò che poteva muoversi. Le venne in mente che avrebbe potuto riguardarsi al rallentatore, leggere più tardi nelle infinite pieghe temporali della propria mimica. Uscì in balcone e provò i diversi obiettivi. Una coccinella danzava tra i fiori sulla ringhiera. Bea si avvicinò e la mise a fuoco. Le sembrò di guardarla negli occhi, di coglierne l’espressione, i semplici pensieri. La coccinella prese a volare e finì ad appoggiarsi proprio sul centro della lente, una immensa macchia che copriva quasi tutto l’obiettivo e sembrava un grigio cuore palpitante.

Prima di cena, Bea, china al computer, aveva quasi terminato il montaggio del suo primo video: In viaggio con Xavi: Nizza, che cominciava con una coccinella che atterra sulla lente e terminava con la lentissima caduta di una lacrima sul marmo del bordo della vasca da bagno. Una lacrima di felicità, che rimbalzava generando sei piccole goccioline che risalivano lente in una simmetria arcuata.
Mancava proprio Xavi, che non era ancora arrivato. Era pronta. Lo avrebbe ripreso mentre entrava, appena due secondi di sorriso immancabile, la mano ancora attaccata alla maniglia della porta.

L’aereo è decollato, attraversa le nubi nere sobbalzando.
Il temporale non è finito, si è solo spostato un poco verso ovest, da lassù si possono sentire due tuoni in lontananza.
Poi un terzo, vicino, fortissimo, accompagnato da un lampo, che imbianca tutto il cielo visibile.
Bea si butta in avanti con un urlo, gli occhi spalancati, frenata solo dalla cintura.
“Tranquilla tesoro, è solo un temporale. Ti ha svegliato. Ecco, ti è caduto il cuscino, prendi”.
Bea la guarda con un’espressione fissa. Trema. Le sue mani non si muovono. La fronte è coperta di gocce di sudore.
“Ma tu stai male! Aspetta, chiamo l’hostess…” Bea la blocca scuotendo la testa. Non parla, dice solo Mmmm. Nick le dà la mano, lei la stringe con forza disperata.
“Hai paura dei temporali, tesoro. Ecco, ho dell’acqua, bevi questa. Sicura che non vuoi che chiami… No, ho capito, va bene, non chiamo nessuno. Tranquilla. Bevi. Bevi ancora un po’. Vieni qui, appoggiati”.
Rimangono ferme e in silenzio per un po’, finche Bea, la guancia contro la spalla di Nick, non smette di tremare. Sembra accorgersi solo ora di stringerle la mano. La lascia andare, si raddrizza un poco contro lo schienale, si passa le dita tra i capelli.
“Mi dispiace…” Dice infine. “I tuoni… Non riesco a controllarmi”.
“Capisco, cara. Una fobia. Per me i ragni…”
“È qualcosa di più di una fobia”.

Un momento di silenzio tra le due donne. Ora Bea legge un’espressione che prima sembrava non esistere. Coglie l’esperienza negli occhi di Nick: occhi equilibrati, pratici, sotto un trucco destinato a nasconderne il potere penetrante; che devono aver visto molto ed essere scesi a patti definitivi con l’esperienza. Occhi a cui può parlare.
Nick torna a cercare la sua mano. “Vedi qualcuno? Un dottore…”
“Sono stata un anno in ospedale. Pensavo non ne sarei uscita mai”.
Beve un altro sorso. Poi un terzo, finisce tutta l’acqua.
“Avevo appena finito l’università. Informatica. Ero riuscita a laurearmi prima del tempo, lavoravo sodo. Ero stremata. Avevo avuto alcune crisi, ogni tanto non sapevo dov’ero; mi perdevo. Ma incolpavo lo stress da esami finali. I miei amici volevano organizzare una vacanza. Io dicevo va bene, ma non riuscivo a pensare ad alcun evento futuro. Non riuscivo a pensare a niente. Sempre stanca”.
Arriva l’hostess con le bevande. Acqua per Bea, vino bianco per Nick.
“Allora sono venuti gli attacchi di panico. Prima uno al mese. Poi uno al giorno. Alla fine, uno stato permanente. Non mi era possibile nessuna attività. Non riuscivo a stare con gli altri. Non riuscivo a immaginare… Nessuna azione, nessuno scenario, nulla. Stavo a letto per giorni. Mi sono ritrovata in ospedale”.
Un altro tuono, più lontano. Bea sussulta, ma continua.
“Sono stata fortunata. Ho trovato una dottoressa… mi parlava ogni giorno. È riuscita a sintonizzarsi su di me”.
Si umetta il labbro con la lingua, si passa una mano sulla fronte. È spaventata del fatto che ciò di cui non ha parlato ad amici vicini possa saltar fuori come un tappo, senza controllo, al primo accidente, con la prima che capita. È anche grata che Nick la guardi senza sorridere e semplicemente ascolti.
“Dopo un anno ne ero fuori. Non me la sentivo di tornare dai miei. È una storia complicata. Mi ha ospitato un’amica. Ho cominciato a guardarmi intorno, a cercare un lavoro”.
“E hai incontrato un uomo” interrompe Nick.
“Sì”, dice Bea stupita. “Come…”
“Nulla. Hai fatto la faccia di quella che ha incontrato un uomo”.
Nick sorseggia pensosa il suo vino bianco.
“Un uomo ricco. Uno che ti regala scarpe e valigette”.
“Sì”.
“E adesso è finita”.
“Sì”.
“E non ne vuoi più sapere”.
“Ho fatto la faccia, eh?” Sorride, abbassa gli occhi. “No, non ne voglio più sapere”.
“Adesso niente più scarpe e valige. Adesso bisogna che un lavoro lo trovi. Non hai un soldo, l’hai detto tu”.
“Proprio così”.
“E te l’hanno offerto, un lavoro. In un’altra città. Lontano dall’ospedale, dalla famiglia, dal tuo ex… un’opportunità perfetta”.
“Così pare”.
“E allora perché non mi sembri per niente entusiasta?”
Bea sbuffa, scuotendo lentamente la testa. “Non so se mi prenderanno. Non so se sono in grado. Non so se è quello che voglio fare”.
“Posso chiederti di che si tratta? Il lavoro”.
“Editing. Fare il montaggio per una serie televisiva”.
Nick scoppia a ridere, il vino quasi le va di traverso.
“E ad Hollywood non hanno abbastanza tecnici di montaggio? Chiamano te, dall’Italia? Devi davvero essere speciale, bambina mia! E che hai fatto mai, in Italia? Sei la nipote di Fellini?”
“Nulla. Mai lavorato nel cinema. Mai lavorato in televisione. Ho creato soltanto un canale Youtube. Dentro la valigetta c’è una videocamera. La più costosa che c’è. Sì, anche quella me l’ha regalata il mio uomo. Ho filmato tutti i miei weekend con lui”.
Nick sbarra gli occhi. “Video erotici…?”
“No! Neanche un fotogramma. Storielle fatte di dettagli innocenti. La nostra bella vita. Spiagge, città, passeggiate. Cene insieme. Soprattutto lui che compra oggetti e statue antiche”.
“E con questa roba hai interessato…”
“Non è l’argomento. Pare che io possieda una rara capacità di sintesi. Così mi hanno detto. Mi hanno chiamato. Due settimane fa, a un’ora impossibile. Dice che vogliono cominciare una serie televisiva. Qualcosa di storico, non mi hanno voluto dire di che si tratta. Gran segreto. Avevano analizzato i miei piccoli film. Mi hanno detto che non hanno trovato nessuno che riesce così bene a suggerire lunghi eventi in pochi fotogrammi. Diceva che hanno cercato molto. Nel mondo del cinema, dei videoclip musicali. Volevano me. Vogliono me. Linguaggio epico, hanno detto. Dei miei filmetti su un uomo che compra vasi greci e icone russe, che ordina da bere al ristorante soffocando uno sbadiglio. Mi hanno offerto uno stipendio… Strabiliante”.
“Sicché avresti accettato per meno”.
“Sì. Avrei. Non ho accettato. Sto semplicemente andando a un colloquio. In termini di soldi, avrei accettato la metà della metà”.
“Capisco. Non sono i soldi. È l’opportunità. È la tua passione…”
Non è la mia passione”.
Nick fa un veloce cenno alla hostess che è capitata vicino di riempirle nuovamente il bicchiere.
“Ti ho perso, tesoro. Il montaggio non è la tua passione?”
“No. Sembra che mi venga bene, tutto qui. Così dicono loro. Io, non lo so”.
“Ah, già. La tua passione non è il montaggio. Dev’essere la parte creativa, la regia…”
“No”.
Bea la guarda, indecisa se parlare o meno. Poi fa un’espressione che sembra voler dire: al diavolo; le ho detto dell’ospedale…
“La mia passione è la simbologia medioevale”.
“La cosa?”
“Simbologia. Medioevale. Dettagli nascosti. Messaggi simbolici nei testi e nelle immagini del Medioevo”.
Nick la guarda. Sembra stia per dire qualcosa. Esita, poi ci ripensa e finisce il suo vino.
“Ci ho preso gusto girando col mio uomo”, dichiara semplicemente. “Ex”.
“E… Dopo studi di informatica, ospedale, un uomo ricco che ti porta in giro, sei finita ad interessarti… dell’età oscura?
Bea china la testa, espira un lungo soffio. Attende parecchi secondi prima di rispondere.
“Il Medioevo è un periodo straordinario. Nick, è questa l’età oscura, non te ne accorgi?”
“Ragazza, devo andare in bagno. Tieni il resto per dopo. Sono tutta orecchi”.

Nick riappare con un nuovo sorriso per l’uomo che l’ha aiutata – rapido e immediatamente ritratto – e una domanda.
“Tesoro, il medio evo sarà un’epoca meravigliosa come dici tu. Ma non interessa a nessuno. Questo non può che voler dire: niente amici. Niente ragazzo. Niente vita sociale. È questa la terapia che ti ha suggerito la tua dottoressa?”
“Hai ragione. Ad oggi è proprio così: niente amici, niente ragazzo. Forse Los Angeles è davvero la mia opportunità. Ricominciare da zero. Ma è sempre stato così, sin da bambina: le cose che mi appassionano, non posso condividerle. Ci sono abituata, ho gusti strambi”.
Bea fissa la compagna con un’intensità quasi ostile. “Non posso certo rinunciare a quello che amo davvero solo per stare con gli altri”.
“No?” domanda Nick con un curioso sorriso. “Ne sei sicura?” Sembra riflettere su qualcosa, poi le domanda:
“Quanti anni hai, tesoro?”
“Ventisette”.
“Forse hai ragione. Mi sa che tirerai dritto per la tua strada. Di solito, alla tua età si è già deciso di rinunciare a quello che si ama per stare con qualcuno. È la prima e fondamentale caratteristica femminile”.

Rimangono entrambe per qualche minuto in silenzio. Bea guarda fuori dal finestrino. Si sono assestati a un’altitudine ben sopra le nuvole, dove ancora qua e là brillano scariche di lampi lontani.
Nick tira fuori dalla borsetta una scatola di cioccolatini e ne offre a Bea.
“Mi faresti vedere la lettera di questi signori di Hollywood? Magari li conosco. Lavoro nell’intrattenimento anch’io…”
“Come fai a sapere che c’è una lettera? Ti ho detto che mi hanno chiamato…”
“C’è sempre una lettera”.
Bea prende il telefono. “Ecco qui l’Email”. Lo scorrono Insieme.
“Questa è una casa di produzione importante” fa Nick, impressionata. Bea scorre rapidamente il testo.
“Come ti ho detto. Capacità di sintesi… linguaggio epico… abbiamo la necessità di sintetizzare in pochi secondi grandi eventi… contratto per una stagione… opzione per quattro anni… incontro mercoledì alle 11… siamo elettrizzati all’idea di incontrarti…”
“Oh, guarda!” Dice Nick deliziata, indicando la firma nella lettera. Nick Assante O’Reilly. “Nick, come me”.

Bea si blocca, non ride più, arrossisce violentemente.
“Aspetta un momento”. Mormora Beatrice. “Nick Assante O’Reilly. Questo nome io l’ho visto”.
La fissa negli occhi, espirando incredula, finché Nick non abbassa lo sguardo.
È il nome sulla tua carta d’imbarco”.
Furiosa. Esterrefatta. Sembra voglia schizzar fuori dal sedile in cui è confinata. Incrocia le braccia, si passa le mani sul volto, incrocia le braccia di nuovo.
“Non posso crederci. Tutto pianificato. Hai preso questo volo, prenotato questo posto…”
Nick deglutisce. Ora è lei ad avere la bocca secca, ad umettarsi le labbra, mentre Bea continua a ripetere tra sé: “Incredibile. Incredibile. Incontro sempre dei manipolatori…”
“Assolutamente no. Tesoro. È tutto nato per una coincidenza, che tu lo creda o no. È stata Jo, la mia assistente, a chiamarti. Io ascoltavo la conversazione. Abbiamo subito pensato che il tuo stile è speciale. Hai un talento unico, dolcezza. Il giorno dopo mi hanno fatto notare che avevi prenotato il Miami Los Angeles di oggi. Io dovevo venire domani. Ho soltanto anticipato di un giorno”.
Soltanto anticipato di un giorno! E questo ti sembra normale e innocente! Mi hai strappato delle confidenze che non avrei mai detto! Cose che non ho rivelato a mia sorella! Hai conosciuto le mie debolezze… Mi hai visto in ginocchio. È disumano e sleale. Vigliacchi. Vigliacchi”.
L’uomo accanto a loro si volta a guardarle. Nick non sorride più.
Ma non per negarti il lavoro. È normale che tu abbia le tue debolezze. Vedendo i tuoi video, è chiaro che c’è una vita intensa dietro. Non mi aspettavo niente di diverso, ero certa che avrei trovato una storia come la tua. Abbiamo parlato, ti ho conosciuto, come non sarebbe stato possibile in un colloquio tradizionale. Tutto qui. E ne sono onorata. Non scavo nella vita privata dei miei futuri collaboratori per cercare motivi per scartarli. Dolcezza, il colloquio è finito. Il posto è tuo. Sei assunta”.
Bea la guarda a bocca aperta.
“Ricorda solo che dovrai avere a che fare con gente… Be’, con gente come me. A questo, non so se sei preparata. L.A. è come uno schiaffo. Ci vuole forza. A proposito, devi imparare a dominare meglio i tuoi giudizi. Sul botox, ad esempio. Non hai avuto modo di vedere come ero prima, giusto? E aspetta di vedere come sarò tra qualche giorno, dopo che il mio medico di Los Angeles mi avrà messo a punto”. Bea finalmente risponde, a voce bassa, il volto nascosto tra le mani.
“Non lo so. Non lo so se lo voglio, questo lavoro”.
Nick ordina altro vino. Per due, questa volta.

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11 commenti »

  1. Caro Sergio, il tuo racconto mi è molto piaciuto ma non capisco che ci faccia nella sezione Racconti per Corti…….( è un complimento pure questo).

  2. Grazie per il doppio complimento Massimo! Proprio oggi lo ho riletto e mi era venuto lo stesso dubbio: molto dialogo, un io narrante piuttosto presente… interessante coincidenza che tu mi abbia scritto ora.
    Il fatto è che, confesso, avevo già inserito tre racconti in concorso:
    Turno di notte
    Con Giorgia
    Il diavolo in solaio
    e avevo quindi già raggiunto il massimo consentito.
    Devo dire però che Nicknomen è molto visuale, e mi piacerebbe molto vedere Bea (personaggio che ricorre anche in altri miei racconti) al lavoro con la sua formidabile videocamera. Certo che – dove la trovi l’attrice che interpreta Nick? 😉

  3. Un po’ lungo per un corto,
    ma scritto benissimo,
    non mi sorprende.
    Dialoghi all’altezza,
    confezionati in storie
    per nulla banali.
    A quando una raccolta dei tuoi capolavori?

  4. Maurizio, ormai sei diventato uno dei più gentili commentatori nei miei confronti. Sono davvero lusingato, questi sono commenti che ti stampano un sorriso sulle labbra che dura per ore…
    Visto che me lo chiedi, ne approfitto per segnalarlo: dall’inizio dell’anno ho un blog dove ogni settimana inserisco un racconto.
    Si chiama Idee per un racconto. http://sergiosessini.wordpress.com
    A breve aggiungerò anche i capitoli di un mio romanzo, uno a settimana. Sinora non ho trovato un editore disposto a puntare su di me, ma magari, dopo che mi sarò fatto le ossa con questi racconti… (uno a settimana è un ritmo piuttosto intenso, so che mi capisci. Imparo tanto).
    Grazie di cuore
    S.

  5. Già visto il blog,
    è lì che ho trovato anche gli altri racconti.
    Intanto spero di trovarti in una raccolta
    non molto lontana da queste parti…
    Più in là vedremo.
    A presto.
    😉

  6. Sergio, in bocca al lupo per la pubblicazione del tuo prossimo romanzo, concordo con Maurizio, la meriteresti pienamente.

  7. Proprio bello, mai banale. Grande l’idea di un colloquio “amichevole” durante il volo verso quel colloquio “ansiogeno”, spiazzante per chiunque. Nick è veramente bravo a gestire la situazione. Bea lascia ampi spazi di approfondimento. Complimenti davvero.
    Non so se è conforme alle regole oppure no, ma ho postato “Forse mi sono distratto, forse solo il destino” e mi piacerebbe sapere che ne pensi. Qualsiasi sia il tuo pensiero.

  8. Maurizio e Mara, se mai uscirà una qualche mia opera in formato cartaceo, a voi vanno le prime due copie. Grazie per l’incoraggiamento.

  9. Grazie Roberto! Comunque, io Bea la conosco bene, e ti assicuro che anche così il colloquio ha portato ansia a volontà… 😉
    Per quanto riguarda il tuo racconto… già fatto, prima della tua richiesta.

  10. Complimenti Sergio, dialoghi magistrali e un racconto dal finale a sorpresa. E’ anche un elogio alla fantasia e alla capacità imprenditoriale, sempre attiva per di raggiungere il massimo risultato.

  11. Ti ringrazio Emanuele. Particolarmente per i dialoghi, che non è mai facile far risultare naturali, non “legnosi” e artificiali.

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